Piromalli, i sovrani di Gioia Tauro di Francesco La Licata

Piromalli, i sovrani di Gioia Tauro UNASAGA CENTENARIA Piromalli, i sovrani di Gioia Tauro Una holding mafiosa costruita sui matrimoni LA mafia calabrese è stata sempre considerata - erroneamente - una sorta di «serie H» della consorteria delinquenziale siciliana, vista, invece, come la mafia per antonomasia. Insomma l'unica vera «onorata società», sarebbe la Cosa Nostra siculoamericana, In questa banalizzazione della storia del Meridione d'Italia c'è tanta superficialità e tutto il delirio di onnipotenza dei siciliani. I.a 'ndrangheta, cosi coine Cosa Nostra, può «vantare» quasi un secolo di immarcescibile presenza nel panorama della storia criminale e delle vicende che hanno contrassegnato le tappe più torbide della cronaca politico-mafiosa italiana. La famiglia Piromalli, gruppo sovrano del territorio di Gioia Tauro, ha una tradizione e una storia che nulla invidia a personaggi celebrati dalle cronache. 1 Greco, i Boutade, i Di Cristina, i Volpe, i Genco Russo, tutti «grandi capi» di Cosa Nostra, le dinasty siciliane non sono diverse dai protagonisti della «Saga dei Piromalli», Anzi, sono proprio loro quelli che per decenni hanno marciato in parallelo con le grandi famiglie siciliane, rimanendo in ombra perchè la strategia criminale ha sempre attribuito alla Calabria un ruolo più defilato rispetto alla Sicilia. 1 rifletto ri accesi su Palermo, le trame, le alleanza, gli affari, gli intrecci con la politica e, soprattutto, con la Massoneria, al chiuso delle contrade calabresi. Eppure, malgrado la volontà di rimanere ai margini della cronaca, l'importanza della famiglia Piromalli non può esseri; disconosciuta. Proprio in occasione dell'ultima inchiesta sul «caso Gioia Tauro», che ha offerto un quadro davvero inquietante della «forza» di questo gruppo granitico, ricco, politicamente influente, padrone del territorio anche per una saggia «politica matrimoniale». Un gruppo formato da più «ceppi» che non sono solo soci ma parenti. Parenti uniti in matrimonio. Un sistema medievale, forse antico e tribale, ma ancora efficiente se è vero, ed è vero, che in quelle contrade il fenomeno del pentitismo non ò gì. ->chè pttecchitc. Ed è comprensibile: un conto è accusare gli ex soci, altro è mandare all'ergastolo il suocero o il cognato o i figli dei fratelli. I Piromalli mafiosi esistono sin dalla fine dell'Ottocento: fondatore della premiata ditta, don Gioacchino morto nel 1950. Sono longevi e per decenni si sono distinti per essere riusciti a «morire nel proprio letto», come si dici; in Sicilia. In Calabria, invece, la chiamano «la bella morti!»: funerale con tutti gli onori, una folla di gente dietro alla bara portata in spalla, gli uffici chiusi in segno di lutto, lo stesso i negozi, le litanie del parroco circondate dalli! prefiche. Qualcosa del genere accadeva in Sicilia, a Riesi, con la morte del vecchio Di Cristina. Identica scena a Gioia Tauro, l'I] febbraio 1979, tra la folla immensa del Duomo accorsa per l'ultimo saluto a don Mommo. In quella occasione arrivò pure ricorda una puntualissima ricostruzione della Piromalli story pubblicata nell'ultimo numero di «Narcomafie» - l'orazione funebre di un avvocato del Foro di Palmi: Armando Veneto, oggi sindaco di quella cittadina. Ne ò passala di acqua sotto i ponti, da allora. Certo, la famiglia ha dovuto in qualche modo riciclarsi. E' impensabile, oggi, quanto accadeva negli Anni Settanta, anche se, lino alla fine degli Ottanta, il clan fece molto parlare, per esempio quando il partito radicale di Marco Pannella offri la tessera ad uno dei Piromalli. Oggi la famiglia somiglia di più ad una holding ramificata nel territorio per via delle parentele intrecciate con cinque clan mafiosi: i Mole, gli Stillitano, gli Infantino, i Priolo e i Copelli. Insomma, si sono assicurati il potere per i prossimi anni anche perchè - osserva lo studioso Francesco Silvestri di «Narcomafie» - «hanno sviluppato alla massima potenza la strategia riproduttiva nota come "massimizzazione della discendenza", secondo cui per essere più potenti bisogna generare il maggior numero possibile di figli maschi». Che non sono destinati a fare i «picciotti». No, i padri li hanno mandati all'Università. Sono medici, che al Sud fa molto «in», o anche avvocati. La famiglia, comunque, conferma il proprio interesse per gli affari, facendo fede al vezzo del vecchio don Mommo che nel proprio biglietto da visita aveva fatto scrivere «industriale». Il giovane Gioacchino, per esempio, è avvocato ma ò finito in carcere perchè lo accusano di aver chiesto alla «Medcenter» di Gioia Tauro il «pizzo» di un dollaro e mezzo per ogni container che passava per il porto. Una vocazione antica, quella per gli affari. Nel 1978 posarono gli occhi sul famoso Centro Siderurgico. I sospetti su infiltrazioni mafiose furono contestati dal dottor Vincenzo Gentile, sindaco della città e medico della famiglia Piromalli. L'incauto amministratore morirà di morte violenta nove anni dopo. Erano ovunque, i Piromalli. Nei lavori per la costruzione dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, oppure in quelli per edificare la centrale Enel. La guerra di mafia li vedrò protagonisti nello sterminio degli avversari, fossero i Tripodi o i Furfaro. Pino Piromalli viene descritto come un sanguinario che ama lo champagne. Racconta uno dei pochi pentiti calabresi che dopo ogni «mattanza» il boss dava un gran banchetto e brindava con Doni Perignon. Non era da meno il fratello, Girolamo, che - raccontando alla moglie Rosina come aveva fatto uccidere un suo nemico - disse di averlo dato in pasto ai maiali, «L'anchi sulu ristarti», spiegava alla donna. Dell'uomo, in pratica, erano rimasti solo i femori. Però sono anche capaci di gesti di grande rispetto. Nella cappella dove «riposa» il vecchio patriarca, don Mommo, da vent'anni qualcuno porta sette rose ogni due giorni. Francesco La Licata