Si spaccano i referendari di Ugo Magri

Si spaccano i referendari Il senatore chiede la convocazione del Comitato promotore per discutere il ruolo del nuovo «rivale» Si spaccano i referendari Di Pietro contro Segni: si dimetta ROMA. L'ira di Antonio Di Pietro si è materializzata, improvvisa, via fax. Tre sole righe per chiedere la convocazione urgente del Comitato referendario e li discutere una buona volta il ruolo di Mario Segni. «La deve smettere di usare il referendum per portare voti al mulino del Polo», si è sfogato con gli amici il leader dell'Italia dei valori. La resa dei conti avverrà mercoledì pomeriggio nella sede di via Belsiana, cioè in pratica nelle stesse stanze elove Segni ha anche il suo ufficio privato. Di Pietro si prepara a un'intemerata delle sue, di quelle che fanno tremare i muri. Finirà - salvo sorprese - con le dimissioni di Segni da portavoce tlel comitato. Il professore rientrerà oggi da Londra, dov'era stato invitato dal governo di Sua Maestà britannica per una serie di incontri sul sistema elettorale, ma ha già fatto riservatamente sapere che è pronto a compiere il passo indietro. Anzi, lui stesso lo aveva in qualche misura suggerito nei giorni scorsi, proprio per garantirsi una maggiore libertà d'azione. «Voglio operare come semplice promotore del referendum, tipo Eco o Occhetto», ha confidato. Di sicuro, Segni non rinuncerà ai suoi progetti politici che lo vedono impegnalo a costruire in Italia il partito dell'elefante, qualcosa di molto simile al partito repubblicano d'America. A quattro settimane dal voto del 18 aprile si annuncia, insomma, una clamorosa spaccatura nel fronte referendario: da una parte la sinistra, dall'altra la destra. Quello che era stato finora un punto di forza, cioè l'accoppiata Segni-Di Pietro, rischia di diventare un tallone d'Achille alla vigilia di appuntamenti importanti. Domani i referendari saranno ricevuti in pompa magna al Quirinale dal presidente Scalfaro. Sabato è prevista la prima manifestazione della campagna elettorale, con adunata in piazza Navona. E il martedì successivo, al ristorante Primoli di via Soldati, un'ottantina di vip si mobiliteranno per un banchetto elettorale. Quest'atmosfera festosa rischia di essere rovinata dalle liti interne al Comitato. Ecco perché nelle ultime ore si moltiplicano gli sforzi di mediazione per evitare che le dimissioni di Segni producano gravi danni d'immagine. Il più attivo di tutti, nelle vesti di «pompiere», è il presidente del Comitato, Luigi Abete. Fu lui, un anno e mezzo fa, a mobilitare Di Pietro al fianco di Segni, ora cerca di far da paciere tra i due con la consumata abilità negoziale di ex presidente della Confindustria. «Non sarebbe la prima volta che ci riesce», garantiscono i suoi collaboratori. Ma stavolta la missione sembra quasi impossibile. Il dissidio è esploso mercoledì scorso, quando Di Pietro in tivù ha visto le immagini della conferenza stampa di Segni, Fini e Casini che davano vita ai Comitati liberaldemocratici per il Sì. «Questo è inaccettabile», ha detto subito ai suoi, «gli elettori del centrosinistra penseranno che, votando sì, aiuteranno un'operazione di destra. E magari non andranno nemmeno alle urne...». Di qui l'offensiva: Segni deve mollare subito l'incarico di portavoce. «Era stato scelto per quell'incarico quando si era allontanato dalla politica attiva», spiega Willer Bordon, che rappresenta il partito dell'Asinelio nel Comitato referendario, «ma nelle ultime settimane ha fatto consapevolmente la scelta di rigettarsi nella mischia. Ne ha ovviamente tutto il diritto, e può essere anzi perfino un bene dal punto di vista di noi Democratici, perché spinge verso un'Italia più bipolare. Però intanto un problema si pone». Le dimissioni di Segni lascerebbero al vertice del Comitato il solo Abete, che è un imprenditore «super partes», e non presterebbe il fianco a obiezioni di sorta. Sull'altro fronte, quello di Segni, c'è chi diffonde un'altra versione: e cioè che l'attivismo politico di Segni avrebbe spaventato Di Pietro per ragioni molto più concrete. Il senatore del Mugello vorrebbe cioè colpire l'avversario prima che il suo progetto politico decolli e gli possa creare fastidi. Ma le dimissioni di Segni non preoccupano gli amici del professore: «Con o senza l'incarico di portavoce», dicono, «lui sarà sempre l'uomo dei referendum. Che a Di Pietro piaccia oppure no». Ugo Magri Il confronto già mercoledì Forse finirà con le dimissioni di Mariotto da «portavoce» Niente dietrofront sul partito dell'elefante I due leader del comitato per il «sì» Antonio Di Pietro e Mario Segni

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