«Ricordo un crack e poi il vento» di Claudio Giacchino

«Ricordo un crack e poi il vento» TESTIMONIANZE LA DISPERAZIONE DELL'EQUIPAGGIO «Ricordo un crack e poi il vento» II comandante: vivrò sempre in un inferno GENOVA DAL NOSTRO INVIATO Il comandante Alessandro Del Bono è sdraiato nel letto di sinistra nella seconda stanza del reparto di ginecologia dell'ospedale San Carlo di Veltri. Al suo fianco, sull'altro lettino, il passeggero Gianfranco Pinna. Entrambi sono dei sopravvissuti, se ne rendono conto perfettamente anche se lo choc tremendo è ancora padrone delle loro menti annichilite dalla spaventosa esperienza. Il passeggero guarda il soffitto, mormora: «Mio Die, che cosa enorme, che giornata indimenticabile.., il botto, l'acqua: terrificante, sì, terrificante, non so come sono vivo». Il pilota chissà se l'ascolta: stringe le dita della mano destra nel pugno, muove con circospezione il braccio sinistro nel quale è infilato l'ago della flebo. Accanto al letto, in piedi, due carabinieri: gli dicono di stare calmo, cercano di incoraggiarlo: «Non ci pensi, adesso, non pensi a nulla». Alessandro Del Bono fa no con la testa, mormora: «Non ci riesco, no, non riesco a liberarmi, sta diventando un'ossessione, continuo a rivedere il film dell'atterraggio, voglio capire che cosa è accaduto di preciso, ricordo il vento, un crack secco, l'acqua ge- li da addosso». Ripete queste frasi scuotendo la testa affondata nel cuscino, un carabiniere fa, a mo' di consolazione: «Ha ancora troppa adrenalina in corpo, non può analizzare nulla. Attenda domani: sarà più calmo, la carica nervosa si sarà attenuata e allora avrà tutto chiaro. E di conseguenza, anche lei si sentirà meglio». La risposta del comandate Del Bono è un gesto significante «No, non è vero, io so solo che domani starò peggio di oggi, e dopodomani sarà anche più dura. Finché non scopro che cosa è successo, e perché è successo, vivrò in un inferno». Respira a fondo, s'agita nel letto, dice, a se stesso: «Volo da una vita, ho trascorso in cielo più di seimila ore: eppure, tutta questa esperienza non mi serve a niente, continuo solo a rivedere il film dell'atterraggio, a sentire il crack, il vento, il freddo». Poco prima, in questa stanzetta, era entrato il magistrato che conduce l'inchiesta: il sostituto procuratore Massimo Terrile. Però, il colloquio con il pilota è durato un amen, i medici l'hanno sconsigliato: «il paziente è ancora sotto choc. No, non ha nulla di grave, solo un principio di ipotermia. Ma, deve riposare il più possibile». Probabilmente, Alessandro Del Bono sarà dimesso oggi. Gli dice, sempre incoraggiante, il loquace carabiniere: «Tornerà a casa, nella sua Imperia. Là, con calma, avrà tutto il tempo per ricostruire l'accaduto». Il comandante annuisce stancamente, mormora: «A 35 anni, con tutte le ore di volo alle spalle non riesco a rendermi conto... è tutto sempre così confuso». Dei tre piloti in cabina, il pilota è l'unico che ha trascorso la notte da ricoverato. Il suo secondo, Christian Beneduce, e Andrea Wrubl, che volava come semplice, casuale passeggero, sono rimasti in un letto poche ore. Beneduce, un ragazzone biondo, alto, atletico, che anche in questi momenti terribili dimostra meno dei suoi 28 anni, è stato portato al pronto soccorso dell'ospedale Villa Scassi di Sampierdarena. Anch'egli è prigioniero dello choc, seppure in modo meno violento, del suo superiore, anch' egli è stato aggredito da un principio di ipotermia. Lamenta un dolore al fianco, per precauzione lo mandano a fare i raggi. Ci va con le sue gambe, con passo abbastanza fermo. Poi, alle 17, ancora vestito con il pigiama azzurro datogli al pronto soccorso, se ne va da un'uscita secondaria per evitare i cronisti. Il giudice ha imposto a tutti i sopravvissuti il divieto di rilasciare dichiarazioni. Se alcuni passeggeri se ne sono impippati e hanno raccontato, è naturale che Christian Beneduce lo rispetti al cento per cento. Se lo porta via una Volante della questura, dico¬ no sia già stato interrogato dal dottor Terrile. Così, le uniche notizie su di lui escono dalla conferenza stampa dell'amministratore delegato della «Minerva» e da uno dei soccorritori. L'amnainistratore delegato descrive il copilota come soggetto iperaffidabile «Duemila ore di volo, prima di lavorare con noi è stato istruttore dell'Aeronautica nelle basi di Lecce e Rivolta». Il soccorritore ricorda che Beneduce, appena tratto in salvo, ripeteva «Dev'essersi rotto qualcosa, sì, forse s'è rotto qualcosa». Lampo il ricovero di Andrea Wrubl, genovese di 39 anni dai capelli già spruzzati d'argento: sedeva alle spalle dei colleghi, sul cosiddetto jump-seat. Rimane al pronto soccorso dell'ospedale «Antera Micone» di Sestri Ponente sino alle 15, firma per andarsene e compare nell'atrio con indosso un camice verde, di quelh usati in sala operatoria. Dice, secco: «Non posso parlare». Un sopravvissuto è a un passo, ha appena cominciato a raccontare. Un attimo di silenzio, voltandosi a osservare Wrubl, il pilota che studia da comandante (sta facendo il corso) l'ammonisce severo: «Taccia». Il sopravvissuto obbedisce, Wrubl s'allontana. Claudio Giacchino IL PILOTA «Continuo a rivedere quell'atterraggio non avrò pace finché non saprò che cosa è successo» IL COPILOTA «Dev'essersi rotto qualcosa, era tutto normale. Non c'è altra spiegazione a questa sciagura»

Luoghi citati: Genova, Imperia