LA GLOBALIZZAZIONE E' GIA' PIENA DI CREPE

LA GLOBALIZZAZIONE E' GIA' PIENA DI CREPE LA GLOBALIZZAZIONE E' GIA' PIENA DI CREPE Le false (e pericolose) meraviglie del liberismo HA cosi giovane, e sembrava godere di ottima salute, capita di sentir dire con rimpianto. Nel caso in questione il rimpianto, se ha da essere, va riferito non ad una persona, bensì ad un'idea, quella di globalizzazione. L'hanno usata ogni giorno, da una decina d'anni, per spiegarci che tutti i mutamenti che osserviamo attorno a noi, dalle megafusioni d'imprese alle guerre del latte ed alla crisi della coppia, sono dovuti al fatto che il mondo sta diventando mondiale, il pianeta planetario e il globo terrestre, manco a dirlo, globale. Accompagnandola sempre, l'idea, con due o tre sottolineature: la mondializzazione del mondo, ovvero la globalizzazione del globo per mezzo d'un libero mercato in assenza di interventi governativi, è un processo assolutamente irresistibile; in realtà è ormai praticamente compiuto, e se ad esso uno si sa adattare con animo aperto e imprenditivo, le sue conseguenze non potranno che essere benefiche per tutti. Da qualche tempo, peraltro, un'idea di di sì belle speranze mostra sintomi d'infermità non trascurabili. Anzitutto ha infierito su di essa una serie di eventi che essa non prevedeva. Dall'estate 1997 ad oggi Iti crisi susseguitesi nell'Asia sud-orientale (dove, tanto per ricordare un dato, vi sono paesi come l'Indonesia in cui il reddito annuo prò capite.1 è sceso da 1200 dollari a 300), nell'America Latina, e in Russia, hanno dimostrato che nel meraviglioso meccanismo della globalizzazione qualcuno si è evidentemente scordato di inserire alcune importanti rotelle. Poi ci si sono messi gli studiosi. Negli Stati Uniti con in Europa ricercatori appartenenti, va notato, a tutto l'arco ideologico e teorico delle scienze sociali hanno cominciato a mettere in luce, con una fitta serie di saggi e di libri, le crepe della vulgata corrente dell'idea di globalizzazione. Un buon campione di tale pubblicistica critica sono i libri di Gray e di Bellofiore, il primo docenti; alla London School of Economics, il secondo all'università di Bergamo. Gray, storico di professione, prende di mira in special modo l'assunto per cui il libero mercato svincolato dall'intervento statale, padre generoso della globalizzazione, sia una condizione naturale dell'economia che autonomamente viene a stabilirsi una volta che sia eliminata l'interferenza politica sugli scambi. Al contrario il libero mercato è una costruzione del potere statale, che questo cerca di realizzare comunque con la forza, politica, economica e non di rado militare, come mostra la breve storia del laissezfaire nel secolo scorso. Intrinsecamente instabile, anche il mercato globalizzato, non è in grado di autocontrollarsi più di quanto non facessero i liberi mercati del passato. Appare già oggi pericolosamente sbilanciato, e se non verrà sottoposto ad una radicale riforma, nel senso di una articolata regolamentazione, «l'economia mondiale rischia di precipitare in una replica, tragica e ridicola insieme, di guerre commerciali, gare alla svalutazione, collassi economici e sconvolgimenti politici, come negli Anni 30». per cui il libero mercato svincolato dall'intervento statale, padre generoso della globalizzazione, sia una condizione naturale dell'economia che autonomamente viene a stabilirsi una volta che sia eliminata l'interferenza politica sugli scambi. Al contrario il libero mercato è una costruzione del potere statale, che questo cerca di realizzare comunque con la forza, politica, economica e non di rado militare, come mostra la breve storia del laissezfaire nel secolo scorso. Intrinsecamente instabile, anche il mercato globalizzato, non è in grado di autocontrollarsi più di quanto non facessero i liberi mercati del passato. Appare già oggi pericolosamente sbilanciato, e se non verrà sottoposto ad una radicale riforma, nel senso di una articolata regolamentazione, «l'economia mondiale rischia di precipitare in una replica, tragica e ridicola insieme, di guerre commerciali, gare alla svalutazione, collassi economici e sconvolgimenti politici, come negli Anni 30». Il libro di Gray e quello di Bellofiore