Un direttorio per far pace Di Pietro e Segni di Claudio PetruccioliGuido Tiberga

Un direttorio per far pace Di Pietro e Segni Il duello fra i due si è concluso (per ora) dopo una notte di trattativa nel comitato Un direttorio per far pace Di Pietro e Segni nseaosoeoravoce,unoercascunorenameno ROMA. Sarà vero quello che racconta Claudio Petruccioli che, il giorno dopo la maratona che ha azzerato il vertice dei referendari, la butta sul ridere: «Abbiamo fatto le quattro di mattina. E allora? Mi sembrava di essere tornato agli anni della politica universitaria, alle riunioni dell'Umili che cominciavano a cena e finivano all'alba. Non c'erano né scontri né litigi: solo una massa di persone convinte di essere l'ombelico del mondo...». Sarà vero anche quello che dice Segni, che di voglia di scherzare ne ha poca: «Il comitato non è una congrega di signorine. E' un movimento politico vitale: pieno di umori, spinte e contrasti». 0 quello che aggiunge il vice-dipietro Willer Bordon: «L'accordo lo abbiamo trovato a mezzanotte. Il resto lo hanno fatto la stanchezza e la nostra mania di voler discutere pure le virgole...». Sarà tutto vero. Certo è che alle quattro di ieri mattina, quando le porte del salone di via Belsiana si sono aperte lasciando uscire barbe lunghe e facce distrutte, l'aria dei protagonisti non era esattamente quella di chi aveva appena concluso una chiacchierata tra amici, magari un po' troppo lunga: Mario Segni non era più il portavoce del comitato, come aveva chiesto Di Pietro, ma solo perché il ruolo del portavoce era stato cancellato dall'organigramma. Al suo posto un direttorio che una volta si sarebbe potuto definire «lottizzato» e che oggi trova denominazioni più lievi. Un plotoncino di sei persone che, come spiega Bordon, «rappresenta i diversi orientamenti culturali»: l'ex presidente Luigi Abete, Giuseppe Basini di An, Antonio Martino di Forza Italia, Achille Occhetto dei ds, oltre naturalmente a Segni e Di Pietro, l'Elefante e l'Asinelio. «Il nuovo comitato direttivo spiega Abete leggendo al microfono il documento finale, approvato dopo migliaia di parole e decine di ritocchi - sostituisce la presidenza, il comitato esecutivo e la figura del portavoce, organi nei quali finora si era articolato il movimento e che erano esclusivamente finalizzati alla fase della raccolta delle firme...». Un compromesso prevedibile, annunciato dallo stesso Di Pietro come la soluzione più probabile, dando per scontato il rifiuto di Segni a rassegnare le dimissioni. «Era l'unica soluzione possibile», commenta l'ex ministro Martino, eletto nel direttorio pur avendo disertato la veglia di via Belsiana. «Ancora una volta, Segni ha avuto la funzione di padre del referendum - aggiunge Occhetto - venendo incontro alle esigenze sollevate da Di Pietro con una proposta organizzativa che di fatto ha risolto il problema...». In realtà, lo scontro c'è stato. E forse c'è ancora: non manca neppure il giallo delle dimissioni di Maurizio Chiocchetti dal ruolo di coordinatore, presentate intorno alle tre, che qualcuno ha descritto come polemiche contro Di Pietro. «Visto che al vertice ci sono sei persone, è da loro che doveva arrivare la mia riconferma», spiega lui, negando di non aver voluto stringere la mano all'ex pm. Il direttorio ha espresso ieri «all'unanimità» una dichiarazione di pubblica stima. Ma ieri sera le dimissioni di Chiocchetti non erano ancora rientrate: «Voglio pensarci ancora qualche ora...». Uno scontro duro, in cui nessuno vuole indicare un vincitore: «E' stata una partita sofferta, che si è conclusa di fatto con uno zero a zero», frena Antonio Barbera. Ma che tutti dicono di aver vinto: «Quella di dar vita a un nuovo comitato direttivo è una soluzione alla quale si è arrivati su mia proposta», taglia corto Segni. Di Pietro replica con una risata: «E bravo - ribatte, mentre arriva a piedi al vertice dei democratici in Largo Brazzà -. E allora spieghi pure perché abbiamo fatto mattina per arrivarci. Se era d'accordo poteva farla subito, la "sua" proposta, magari prima di fondare i comitati liberal-democratici per il Sì...». In campagna referendaria, ognuno andrà per conto suo. «Come si è sempre fatto», spiega Segni, che in un convegno di «Liberal» sul bipolarismo accelera i tempi dell'Elefante: «Non ho mai detto che le Europee non ci interessano», precisa. L'ipotesi non convince Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini, che lo ascoltano scettici. «Se loro perdono tempo - rilancia l'ex sottosegretario Diego Masi - noi andremo avanti da soli. Aspettando l'elefante avremo l'elefantino. Un nuovo partito? Sì, per fare da motore al Polo che verrà...». Guido Tiberga Il leader dei referendari Mario Segni

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