Al supermwrcato degli

Al supermwrcato degli Al supermwrcato degli // marketing ha rimpiazzato i militanti IMMAGINE UN MANUALE E ROMA arrivò - non richiesto - puI re l'asinelio. O meglio: lo convocarono dal mondo delle idee astratte e senza alcuno scrupolo, né alcuna competenza, anzi forse persino orgogliosi della pensata, lo precipitarono nell'usa-e-getta simbolico della Seconda Repubblica. Dice: è lo stemma dei democratici americani - e questo basti. Bella pretesa. La potenza allegorica dell'asino, infatti, non solo è piuttosto controversa, e per certi versi anche imbarazzante, fitta com'è di richiami genitali, ma soprattutto nasce un po' prima del partito democratico Usa. Tanto da costringere l'esimio professor Ronchetti, autore di un antico manuale illustrato Hoepli, a richiamare in proposito gli egizi ed Abramo, gli eremiti e il solito Priapo, che con il partito di Clinton magari un po' c'entra pure, ma insomma... Il punto è che i simboli una volta nascevano dal basso, secondo impulsi misteriosi, per esprimere qualcosa che indicava qualcos'altro, ancora più nel profondo, là dove le parole non attingono. Per questa loro origine magica, o comunque sacrale, i simboli venivano vissuti con un'intensità a volte terribile. Ora invece i politici e i loro astuti consulenti (per il lancio dell'Ulivo vennero addirittura acquisite le perizie del «mitologo») li calano dall'alto per manifestare indizi, semplificazioni, facili riconoscimenti che comunque possano tornargli utili. Dopodiché - come insegna la sorte dello stesso Ulivo - li mollano e buonanotte. La pratica fa sì che il pittoresco cassonetto del rifiuto allegorico risulti già piuttosto intasato di garofani, vele, ah, orsetti, alberti da giussano, e stelline, bambini che fanno il girotondo, cavalli con la criniera al vento oltre a diverse specie di uccelli, anche in competizione tra loro. La fantasia, d'altra parte, mai difetta ai creativi - anche se dal punto di vista della grafica l'offerta della Seconda Repubblica tende drammaticamente a omologarsi sui marchi degli oh per automobili. Così oggi si prende atto del so- marello. Ma già si può immaginare lo sciagurato indotto semiequino che la propaganda politica si trascinerà appresso per qualche mese, con vano entusiasmo. L'unica consolazione consiste nel sottolinearne l'artificialità. Ma anch'essa oramai fa parte del gioco. Quando circa un anno fa venne presentata la conferenza programmatica di An, chiesero a Fini perché mai avesse scelto come simbolo proprio la coccinella. Indicativo lo spessore della sua risposta: «Perché porta fortuna»... D'altra parte la secolarizzazione, lo svuotamento, la perdita di potere dei simboli politici italiani è iniziata da parecchio tempo. A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta Craxi tolse la falce e martello e impose il garofano con ostensione e rappresentazione seriale del medesimo. Più che come pura e semplice trovata, in realtà, il leader la presentò come il recupero di un'antica tradizione socialista. Ma la via simbolica «dall'alto» era segnata e fece scuola. C'è da dire che gli altri partiti, fino a quel momento, non avevano osato oltrepassare la soglia del restyling (si ricordi un audace scudo crociato con vernice spray e l'effimera sostituzione fanfaniana di «Libertas» con «Libertà». Ma per la grande operazione che portava alle estreme conseguenze la scorciatoia craxiana si deve aspettare il 1990 con l'invenzione - dal nulla - della Quercia. Per la prima volta un fatto politico che riguardava l'identità stessa del nuovo partito era tolto di mano alla base e delegato al marketing, in particolare a ima agenzia di comunicazione. In altre parole, nessun militante aveva mai pensato che un albero potesse sostituire la falce e martello. Eppure i consulenti pianificarono una campagna che prevedeva perfino il disseminamento, nei comizi che Occhetto avrebbe tenuto prima del lancio ufficiale del nuovo simbolo, di metafore arboree. Tutto questo fu considerato non solo un indispensabile tributo alla modernità, ma anche un grande successo. Il big bang della Prima Repubblica, con la spezzettatura e il frullamento di tutti i partiti, allargò l'orizzonte della simbologia fasulla e raffazzonata. Per restare al pds, ad esempio, ai piedi della quercia sorge un'enorme rosa, in un quadro di sproporzionata mostruosità. Succede spesso. Anche perché nel frattempo Casini s'era appropriato della vela e Mastella, brevemente, di un'ala. Bossi aveva riscoperto pure lui certi graffiti celtici con ruota solare; mentre alla Pivetti parve carino di farsi identificare tramite un orsetto - che sovrastava la sua firma autografa. Di Pietro scelse un gabbiano, ma subito insorse uno di An, che anche lui aveva scelto il gabbiano. Come l'asinelio di Prodi, che pure Grauso dice «è mio». Quando ci si litiga gli stessi simboli, però, vuol dire che non sono più simboli. Sono sgorbi sospesi nel vuoto, sono al limite grottesche o pallide imitazioni, come i marchi dei prodotti venduti negli nord-discount. Filippo Ceccarelli Grande lavoro per i grafici nella Seconda Repubblica Ma non sempre risultati efficaci La «rivoluzione» cominciò negli Anni Ottanta quando Craxi tolse falce e martello per il garofano Qui sopra Bettino Craxi che modificò il simbolo del Psi A destra Gianfranco Fini che introdusse la coccinella in An Qui accanto il segretario della Lega Nord Umberto Bossi Alla sua sinistra l'ex leader del Pds Achille Occhetto

Luoghi citati: Roma, Usa