I misteri del Grande Gioco di Mimmo Candito

I misteri del Grande Gioco I misteri del Grande Gioco Non è solo una guerra di armi e etnie Magari fosse vero, che in Afghanistan scoppia la pace. Come vorrei esserci allora, a Kabul, a vedere Massud che scende dalle sue montagne di neve e viene ad abbracciare il vecchio nemico, il mullah Omar schiodato finalmente dalle stanze inaccessibili di Kandahar. Lui, il leone del Panjshir, con la faccia verde e furba dei tagiki, e il mullah invece con il suo occhio obliquo e la pelle bianca - stretti i due in un abbraccio dove, certamente, ognuno penserebbe anzitutto a controllare le mani e le maniche dell'altro, che non nascondano pugnali. Perché, in Afghanistan, un uomo disarmato è un uomo che s'apparenta con la morte. Le notizie che ci arrivano dal Turkmenistan raccontano realmente di un «primo accordo», che dovrebbe portare presto a un governo di unità nazionale. Sarà anche così, però l'esperienza di chi ha frequentato a lungo le tribù afghane, e i loro odi, e le loro guerre fuori dal tempo, consiglia un sano scetticismo di fronte a ogni ipotesi di pacificazione: tanto che l'ultima volta che son riuscito a entrare in Afghanistan - appena pochi mesi fa - e ho parlato con i ministri più potenti del regime dei Taleban (islamici Pashtun di fede sunnita), era evidente che loro a tutto pensavano, tranne che a cedere di un solo millimetro la loro fanatica intransigenza politico-religiosa. Non è dunque un caso che questo «primo accordo» non comprenda la partecipazione di Hezb-i Wahdat, cioè la formazione militare e politica dell'etnia Hazara, che domina nella regione nordoccidentale dell'Afghanistan e ha nell'Iran - per la comune fede sciita - un prezioso sponsor. Sul terreno, poi, gli Hazara sono alleati con il comandante Ahmed Shah Massud, l'ultimo baluardo che si opponga in modo militarmente credibile al controllo totale dell'Afghanistan da parte degli «studenti» Taleban. E' vero che tradimenti e passaggi di campo sono pratica comune, nella lunga guerra afghana; ma fin che Massud e il presidente (ufficialmente in carica) Rabbani non avranno sottoscritto anch'essi un progetto di accordo, queste notizie vanno prese, al massimo, come mi impegno di buona volontà, e, al mini¬ mo, come una delle tante fasi tattiche d'un conflitto che non e soltanto una guerra di uomini e di cannoni e di etnie, ma anche una lotta per lo controllo delle vie del petrolio e per l'accesso alle acque calde; del Golfo. Insomma: l'accordo - «un primo accordo» - magari c'è, ma pare un altro di quegli accordi che in tutti questi anni hanno continuato ad accompagnare le cannonante e i massacri senza mai riuscire a imporre il silenzio definitivo delle armi. Perché il problema di fondo non son tanto quelli che combattono sul terreno - i Taleban da una parte, e l'Alleanza del Nord dall'altra - quanto gli sponsor che gli mandano soldi, armi, e istruttori: dal '79 l'Afghanistan è una sorta di canijK) di battaglia dove i combattenti credono di fare la loro «guerra nazionale» e invece sono marionette i cui fili sono tenuti e mossi in altre terre, in Pakistan e in Iran anzitutto, ma poi anche in Usa e in Russia, nel Golfo dei wahabiti, fino al giro misterioso che mette assieme alcune multinazionmali petrolifere e gli ex-membri asiatici dell'Urss padroni dei giacimenti del Caspio. Dietro questo «primo accordo» è possibile che passi, piuttosto, la consapevolezza che nelle montagne dell'Afghanistan (comunque uno dei più affascinanti scenari naturali del pianeta) sta per cominciare il tempo del disgelo; e si prepara la ripresa massiccia della guerra. Massud, chiuso nel suo ridotto del Panjshir, si trova in una situazione militare oggi più debole? che nel passato, perche l'avanzata dei Taleban prima dell'invento gli ha ristretto ulteriormente le vie dei rifornimenti; e anche se i suoi uomini conservano postazioni che possono minacciare Kabul, l'interesse che l'Alleanza ha per una tregua delle anni si mostra ora più convinto che mai. Basta, tutto (mesto, a lascia™ immaginare una fine reale della lunga guerra? Speriamoci, però il biglietto per Kabul non lo staccherei ancora. Mimmo Candito II premier pakistano Nawaz Sharif Il Pakistan ha accolto l'intesa definendola una tappa verso una pace duratura

Persone citate: Ahmed Shah Massud, Massud, Nawaz Sharif, Rabbani