«Per le angherie dei colleghi ci si può anche uccidere»

«Per le angherie dei colleghi ci si può anche uccidere» Ricerca lancia l'allarme sul «mobbing»: «Cresce il terrorismo psicologico sul posto di lavoro» «Per le angherie dei colleghi ci si può anche uccidere» MILANO. Si chiama mobbing, dal verbo inglese to mob che significa assalire. Ma si legge ansia, depressione, suicidio. Effetti devastanti dovuti al terrorismo psicologico sui luoghi di lavoro. «In Italia colpisce il 4,2% dei lavoratori. Ma questo non è il Paese di Bengodi, semplicemente i dati che abbiamo sono inattendibili per difetto. C'è un numero oscuro di casi ancora da scoprire», assicura Renato Gilioli, direttore del Centro disadattamento lavorativo della Clinica del lavoro di Milano, dove ieri si è tenuto il primo convegno nazionale. Da sempre invidie e vessazioni sono il pane nei luoghi di lavoro. Ma è dagli Anni 80, dai primi studi del tedesco Heinz Leymann, che il mobbing viene indicato come una delle prime cause di malattie sociali. Secondo i dati dell'Unione europea, nel '97 oltre 12 milioni di lavoratori sono stati vittime del mobbing, del disagio indotto da atteggiamenti persecutori. «In Italia manca ancora una legge. C'è un progetto, fermo dal '96 in Parlamento. Punisce da uno a tre anni i responsabili del terrorismo psicologico sui posti di lavoro», racconta il professor Chiappino, direttore della Clinica del Lavoro. Ma su quel progetto di legge, primo firmatario il forzista Salvatore Cicu, ci sono già le critiche degli specialisti. Che temono che la legge possa diventare uno strumento di ulteriore pressione nei confronti dei lavoratori. «Il mobbing non è quasi mai visibile. Spesso c'è la parola di un sottoposto contro quella del collega o di un dirigente. A quel punto vince chi può permettersi l'avvocato migliore», fa lo scettico lo psicologo tedesco Harald Ege, il primo a importare in Italia, a metjì degli Anni 90, gli studi sul mobbing, particolarmente sviluppati nei Paesi scandinavi e in Gran Bretagna. Almeno a guardare le statistiche. A livello europeo, in testa alla classifica c'è la Gran Bretagna con il 16,3% delle vittime di mobbing. Segue la Svezia con il 10,2%, la Francia al 9,9% e l'Irlanda con il 9,4%. Fanalino di coda l'Italia, al 4,2%, sotto addirittura alla Grecia che registra uno 0,5% in più di casi. «Ma adesso faremo anche noi uno studio approfondito, anche se per iniziare sarà solo a livello lombardo», assicura il professor Gilioli. E sull'onda di altre esperienze europee, anche in Italia ci sarà presto un numero verde a cui le vittime di mobbing possano rivolgersi per i primi aiuti, per l'assistenza sanitaria e per quella legale. «Perchè se ancora manca una legge, il codice civile e quello penale forniscono già un primo aiuto», racconta il professor Gilioli. Il riferimento è agli articoli 582 del codice penale, quello che punisce chi cagiona lesioni personali, e il 2087 del codice civile, in tema di tutela delle condizioni di lavoro. «Nelle aziende svedesi c'è addirittura un garante anti mobbing», aggiunge lo psicologo. Segno che deve essere innanzitutto delle aziende l'impegno maggiore per combattere il mobbing. E i suoi costi: sia per le ore di malattia perse, sia il calo di rendimento che arriva ad oltre l'80% delle capacità lavorative. In Italia per ora si conosce una sola indagine a tappeto. Quella avviata dalla Uil-Umbria in alcuni enti pubblici. E si è scoperto che quattro dipendenti su 10 del Comune di Perugia sono stati isolati dai colleghi. Mentre il 75% del campione ha lamentato di soffrire di stress lavorativo. «All'inizio, il primo sintomo è quello dell'ulcera. Poi arrivano i guai veri», giura Angelo Garofalo, responsabile dell'indagine. Ma non tutti i medici, sanno ancora leggere che cosa ci sia dietro a quell'ulcera improvvisa. Fabio Potetti Cresce il fenomeno de) mobbing «In Italia colpisce il 4.2 per cento dei lavoratori»

Persone citate: Angelo Garofalo, Chiappino, Fabio Potetti, Gilioli, Harald Ege, Heinz Leymann, Renato Gilioli, Salvatore Cicu, Spesso