MONELLI E GERBI: ECCO I VOSTRI INVIATI SU HITLER di Filippo Sacchi

MONELLI E GERBI: ECCO I VOSTRI INVIATI SU HITLER MONELLI E GERBI: ECCO I VOSTRI INVIATI SU HITLER / volti opposti della corrispondenza in Germania PAvalbdgcssppld l ih dll i AESE che vai, usanza che trovi»: il detto sarà anche vero ma, a ennesima dimostrazione della soggettività di ogni sguardo, basterà affiancare due autori diversi, autori di libri di viaggio, o di reportages giornalistici, che pur parlando di una stessa Nazione, osservata e descritta nel corso dello stesso periodo, traggono osservazioni che si rifrangono in modo duplice Poiché se da un lato illuminano il Paese visitato, dall'altro svelano molto, quasi l di ili atoi fa parlando tra le righe, della storia personale dei singoli autori, facendone emergere attitudini, umori e, magari, anche una scheggia del loro prossimo destino. Un efficace esempio di questa «triangolazione» può essere dato dall'incontro con la Germania di Weimar, alla vigilia della presa del potere da parte di Hitler, di due italiani quanto mai dissimili: Paolo Monelli e Antonello Gerbi. Di Paolo Monelli - nato a Fiorano Modenese nel 1891 e morto a Roma nel 1984, grande inviato de La Stampa e del Corriere nonché ufficiale nella prima guerra mondiale e autore di libri di grande suc l l p gcesso {Scarpe al sole, La guerra è bella ma scomoda, Mussolini piccolo borghese ma anche II ghiottone errante, Il vero bevitore) sono in molti a ricordarsi. Pochi invece, purtroppo, conoscono la figura più appartata, ma densa di rigore intellettuale e di operosa intelligenza, di Antonello Gerbi. Nato a Firenze nel 1904 da una famiglia ebraica - dopo una vita trascorsa come capo dell'Ufficio Studi della Banca Commerciale di Raffaele Mattioli e una dorata ma dolorosa parentesi- decennale in Perù, determinata dalle infami leggi razziali - è morto a Milano nel 1976. Alle spalle - amorosamente curati dal figlio Antonello - si è lasciato libri, saggi, inchieste apparentemente apprezzati più all'estero che in Italia. Eppure Gerbi non è figura di secondo piano, tutt'altro. Era il 1932 quando Raffaele Mattioli, appena trentaseienne ma già direttore generale della Banca Commerciale, si reca a Londra per incontrare Reginald McKenna, gran capo di quella Midland Bank dove Gerbi sta ultimando il suo tour europeo, condotto grazie ad una borsa di studio della Rockefeller Foundation, Paolo Mche lo ha portato a soggiornare - per alcuni anni - in Germania, a Vienna e quindi in Inghilterra. McKenna chiede a Mattioli quali siano le novità. E Mattioli, con il suo solito stile laconico e luciferino, indicando il giovane Gerbi, dice al banchiere inglese: «Ho appena assunto un filosofo. Domato...». Già, perché Gerbi, nonostante i dotti studi (che lo hanno fatto ap¬ o Sacchi prezzare da Croce e Meinecke) e i molteplici interessi culturali (soprattutto storici e filosofici, come dimostra il suo libro La politica del Settecento. Storia di un'idea, pubblicato nel 1928), ha deciso proprio in quei giorni di optare per il lavoro in banca. Certo, un lavoro «bancario» molto particolare: all'interno di quel mitico Ufficio Studi della Commerciale assurto a pensatoio sommerso dell'Italia non omologata al regime, a crocevia di destini che peseranno - e non poco - sulle vicende italiane. Visto che lì, tanto per capirci, hanno gravitato o gravitano personaggi come Giovanni Malagodi, Cesare Merzagora, Adolfo Tino e Ugo La Malfa. Al lavoro nell'Ufficio Studi della Commerciale Gerbi ci arriva solido di cultura e, nonostante la giovane età, ricco di esperienze. Grazie anche al proficuo soggiorno tedesco durante il quale scrive le corrispondenze per II Lavoro di Genova raccolte nel volume Germania e dintorni. 