UNAMUNO, UN DON CHISCIOTTE CHE GRIDA NEL DESERTO
UNAMUNO, UN DON CHISCIOTTE CHE GRIDA NEL DESERTO UNAMUNO, UN DON CHISCIOTTE CHE GRIDA NEL DESERTO «Del sentimento tragico della vita»: i paradossi di un filosofo I sono persone - diceva il teologo Henri de Lubac - le quali, siccome non appartengono al loro tempo, pretendono di appartenere all'eternità». Altre invece, proprio perché appartengono pienamente al loro tempo e alla loro terra, e non hanno pretese di eternità, finiscono per offrire un messaggio fecondo che oltrepassa confini geografici e storici. Miguel d Unamuno è una di queste ultime. «Ho cercato sempre di agitare e al massimo di suggerire, più che di istruire. Non vendo pane, né è pane quello mio, ma lievito e fermento»: così aveva detto di sé, e la nuova edizione del suo saggio Del sentimento tragico della vita - apparso per la prima volta nel 1913 e tradotto in Italia nel 1923, ora felicemente riproposto da Piemme nella collana L'anima del mondo dedicata a «testi che superano il tempo» - è la conferma di quanto questo lievito sia ancora vivo oggi, a cent'anni da quel 1898 che aveva dato nome alla q1898 che aveva dato nome alla «generazione» di pensatori spagnoli cui apparteneva Una- muno e a oltre sessanta dalla morte dello scrittore basco. «Lievito e fermento» è meta- fora che ben gli si addice, non , solo per il suo sapore evangeli- co - e radicalmente cattolico fu Unamuno, nonostante la mes- sa all'indice di alcune sue ope- re - ma soprattutto perché il lievito «nasce» da una sostan- za che si deteriora e ne sprigio- na una nuova, ha le sue radici nel passato ma opera nel futuro. «Tutto ciò che lotta per un qualsivoglia ideale, per quanto superato possa sembrare, spinge il mondo verso l'avvenire, e gli unici reazionari sono quelli che si appagano del presente. Ogni presunta restaurazione del passato è creazione del futuro». Capiamo allora l'identificazione che Unamuno fa di se stesso a Don Chisciotte, nel capitolo conclusivo di questo suo saggio. Identificazione che passa attraverso la metafora, ancora una volta biblica, della «voce che grida nel deserto» di Isaia: «Levo la mia voce, che griderà nel deserto, e la levo da questa Università di Salamanca... Qual è la nuova mis¬ sione di Don Chisciotte nel mondo attuale? Gridare, gridare nel deserto». E nel deserto ha effettivamente gridato Unamuno: destituito da rettore dell'università e confinato alle Canarie dal regime dittatoriale di Primo de Rivera, fuggito in esilio in Francia, incompreso e osteggiato dalla Chiesa cattolica, tenuto ai margini dall'elite intellettuale laica, questo basco profondamente spagnolo ha vissuto paradossali contraddizioni. Il suo pensiero, tutto impregnato del cattolicesimo spagnolo e del fascino per il misticismo di Teresa d'Avila, Giovanni della Croce e Ignazio di Loyola, esalta l'opera della Controriforma e della corona spagnola in Europa e nel nuovo mondo, eppure non trova credito in ambito ecclesiastico; inversamente, i suoi veementi e continui attacchi contro la Riforma, il Rinascimento e la Rivoluzione vengono solo blandamente rintuzzati dai filosofi amici-nemici come Ortega y Gasset che paiono considerarli semplice genere letterario retorico e polemico. Indubbiamente alcune sue affermazioni paiono fatte apposta per stimolare rigetto o essere immediatamente circoscritte a paradossi provocatori; come reagire altrimenti di fronte a chi sostiene che «vi è molta più umanità nella guerra che nella pace... la guerra è scuola di fraternità e'vincolo di amore... è, nel suo più stretto significato, la santificazione dell'omicidio»? Come andare oltre la provocazione per cogliere cosa significa che «è necessario donarsi agli altri, ma per donarsi a loro bisogna prima dominarli»? E' quanto si propongono di fare Fernando Savater nella sua sagace presentazione e Armando Savignano nell'introduzione al volume, ma credo vada anche salvaguardata la crudezza di un'operazione culturale che Unamuno stesso definisce in questi termini: «La filosofia è anche scienza della tragedia della vita, riflessione sul sentimento tragico della vita... è ciò che ho preteso di offrire in quest'opera. E il lettore non deve ignorare che ho operato su me stesso, che questo è stato un lavoro di autochirurgia, senz'altro anestetico che il lavoro stesso». Operazione tragica, offerta in dono anche a chi non vuole ascoltare - ancora un tratto che lo accomuna ai profeti biblici - perché «il deserto ascolta, anche quando gli uomini restano sordi, e un giorno si trasformerà in una selva sonora; e da questa voce solitaria che si va posando come seme nel deserto nascerà un cedro gigantesco che con le sue mille lingue canterà un osanna eterno al Signore della vita e della morte». E il commiato dell'autore non fa che rilanciare lo sguardo verso un futuro in cui il lievito sarà divenuto pasta: «Mi auguro, lettore, che finché dura la nostra tragedia, torneremo a incontrarci in qualche intermezzo. E ci riconosceremo». Enzo Bianchi Riproposto un classico del pensiero: «Ho cercato sempre ai agitare e al massimo di suggerire, più che di istruire. Non vendo pane, ma lievito e fermento» DEL SENTIMENTO TRAGICO DELLA VITA Miguel de Unamuno Piemme pp. 312, L. 28.000 Miguel de Unamuno, il pensatore spagnolo autore di «Del sentimento tragico della vita», ora riproposto da Piemme
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