« Pristina addio. Abbiamo fallito »

« Pristina addio. Abbiamo fallito » « Pristina addio. Abbiamo fallito » Walker e i suoi 1400 osservatori fanno le valigie REPORTAGE IN ATTESA DELLA TEMPESTA PRISTINA DAL NOSTRO INVIATO Sono dispiaciuto, frustrato, di fronte a noi vedo il rischio di una violenza immane... Spero solo che a pagarne il prezzo non sia la gente comune»: in uffici che paiono un alveare, William Walker commenta melanconico il proprio fallimento e la definitiva sconfitta di un'idea di pacificazione. La missione disarmata toglie le tende, 1400 osservatori dell'Osce lasciano in tutta fretta il Kosovo. «Non è un annuncio indiretto dell'intervento Nato recita la posizione ufficiale solo l'effetto di condizioni di sicurezza precipitate in pochi giorni». L'evacuazione s'inizierà alle sei di stamani, direzione Skoplje. I serbi dicono che non la intralceranno. Nel palazzone che avrebbe dovuto simboleggiare l'instaurarsi di un potere nuovo, sovranazionale, pacifico, mediatorio, adesso falangi di impiegati corrono e bestemmiano, ingorgano di fogli i tritadocumenti, distruggono tutte le carte che non potranno portar via. Qualcuno domanda: tu rimani? Potrei lasciarti una valigia con le mie cose? Sai, possiamo partire con quindici chili di bagaglio al massimo e non credo che torneremo mai. Più che un'evacuazione precauzionale, questa sembra una fuga: quale disonorevole fine per una missione che avrebbe dovuto condurre alla pace attraverso l'informazione, l'investigazione, il semplice e terribile strumento della verità. Eppure Walker, generale americano mai veramente entrato nel ruolo del diplomatico, continua a sostenere che le cose sono andate bene, che qualche risultato si è raggiunto: «Abbiamo fatto tutto quel che potevamo accettando il ruolo di osservatori disarmati, muovendoci sempre nell'ambito di prerogative molto ristrette... Questa missione escludeva l'uso della forza, ha segnato l'ultima chance di una soluzione pacifica: ora siamo nella fase in cui muovere questo processo richiederà sforzi molto più robusti». Sono circa quattrocento gli aerei della Nato che si apprestano a mettere in atto il «robusto sforzo»: più di quarantamila i soldati jugoslavi che in Kosovo aspettano le incursioni per scatenare furiose rappresaglie. Il bilancio dovrebbe far rabbrividire, e forse sarebbe proprio questo il momento di pen- sare a come sarebbero andate le cose se l'Osce avesse svolto un ruolo di osservatore obiettivo. Tutto è precipitato in meno di cinque mesi, non appena si è compreso che la missione era spaccata in due (alla guida americani e inglesi, sotto, tutti gli altri) e che 1 suoi stessi capi la pensavano in maniera opposta. Walker sempre più sbilanciato in atteggiamenti antiserbi, premature condanne, giudizi privi di riscontri, mentre il suo vice, il francese Keller, esprimeva ogni volta posizioni diverse con risultati spesso in bilico fra l'irritante e il grottesco. I commenti sulla strage di Racak, nel gennaio scorso, avevano segnato il punto di rottura, con il decreto d'espulsione di Walker poi congelato dal governo di Belgrado. Adesso questa autoespulsione di massa sembra pesare anche sul morale del capo. «Oltre al dispiacere e alla frustrazione - continua Walker provo una certa ansietà per la gente che ci lasciamo alle spalle. Penso alle 1500 persone che hanno collaborato con noi, vorrei poterle portar via tutte, ma non è possibile. Mi spiace davvero: credo che anche per la popolazione la presenza di quelle auto color arancione e di quegli osservatori sul terreno abbia costituito un conforto. Adesso, spero che tutti si rendano conto di quanto la situazione si sia fatta grave...». Se ne