1929-1933. Le dimissioni (poi rientrate) del dottor Schacht, presidènte della Reichsbank e grande artefice della finanza hitleriana e i commenti dello storico Meinecke sulla vita politica tedesca, la vita quotidiana berlinese e i grandi allestimenti teatrali di Max Reinhardt e di Piscator: Gerbi, nelle sue corrispondenze, è di una curiosità onnivora. Dispiega un'attenzione pacata, dibgente, a tutti gli aspetti della vita della Germania. E tuttavia - quello che colpisce in queste pagine - è il non rinvenirvi i segni della minaccia incombente, della bufera hitleriana che sta alle porte. Vi sono lucidissime analisi sul senso della contrapposizione, nei quartieri proletari berlinesi, tra «rossi» e «neri» ma è come se al momento di tracciare l'insieme, di delineare una sintesi, lo sguardo si facesse più lontano, incapace di una reale messa a fuoco. Quasi che l'osservare il palcoscenico tedesco con pacata razionalità, da un angolo d'osservazione eccezionale e privilegiato, quali le frequentazioni con i grandi storici o i contatti con grandi nomi della finanza, abbia come risultato di togliere alla realtà la sua patina eh brutale concretezza, di ruvido e incombente destino. E' tutto il contrario, invece, nelle corrispondenze tedesche di Paolo Monelli raccolte nel volume Ioei tedeschi. Ogni pagina è come un ingrandimento denso di fisionomie, sensazioni e intuizioni. Anche se precedenti alle corrispondenze di Gerbi quelle di Monelli mettono a fuoco, e più volte, l'implacabile macchina da guerra della politica nazista ancora lontana - ci vorrà una manciata d'anni - dal piazzare Hitler alla Cancelleria. Hitler - nella descrizione di Monelli - è «l'ex-tappezziere e verniciatore viennese che ha la faccia della sua professione, e quel naso a cresta all'insù che è l'ideale dei buoni germani... sotto il quale due spazzolini biondi montano la guardia, con untuosità austriaca, alla bocca da pesce». Ma le pagine più efficaci di Monelli sono quelle dedicate al signor, Denker di Mùnsterberg, presso" Breslavia, passato alla storia come «l'Orco» dopo che è stato scoperto che il fiorente commercio di bistecche e costine e frattaglie «di capra», a prezzo così buono da far affluire nella sua casetta nel bosco tutta la gente dei dintorni, si basa sulla carne umana. Gente - decine e decine di viandanti, disoccupati e barboni - che Denker ammazza nottetempo e macella senza che nessuno avanzi mai un dubbio, un sospetto. Sì, una vicina - lavorando nell'orto - continua a trovare pollici umani accanto ai porri. Ma non si pone domande. E l'ufficio igiene, arrivato per un'ispezione, sente un odore impressionante: ma non ha naso per intuire quello che accade. «Pensate da noi - scrive Monelli - come avrebbero battezzato subito quella casa, che storie impossibili si sarebbero raccontate in giro... ma noi siam lirici. Acchiappanuvole». Sì, sentiamo la bufera anche quando non c'è ancora. Qualche volta, poche volte, sbagliamo. Oreste Del Buono Giorgio Boatti gboatti@venus.it Il primo intuì il fiituro nefasto del nazismo, il secondo aveva una curiosità onnivora ma fa incapace di vedere la minaccia incombente Da leggere: Antonello Gerbi GERMANIA E DINTORNI (1929-1933) Milano-Napoli Ricciardi editore, 1993 Antonello Gerbi LA POLITICA DEL SETTECENTO Storia di un'idea Bari, Laterza, 1928. Sandro e Antonello Gerbi AMERICANISTA O EUROPEISTA? in «I viaggi di Erodoto», setti991, pp. 98-104 Paolo Monelli IO E I TEDESCHI Milano. Treves, 1929 WStW- LUOGHIWMUNir^ Paolo Monelli (a destra) in Slesia nel 1921 con Filippo Sacchi