concordano nel negare che la globalizzazione significhi convergenza delle economie mondiali verso uno stato di uniforme integrazione. Al contrario, essa accresce le disuguaglianze e gli squilibri a tutti i livelli: tra i continenti, tra i paesi, e all'interno di ciascun paese. A livello continentale, basti un dato. In circa vent'anni di globalizzazione la quota prodotta dall'Africa sul Pil mondiale è scesa da circa il 5% all' 1,5%. In altre parole, se l'intero continente africano scomparisse nella notte, dal punto di vista economico quasi nessuno se ne accorgerebbe. A livello paese, Gray ricorda che tra il 1973 e il 1995 la retribuzione media dell'80% dei lavoratori americani è diminuita in termini reali (ossia depurati dall'inflazione) del 18%, mentre quello dei dirigenti aumentava, al netto delle tasse, del 65%. Gli squilibri in parola sono poi aggravati dal fatto che la globalizzazione consiste soprat¬ tutto in un predominio spropositato dell'economia finanziaria sull'economia reale, ovvero degli scambi aventi fini esclusivamente speculativi sugli scambi di beni e servizi. Migliaia di miliardi di dollari al giorno volano così da un paese all'altro in cerca non di investimenti produttivi, bensì di profitti a breve o brevissimo termine, il che vuol dire, per oltre il 40% dei capitali scambiati, a una settimana o meno; mentre il grosso degli scambi reali, continua a verificarsi all'interno delle solite grandi aree economiche. Nel caso dell'Unione Europea, ad esempio, tre quarti degli scambi generati dai paesi membri hanno luogo entro la stessa Ue. Ben presente anche nell'opera di Gray, il destino del lavoro ai tempi della globalizzazione occupa il centro della scena nel libro curato da Bellofiore. Contro interpretazioni in voga, alla Rifkin, si sostiene qui che il lavoro non sembra affatto destinato ad aver fine, non certo come genere d'attività, e men che mai nella sua forma storica di lavoro salariato. In effetti non vi sono mai stati tanti salariati al mondo quanti se ne contano oggi: almeno 2 miliardi, cui va aggiunto un altro mezzo miliardo di lavoratori a vario titolo definibili come indipendenti. In complesso, una cifra equivalente a una raddoppio tra il 1965 e la seconda metà degli Anni 90. Ciò attesta che gran parte della crescita demografica del periodo ha potuto essere convertita in un aumento proporzionale dei posti di lavoro, anche se una parte cospicua dell'incremento non è imputabile ad un incremento netto dei posti di lavoro, ma piuttosto ad un travaso di questi dall'economia informale dei villaggi all'economia formale delle città. Per di più, gli orari effettivi di lavoro, anche nei paesi avanzati, non sono affatto diminuiti negli ultimi vent'anni; in parecchi settori produttivi sono anzi aumentati. E' però avvenuto che la stabi¬ lità del volume complessivo di lavoro si sia accompagnata ad un forte aumento dei lavori di bassa qualità, e quasi dovunque di natura precaria. La vantata moltiplicazione dei lavori consistenti unicamente nella manipolazione di simboli, donde l'espressione «lavoratori della conoscenza», continua a interessare in tutto il mondo una quota limitata di persone; salvo definire in tal modo anche l'immissione nel computer, otto ore al giorno, dei dati di fatture o di ricevute di carte di credito. Conclude Bellofiore: «Quel che deve essere chiaro è che oggi, su tutti i terreni - da quello della ricerca a quello dell'intervento - ci si deve muovere controcorrente».. Viste le dimensioni e la forza della corrente formata dai luoghi comuni in tema di globalizzazione e dintorni, l'impresa appare quasi sovrumana. Questi due libri mostrano però che è possibile. Luciano Gallino Tra il 1973 e il 1995 la retribuzione reale deirs()% dei lavoratori americani è diminuita del 18% mentre quella nella dei dirige/ili è cresciuta del 65% // mercato non è in gradi) di controllarsi e se mancano le regole crescono gli squilibri: la quota dell'Africa sul Pil mondiale è scesa in 20 anni dal 5 all'I,5% IL LAVORO DOMANI a cura di Riccardo Bellofiore Bes Edi/ioni pp 269. L 30.000 ALBA BUGIARDA John Gray Ponte alln Grazie pp.309. L 30 000

Luoghi citati: Africa, America Latina, Asia, Bergamo, Europa, Indonesia, Russia, Stati Uniti