Belgrado preparo la guerra al mondo

Belgrado preparo la guerra al mondo Concentrazioni di truppe ai confini, imminente il razionamento alimentare. Manca la benzina Belgrado preparo la guerra al mondo / mediatori: questione di ore il fallimento del negoziato BELGRADO DAL NOSTRO INVIATO Questa volta il ritorno in Jugoslavia ha richiesto valigie più pesanti del solito: colpa della frase di cortesia che prima di partire si usa dire per telefono ad amici e colleghi di questa parte d'Europa. Se prima chiedevi «ti serve qualcosa?» al massimo ti segnalavano una certa marca di sigarette, adesso tutti hanno risposto: «Si, per favore: qualche busta di caffè». Un genere di conforto che d'un tratto diventa prezioso, un piccolo segno di come la Serbia si stia preparando al peggio. Per le strade di Belgrado cominciano a vedersi molti, molti altri segnali: le file interminabili ai distributori, por esempio. Il gasolio manca quasi del tutto, la benzina scarseggia. Bisogna rifornire l'esercito, che continua a inviare verso il Kosovo lunghe colonne su cui giganteggiano i carri B-72, mostri da battaglia campale. Nei negozi la merce comincia a mancare, le famiglie si sono rifornite finché hanno potuto. Un giornale popolare, il «Dnevni Tele grafi), annuncia che in una tipografia dello Slato si cominciano a stampare tessere annonarie. Ufficialmente dovrebbero servire a «razionalizzare il mercato alimentare)), ma lo spettro del razionamento e più allarmante dell'ombra di quei jet che fra pochi giorni potrebbero piombare da ( (elidente. Il dinaro jugoslavo comincia nuovamente a precipitare, si riapre il dibattito sui rifugi antiaerei, di cui Belgrado e sempre stata munita ma che ormai si sono trasformati in discoteche o magazzini. Qualcuno, discretamente, fra canti d'ispirazione cetnica e dichiarazioni di patriottismo (la pressione della tv di Stato comin- eia a farsi ossessiva) programma lunghe gite per i familiari in direzione Budapest o verso il Montenegro. Il ministro della Sanità si affanna a smentire un ordine in base al quale sarebbe stalo suggerito agli ospedali di mandare a casa i ricoverali meno gravi per lasciare posti-letto liberi in caso di guai. Donne (patriottiche» manifestano nei pressi del Parlamento, sventolando ritratti di Milosevic fra passanti distratti. Non c'e proprio più nulla da fare, dunque? Le poche fonti fidate di area governativa scuotono il capo e rispondono: «Ho paura di no». Il gioco si è spinto troppo avanti. Si sta andando verso la guerra perché solo un'onorevole sconfitta può consentire all'oligarchia serba di restare aggrappata al potere, e paradossalmente solo una vittoria militare può spingere la Nato, gli Stati Uniti, l'Occidente verso una sconfitta politica disastrosa. La «Rambouillet due», quel dialogo tra sordi che da tre giorni si trascina al Centre Kléber di Parigi, appare sempre più prossima al collasso. Wolfgang Petrisch, uno dei tre mediatori europei, dice che ormai la rottura è solo «questione di ore». James Rubin, portavoce del Dipartimento di Stato, aggiunge che i serbi «non discutono seriamente». Milan Milutinovic, ministro degli Esteri di Belgrado, messo di fronte a un documento partorito in tre settimane dai colloqui fra Gruppo di contatto e parte albanese, taglia corto e lo definisce «una truffa». Il mediatore russo, Boris Mayorsky, sposa la tesi serba caricandola di ironia: «Una di¬ chiarazione unilaterale - dice non può essere un accordo, per ballate il tango bisogna essere almeno in due». . Qui appaio sempre più prossimo il momento in cui balleranno tutti, e senza movenze eleganti: se la metafora vale, del tango resteranno solo quei passi drammatici che paiono riflettere gli spasimi della fine. In Kosovo l'offensiva serba è ormai totale, cadono altri villaggi che venivano considerati santuari dell'Uck. La preparazione alla guerra continua senza più ma¬ schere. Ieri il generale Nejbosa Pavkovic, comandante la regione di Nis, si è rivolto ai suoi soldati per dire che «l'esercito impedirà a ogni costo l'ingresso di truppe straniere sul territorio jugoslavo, e i suoi soldati sono pronti a lottare con dignità patriottica». I morti non si contano più. E sempre più esposto al tiro incrociato delle fazioni, anche l'Osce torna a preparare l'esodo dei suoi disarmati osservatori. C'era una scadenza, ieri, che avrebbe potuto segnare una svolta nei fìnti colloqui di queste ore: a Pristina la Commissione medica finlandese chiamata a pronunciarsi sulla strage di Racak avrebbe dovuto fornire i risultati delle autopsie. Ai primi di gennaio, la crisi era tornata a infiammarsi proprio partendo dal villaggio di Racak: 40 albanesi uccisi in quello che i serbi descrivevano come «scontro armato coi terroristi» e William Walker, capo americano della missione Osce, aveva invece definito «un massacro». Se ci fosse stata la prova delle brutalità serbe, anche i colloqui francesi avrebbero virato verso il peggio. Il contrario avrebbe rafforzato le tesi serbe. Nulla di tutto questo: quel che ieri la signora Helena Ranta, leader dell'equipe medico-legale, è riuscita a dire a un centinaio di giornalisti di tutto il mondo meriterebbe un premio europeo all'ipocrisia. Gli albanesi erano civili, questo sì, ma forse «civili armati», che sarebbe come dire guerriglieri. C'è stato un «massacro» a Racak? No, rispondeva l'esperta, questo non è scritto nel rapporto. C'è scritto che non si può dire in quali circostanze quei 40 kosovari siano stati uccisi. C'è scritto che lo scenario dell'eccidio non fu manipolato. Insomma: due mesi d'indagine, di furiose polemiche politiche, di speculazioni per giungere a questo risultato. Tirata per i capelli la signora Ranta è giunta ad affermare: «Sì, questo è stato un crimine contro l'umanità». Tranne aggiungere subito dopo che «l'intera guerra in Kosovo rappresenta un crimine contro l'umanità». Un'altra scoperta sensazionale: chissà cosa si potrà dire dopo i bombardamenti della Nato. Giuseppe Zaccaria la bozza di accordo sul Kosovo preparata a Parigi è stata definita «una truffa» dal ministro degli Esteri jugoslavo Esce il rapporto della Commissione medica finlandese sulla strage di Racak (40 albanesi uccisi): non indica i responsabili Carri armati dell'esercito jugoslavo diretti a Kosovska Mitrovica