rendono conto, signor generale. Basta percorrere la lunga strada invasa dalle neve e percorsa solo da pullman, che dalla Metohja taglia in due il Kosovo, punteggiata da blindati e postazioni militari, sventrata dal transito di chissà quante coppie di cingoli. Basta parlare con qualsiasi kosovaro, serbo o albanese che sia: tutti lividi di paura, e per una volta d'accordo nel prevedere le conseguenze di un bombardamento della Nato. Giovane interprete albanese: «L'Osce se ne va e ci lascia in balìa dei serbi. La Nato bombarda e quelli si vendicano su di noi. Ci sarà una strage...». Giovane interprete serba: «Io abito in un palazzo a maggioranza albanese. Se la Nato bombarda e l'esercito reagisce, poi gli albanesi se la prenderanno con noi...». Un anno e mezzo di polemiche, sei mesi di osservazione e «verifica» internazionale per giungere a questo risultato: il Kosovo abbandonato a se stesso, esposto alle conseguenze di incursioni Nato che qui scateneranno la legge della giungla, senza più freno alcuno. Alla fine del prossimo grande massacro i serbi appariranno ancora più cattivi, e il mondo potrà punirli con animo più leggero. 1 guerriglieri dell'Uck saranno in difficoltà, e per l'Occidente l'imbazzante partnership con quanti appena sei mesi fa definiva «terroristi», potrà risolversi più agevolmente. La necessità di «liberatori» sarà ancora più pressante: può anche trattarsi di alta strategia. Ma resta da capire come i grandi autori di questa trama pensino di controllare ciò che intanto accadrà fra i villaggi, le colline e le foreste di questa disperata regione. La neve, dall'altra notte, sta bloccando le attività militari, anche se il più sembra fatto. Esercito e polizia jugoslavi sono schierati lungo la direttrice Nord-Sud, ai confini con Mace¬ donia e Albania, lungo la dorsale d'Occidente che sui monti . della Cicavica nascondi? le principali basi «terroriste». Mentre a Parigi si discuteva del nulla, l'esercito ha condotto la più massiccia fase di «pulizia» {etnica, tattica, prebellica) mai vista da queste parti. Interi villaggi bruciano, l'area militarmente piu a rischio e ripulita, le solite colonne di profughi s'incrociano su poveri trattori senza saper bene dove dirigersi. Se mai «catastrofe umanitaria» si è annunciata, questi in Kosovo sono i giorni della vigilia. La partenza dell'Osco e di centinaia di operatori umanitari lascia i profughi al loro destino. A Belgrado intanto si svuotano le ambasciate. Tra oggi e domani, tutto il personale «non necessario» della rappresentanza italiana e degli uffici commerciali lasceranno «temporaneamente» la Jugoslavia. Cosi faranno anche gli uomini a Belgrado dei Paesi dell'Unione Europea e dell'Alleanza Atlantica. Entro questa sera gli ultimi addetti della sede diplomatica americana rimasti, una ventina, saranno fuori dalla Jugoslavia. Inghilterra e Belgio invitano i propri cittadini all'evacuazione. Un giornale ha fotografato l'ultimo graffito apparso sulla Knez Mihajlova. Si sforza d'essere scanzonato, dice: «Insomma, bombardate o no? Io devo cambiare i vetri di casa...». Meglio aspettare qualche giorno, caro signore. Giuseppe Zaccaria Inizia lo sgombero delle ambasciate Tra oggi e domenica gli italiani «non necessari» sono invitati a lasciare la Jugoslavia L'esercito serbo brucia decine di villaggi per sgomberare il campo nel caso di intervento delle truppe occidentali La missione Osce lascia Pristina e uno degli uomini dello staff chiude con un lucchetto il cancello di quello che per cinque mesi è stato il quartier generale della Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa

Persone citate: Giuseppe Zaccaria, Keller, Mace, William Walker