La beffa dell'asilo politico di Giovanni Bianconi
La beffa dell'asilo politico Ieri l'udienza, subito rinviata, per il leader in cella a Imrali La beffa dell'asilo politico COM'È' lontana l'isola di Imrali immaginata da qui, dal tribunale civile di Roma, stanza 99. Chissà se Ocalan s'è ricordato che ieri era il giorno dell'udienza; nelle ultime ore della sua permanenza nell'ambasciata greca a Nairobi aveva chiesto di affrettare i tempi, ma gli agenti segreti che l'hanno portato in Turchia sono arrivati prima. E però ieri mattina erano tutti presenti - «attori», «convenuti» e giudice della causa numero 49565/98, Ocalan Abdullah contro presidenza del Consiglio dei ministri - pronti a discutere «in punto di fatto» e «in punto di diritto» della richiesta di asilo politico avanzata da quell'uomo bendato e stordito, detenuto in isolamento nell'inawicinabile prigione turca, che un giudice di Ankara vuole condannare a morte. Il presidente della prima sezione civile Paolo De Fiore dovrà stabilire prima se è competente, e poi se concedere ad Apo la patente di perseguitato politico. «Mi rendo conto che il procedimento ha perso gran parte della sua efficacia - commenta il giudice De Fiore, 62 anni, magistrato da 36, alle prese con la prima causa per asilo politico -, però resta la questione di principio. In soldoni si tratta di stabilire se la Turchia è un Paese democratico oppure no. Anch'io ho letto i giornali e ho visto le immagini di Ocalan in tv; su quel che ho provato non posso dire nulla, ma certo questa non è una causa come le altre, per i risvolti umani e politici che comporta». Dunque, tra un ricorso del signor Leone contro il Comune di Roma e uno della signora Simone contro l'Inail, si apre il conflitto giudiziario tra Ocalan e il governo italiano. Il pubblico ministero Pietro Catalani (quello che nove anni fa indagò sul delitto di via Poma, senza arrivare a nulla) ha chiesto che la domanda di asilo di Apo venga rigettata perché «in diritto» manca il «requisito essenziale della permanenza sul territorio italiano» di Ocalan, e «in fatto» la sua cattura «estingue ogni pratico interesse: è impensabile che egli possa ritornare in Italia». E' la stessa tesi dell'avvocatura dello Stato, rappresentante di quel governo che in tutti i modi ha spinto Ocalan ad andarsene, ma i difensori di Apo - Pisapia, Saraceni e Salerai - sorridono: «Veramente l'interesse ci sembra aumentato. L'assenza del nostro assistito dall'Italia è chiaramente dovuta a cause di forza maggiore, e se venisse riconosciuto l'asilo politico sarebbe giuridicamente possibile un controllo sulle condizioni di detenzione e sul rispetto del diritto di difesa di Ocalan anche in Turchia». In tribunale c'è pure Hamet Yaman, portavoce del Pkk in Italia. Voleva assistere ma il presidente De Fiore gli ha gentilmente spiegato che il codice di procedura civile non lo consente. Hamet aspetta fuori, dopo mezz'ora escono anche gli avvocati. L'udienza è aggiornata al 22 marzo: sarà diversa dalle altre, ma quella di Apo Ocalan è pur sempre una delle 3.300.000 cause civili pendenti, e dunque deve aspettare il suo turno. Nella lontana isola di Imrali. Giovanni Bianconi
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