Con Glauco Mauri Enrico IV è nudo di Osvaldo Guerrieri

Con Glauco Mauri Enrico IV è nudo la recensione mmumm Prova d'attore al Carignano di Torino Con Glauco Mauri Enrico IV è nudo TORINO. Dovremo rassegnarci a considerare l'«Enrico IV» di Luigi Pirandello un dramma corale per attore solista? Ormai è quasi una prassi. Un grande interprete incarna il personaggio del titolo, gli dà ambiguità, dolore, istrionismo, delirio logico, anima tagliente o sgomenta, e intorno a lui «gli altri», i portatori d'acqua, le rotelline che, pur fra gli inceppamenti e gli slittamenti, rendono possibile la sublime mascherata del protagonista. Lo ridiciamo: è una prassi conso fidata. Per quale motivo lo spettacolo allestito da Maurizio Scaparro per l'Eliseo di Roma e per la Compagnia Glauco Mauri, in scena al Carignano fino al 28 marzo, sarebbe dovuto essere diverso, pur potendo essere diverso? Così questo «Enrico IV» ò lo spettacolo di Glauco Mauri, che ha intorno a sé Magda Mercatali, Gianni De Lellis, Pino Michienzi e altri. E' lui, l'attore che ogni volta ci sorprende e ci emoziona, il fulcro della favola pirandelliana. Lo è al punto che Scaparro sembra avergli sgombrato e ripulito il terreno intorno, eliminando orpelli, cancellando bellurie. La stanza dell'azione scenica ò di mattoni nudi. Il trono su cui siede il «pazzo», che dopo una caduta da cavallo si considera l'imperatore di Germania, è di gelido marmo bianco. Le luci sono quasi sempre fisse. Mauri, dunque. Il suo Enrico ha una fisionomia nuova. Non è più il ragionatore luci- Glauco Mauri in cena do, il filosofo di provincia che ci aveva consegnato Romolo Valli. Né il signore distaccato che ha visto e vissuto tutto, secondo la chiave di Salvo Randone. Non allude più all'attore nell'attore, al personaggio come metafora dell'attore, così come lo aveva visto Giorgio Albertazzi. L'Enrico di Mauri è un uomo ferito e malinconico. Vive nel presente di un'epoca scomparsa da ottocento anni, dapprima con mente perduta, poi con una consapevolezza spaventata, poiché sa di essere un prigioniero assoluto, murato in una prigione mentale che non gli dà scampo. E quando uccide il barone Beicredi, forse lo fa per ricadere nel pozzo profondo della volontaria clausura. Tutto questo, per Mauri, è occasione di gran teatro. Buffoneggia un poco, ma soprattutto soffre, si macera per i vent'anni di vita perduta, di amore non goduto, che nessun ritorno fra i «normali» gli potrà restituire. Guardatelo montare la mascherata; osservatelo cambiare registro quando, dal tagliente teorema della finzione, passa al malinconico riconoscimento di una irrimediabile solitudine; fissatelo nel sorriso dell'esilialo per sempre, la cui apparente levità si ghiaccia nella smorfia di un urlo muto. Il pubblico, a questo punto, non può che restituirgli un diverso, e più festoso, delirio. Osvaldo Guerrieri Glauco Mauri in scena

Luoghi citati: Germania, Roma, Torino