Meno Stato non vuol dire cedere ai privati i panettoni di Luciano Gallino

Meno Stato non vuol dire cedere ai privati i panettoni REPLICA A TREMONTI Meno Stato non vuol dire cedere ai privati i panettoni REDO abbia ragione Giulio Tremonti quando scrive che molto della crisi economica italiana dipende dalla politica fatta a partire dal 1992 Eer il risanamento dei conti publiei. Ma subito dopo il ragionamento di Tremonti esce di strada quando afferma che l'errore di tale politica sarebbe consistito nel non prendere sul serio il Trattato di Maastricht. Quest'ultimo chiedeva meno Stato, più privato. Invece in Italia, secondo Tremonti, si sarebbe fatto l'opposto. Va ammesso che le prove addotte da Tremonti per sorreggere tale teorema non sono di per sé inesistenti. Si può concedere che l'aumento complessivo della pressione fiscale e parali scale sulle famiglie, insier.itì con la scomparsa di fatto dei redditi da risparmio - perdio questo significano in effetti tassi di interesse al 3 per cento con l'inflazione al 2 per cento - abbiano influito negativamente sulla propensione delle famiglie stesse a domandare servizi e beni di consumo. Ed a questi fattori di freno dell'economia non esiterei ad aggiungere, con Tremonti, l'eccesso di normazione, il quale sta davvero facendo sentire a chiunque debba operare in ruoli di pur minima responsabilità, nel pubblico come nel privato, i sintorni di una incipiente asfissia. Ciò premesso, bisogna pur dire che imputare la crisi economica italiana quasi per intero ai suddetti fattori, come fa Tremonti, equivale a sostenere che il motore dell'auto si è bloccato perché il tergivetro funziona male, o perché si è rotto un fanalino posteriore. Il motore dell'economia italiana si è bloccato perché da ancor prima del '92 i governi italiani si sono impegnati con particolare attenzione nell'evitare di concepire ed attuare una politica industriale. Prima del '92 lo facevano, diciamo così, per distrazione. Dopo il '92 - ed in questo si è specialmente distinto il governo Berlusconi di cui Tremonti faceva parte - non soltanto essi hanno insistito nel non realizzare alcuna politica industriale, ma hanno pure abbracciato la teoria per cui giova al bene comune che lo Stato non prenda in tale campo la minima iniziativa. In questo impegno i governi italiani dell'ultimo decennio sono stati e sono unici al mondo. Tutti gli altri Paesi avanzati perseguono con abilità e determinazione articolate politiche industriali, aventi come primo obiettivo la salvaguardia dei propri interessi nazionali, della propria capacità competitiva e delle pro- I inter I capa prie forze di lavoro. E' per mezzo di una politica industriale orientata, incentivata e regolata dallo Stato e dalle sue varie agenzie, che negli Anni 90 gli Usa hanno conquistato il dominio assoluto nel campo delle tecnologie infotelematiche; il Giappone è diventato il maggior produttore mondiale di elettronica di consumo; la Germania si è confermata più che mai un gigante della meccanica e della chimica; la Francia sta mettendo insieme il secondo o terzo polo aerospaziale del mondo, mentre la Svizzera - la piccola Svizzera - ha creato veri colossi nell'industria farmaceutica, in quella alimentare e nel settore bancario. Intanto i governi italiani, i soli sul pianeta a credere che l'espressione «meno Stato» voglia dire che lo Stato non deve immischiarsi in cose tanto terrene come la politica industriale, guardavano dall'altra parte. Così evitavano di .vedere la scomparsa dell'industria aeronautica (nemmeno nel consorzio Airbus vollero a suo tempo entrare), il decesr; so dell'informatica nazionale, l'estinzione della chimica delle materie plastiche, il passaggio di quasi tutta l'industria alimentare in mani straniere. Meno che mai li toccava il fatto che la cessione per poche lire a privati d'oltralpe e d'oltremare di veri gioielli delle partecipazioni statali (per dirne uno, la Nuovo Pignone) dopo pochissimi anni stia già portando all'avverarsi della più facile delle previsioni: se intende tagliare posti di lavoro, il proprietario d'oltralpe o d'oltremare li taglia prima di tutto qui da noi, non a casa sua. La clùave della prolungata crisi italiana non sta dunque nel troppo Stato, bensì in una classe dirigente che attraversa tutto lo schieramento politico, la quale non sembra aver ancora capito che è sicuramente bene che lo Stato non produca direttamente panettoni o biciclette o crociere turistiche. Ma ò un grosso guaio se esso rinuncia persino a produrre politiche industriali. Luciano Gallino ino |

Persone citate: Berlusconi, Giulio Tremonti, Tremonti

Luoghi citati: Francia, Germania, Giappone, Italia, Svizzera, Usa