Paul Simon: il mio DiMaggio

Paul Simon: il mio DiMaggio La «pace» fu siglata al ristorante: «Non capiva perché chiedevo sempre dov'era finito Paul Simon: il mio DiMaggio «Mrs. Robinson» lo fece arrabbiare «In un'epoca di interviste in prima serata su fatti privati e su storie di sesso, lo piangiamo: ci mancheranno la sua grazia e la sua dignità, il suo fiero senso della privacy, la fedeltà alla memoria di sua moglie e al potere del silenzio» Sul «New York Times» di ieri il cantante e musicista Paul Simon racconta le ragioni per cui citò Joe Di Maggio, morto domenica scorsa, nella famosa canzone «Mrs Robinson» che fece da colonna sonora al film «Il laureato». fT\ NEW YORK I & UALCHE anno dopo la scaI I lata di Mrs. Robinson nelle 1 I hit parades, andai a cenare Y I in un ristorante italiano e lì V trovai DiMaggio con un gruppo di amici. Avevo sentito dire che la canzone l'aveva fatto molto arrabbiare e che stava pensando a una querela e, quindi! fu con una certa trepidazione che mi avvicinai e mi presentai. Non avrei dovuto preoccuparmi: fu cordialissimo e mi invitò a sedermi. Subito cominciammo a parlare dell'unico argomento che avevamo in comune. «Quello che non capisco - disse è perché lei chieda sempre dove sono finito. Ho fatto uno spot per "Mr. Coffee", sono il portavoce della banca "Bowery Savings" e non sono andato proprio da nessuna parte». Risposi che non doveva prenderli alla lettera, che lo consideravo un eroe d'America e che i veri eroi erano sempre più rari. Accettò la spiegazione e mi ringraziò. Ci stringemmo la mano e ci salutammo. Adesso che non c'è più ripenso a quella spiegazione. E' vero: era un'icona culturale, un vero eroe, se si vuole, ma non un eroe della mia generazione. Apparteneva alla giovinezza di mio padre: lui era un ragazzo della Seconda guerra mondiale e la sua carriera cominciò nei giorni di Babe Ruth e di Lou Gehrig e lini con l'arrivo dello spumeggiante Mickey Mantle (che fu - a dirla tutta - il mio campione preferito). Negli Aimi '50 e '60 era di moda parlare, del baseball come di una metafora dell'America e DiMaggio rappresentava i valori di quelMmerica: bravura e senso del dovere (spesso giocava anche se non era in forma), combinate a una grazia che rivelava grandezza di spirito, assoluta dignità anche fuori dal campo e una vita privata gelosamente custodita. Si diceva che soffrisse ancora per l'ex moglie, Marilyn Monroe, e che ogni settimana deponesse un mazzo di fiori sulla sua tomba. Eppure, anche se aveva sposato una delle donne più famose d'America, e una delle più nevrotiche, non parlò mai di lei in pubblico. Conosceva il potere del silenzio. Era l'antitesi dello spirito degli Aimi 60, iconoclastici, ribelli e trasgressivi, ed è questo il motivo per cui - credo - sospettasse un significato nascosto nelle mie parole. Il fatto che invece quel testo fosse sincero e che sia stato considerato come un'ode agli eroi e all'eroismo rivela un desiderio inconscio della nostra cultura. Noi abbiamo bisogno di eroi e siamo sempre alla ricerca di candidati. Perché li cerchiamo, anche se sappiamo che l'attribuzione di ca¬ ratteristiche eroiche nasconde quasi sempre una distorsione? Una volta decostruito e messo sotto la lente d'ingrandimento, l'eroe si rivela fragile ed egocentrico quanto chiunque altro. Lo sappiamo, eppure continuiamo a cercarlo. Lo deifichiamo, sebbene siamo consapevoli che spesso la deificazione uccide, come nel caso di Elvis Presley, della principessa Diana, di John Lennon. E anche quando la vita viene risparmiata, la lama e l'idolatria avvelenano e feriscono. Non ho dubbi che DiMaggio abbia sofferto per il fatto di essere DiMaggio. Noi procuriamo queste ferite senza malizia, perché siamo affascinati dai miti, dalle storie, dalle allegorie. Figlio di immigranti italiani, il padre pescatore, cresce in povertà a San Francisco, diventa il più grande giocatore di baseball della sua epoca, sposa una dea americana e mai, né con un gesto né con una parola, tradisce la propria leggenda e la propria grandezza. Diventa lo «Yankee Clipper», orgoglioso e forte come una corazzata. Quando l'eroe diventa più grande dell'uomo stesso, la vita stessa ne esce trasformata, e noi ci specchiamo in quella. L'eroe permette di misurarci sulla scala della bontà: ok, non sarò Madre Teresa di Calcutta, però non sono nemmeno Jeffrey Dahmer. Meglio cercare di stare sotto lo sguardo di Dio. Qual è il vero significato della morte di DiMaggio? E' stato un eroe vero? Vorrei citare il testo di Mrs. Robinson: «Stando seduti su un sofà mia domenica pomeriggio. Andando al dibattito dei candidati Ci ridiamo sopra, e gridiamo Quando devi scegliere Qualunque strada stai cercando, perderai Dove sei andato, Joe DiMaggio? Una nazione punta gli occhi stanchi su di te E' quello che dice Mrs. Robison Il grande Joe se n'è andato ed è sparito» Oggi, in un'epoca di trasgressioni presidenziali e di scusi;, di interviste in prima serata su fatti privati e su storie di sesso, piangiamo Joe DiMaggio e ci mancheranno la sua grazia e la sua dignità, il suo fiero senso della privacy, In fedeltà alla memoria di sua moglie e al potere del silenzio. Paul Simon Copyright "The New York Times»-"La Stampa- A sinistra, Paul Simon. A destra, una celebre immagine del film «Il laureato», con Dustin Hoffman e Anne Bancroft

Luoghi citati: America, Calcutta, New York, San Francisco