Storie di Città

Storie di CittàStorie di Città OGGI sbrigo un po' di posta arretrata. Fa piacere ricevere dai lettori richieste di spiegazioni e lumi su antichi termini e modi di dire piemontesi poiché grazie a loro mi illudo per un momento di essere quello che non sono, cioè un esperto in questo campo. Inoltre le loro domande mi autorizzano a navigare spensieratamente fra dizionari, repertori e rievocazioni storiche. La signora Maria Teresa Gardella di Torino vorrebbe conoscere la traduzione italiana di Morela, parola che, dice lei, «in piemontese indica la bocca sporca, specialmente dei bambini». Il nuovo Gribaudo la fa derivare da Moro (pronuncia Murai che sta per Faccia, Muso. In particolare la Morela è «il viso sporco dei bambini dopo il pranzo». Ricordo che quando eravamo bambini le nostre madri, per toglierci dai piedi, ci mandavano in drogheria a comprare un etto di Moro Pist. E aggiungevano: «Die che se l'arten ca t'iu pista». Noi correvamo nel negozio a dire a voce alta l'equivalente di: «mia mamma ha detto che mi dia un etto di muso pestato e che se non ce l'ha di pestarmelo». Il signor Carlo Bongiovanni scrive: «Ricordo con nostalgia un pezzo di una vecchia canzoncina torinese e mi farebbe molto piacere conoscere il seguito e il titolo. Ecco un pezzo che ricordo: «Twin it'ses la mia vita I Turin chi l'ias la punta drita / turin el bel pais d'ie caramele». Non sono in grado di aiutarlo e spero che qualche cortese lettore voglia venire in soccorso al signor Bongiovanni. Smentendo l'opinione che vuole i giovani non interessati al piemontese, una studentessa di Scienze Forestali di Cumiana, Marzia Verona, scrive una bella e consolante lettera, raccontando che lei e i suoi compagni di studio hanno iniziato un gioco che si è fatto via via più serio. Si trattava di confrontare i diversi vocaboli che designano il medesimo oggetto nelle varie parti del Piemonte. Scrive tra l'altro Marzia: «Adesso ho un quaderno suddiviso in colonne: nella prima c'è il termine italiano, le altre sono destinate ai diversi Comuni, vicini e lontani. C'è stato bisogno di un confronto tra Mondovì e Roccaforte Mondovì, non solo tra Forno Canavese e Canale d'Alba. E cosa dire delle differenze tra Cumiana e Giaveno, al massimo 10 chilometri di distanza? Abbiamo iniziato con i nomi delle piante arboree; in fondo è il nostro campo, può anche tornare utile in una futura attività professionale. Infatti è molto più probabile che ci troveremo a trattare con persone che parlano piemontese che non inglese, tedesco o fran¬ cese. Una volta dato il via, è venuto automatico procedere con nomi di animali, erbe, oggetti di uso quotidiano, attrezzi... Il nostro problema è la corretta grafia: quali regole seguire?». Io credo che esistano strumenti idonei, mi sentirei di consigliarvi la Grammatica della lingua piemontese di Camillo Brera e Remo Bertodatti pubblicata dall'Artistica Savigliano nel 1993. Continua la lettera di Marzia: «Le posso assicurare che è stato un fenomeno contagioso: a volte ci chiediamo il perché dell'etimologia di certe parole, ma non abbiamo avuto successo con la Ciciagaia (salamandra in quel di Mondovi): che parentela ha con le varie Piuvan-a (Cumiana), Piuvèna (Giaveno) o Gu labr-na (Prarostino)?». Gentile signorina Marzia, è consolante sapere che c'è qualcuno che coltiva di queste curiosità, per il solo gusto di conoscere meglio una lingua che rischia l'estinzione. Credo, ma non ne sono sicuro, che un lavoro simile al vostro lo stiano facendo all'Atlante linguistico italiano. Se posso darvi un consiglio, andate alla Facoltà di Lettere e bussate alla porta del professore Gian Luigi Beccaria; mostrategli il vostro quaderno, sono sicuro che vi accoglierà a braccia aperte. Infine la signora Margherita Viarengo mi pone una serie di quesiti a parte dei quali posso rispondere con l'unico strumento che possiedo, l'impareggiabile dizionario di Vittorio di Sant'Albino. Anche in questo caso prego i cortesi lettori che ne sanno più di me di venire in soccorso. Si tratta di termini che usava'una sua nonna. La signora ricorda un i;ioco della Pover del pinpirinpin e del pinpirirnpara, eh' pi as goarda e men s'ampara. E' il gioco del biribara, dove chi più vede meno impara. Si dice dei saltimbanchi quando nei loro giochi di destrezza fingono di avere un segreto per darsi importanza. Ammodernato, è il gioco dei nostri governanti, che ogni giorno inventano una nuova maniera per spillarci quattrini. Invece Ande an cianpanele vale per «uscire dai gangheri, dar nelle girelle, nei gerundi, nei lumi, ossia andare in collera». La differenza tra Martuf e Maruf. Il primo è un villano, zotico, rustico. Il secondo invece è un burbero, austero, intrattabile, dispettoso, arcigno, torvo. Il Renanbon è l'emolumento incoilo, casuale. Infine il lettore Luciano Bosotti, per rispondere alle pressanti domande di un tiglio, vorrebbe sapere il punto preciso di coreo Casale dov'è caduto, ferendosi mortalmente, il povero e sfortunato Serse Coppi. Anche qui, c'è qualcuno in grado di rispondergli? Grazie a tutti i lettori che ci scrivono. di Bruno Gamba rotta