Industria, cala l'occupazione
Industria, cala l'occupazione Industria, cala l'occupazione Persi in un anno 17 mila posti D'Antoni: il governo in ritardo ROMA. Il segnale non è incoraggiante: gli occupati nell'industria sono ancora scesi rispetto all'anno scorso. A novembre '98, ultimo dato Istat, erano 17 mila in meno del novembre '98, il 2%. Con una situazione decisamente pesante per l'industria manufatturiera, che perde in 12 mesi l'I,7% degli occupati, con flessioni più accentuate per la produzione dei mezzi di trasporto (-3,7%) e tessile e abbigliamento (-3,4%). In parallelo, aumentano però le ore di cassa integrazione (24%), insieme con le retribuzioni medie dei dipendenti: 4,7% rispetto al novembre prcedente. Ma il costo del lavoro è salito soltanto dello 0,7%, grazie soprattutto all'introduzione dell'Irap che si è «mangiata» alcuni contributi a carico delle aziende. Il dato cruciale è comunque la continua emorragia di posti di lavoro: in un anno la tendenze è stata sempre negativa, pur con notevoli sbalzi, tra i «meno 20 mila» di novembre '97, di maggio e giugno '98 ed i «meno 7-8 mila» di gennaio e febbraio. Con un andamento in controtendenza, però, per le grandi imprese dei servizi, che non re¬ gistrano variazioni tra novembre e ottobre, ed un lieve «meno 0,3%» calcolato sull'anno. A tamponare la perdita sono stati soprattutto alberghi e ristoranti (+5,6%), le altre attività (+4,3%) ed il commercio (+1,1%). Un complesso di cifre che apre subito la polemica a distanza tra Confindustria e sindacati, coinvolgendo il governo e le sue politiche per l'occupazione. Nessun allarme, dice Carlo Callieri vicepresidente degli industriali: la contrazione è fisiologica, effetto di un processo generale di razionalizzazione. In realtà, i posti di lavoro non sarebbero andati persi, ma semplicemente «esternalizzati», spostati all'esterno delle aziende: «Il calo dell'occupazione nella grande industria dipende dalla cessione all'esterno delle attività tipiche del ciclo della grande impresa. Io credo che questo non sia un dato di cui preoccuparsi perchè sono rami di aziende o attività che vengono concesse all'esterno e che danno luogo a nuove imprese, creando un settore moderno di servizi». Ma sul fronte opposto c'è Sergio D'Antoni, leader Cisl, che accusa apertamente il governo: per i «ritardi colpevoli, al limite dello scandalo, su contratti d'area e patti territoriali che non partono perchè manca sempre un bollo o qualcos'altro». I dati Istat, dice D'Antoni, sono «la conferma di un andamento negativo e questo avviene in una fase di crescita piccola con rischi per l'occupazione» ed ora è importante «applicare il Patto di Natale per rilanciare gli investimenti pubblici e privati, favorire la nascita di nuove imprese, proprio perché quelle grandi non tengono l'occupazione». Sulla stessa linea, Paolo Pirani, segretario confederale Uil, che vede sempre più lontana «l'attenzione del governo e delle forze politiche verso i reali problemi del Paese», proprio quando la diminuzione dei livelli occupazionali nelle grandi imprese «conferma tutte le preoccupazioni sulle prospettive di crescita del sistema Italia». Meno preoccupato, invece, il commento del segretario confederale della Cgil Giuseppe Casadio: «I dati sono significativi solo parzialmente e non sono certamente lo specchio della situazione». Anche per Casadio, in ogni caso, «concorrono a un quadro preoccupante di tendenziale indebolimento della struttura produttiva caratterizzata da una crescita lentissima», [b. g.] Il ministro del Lavoro Antonio Bassolino
Persone citate: Antonio Bassolino, Carlo Callieri, Casadio, D'antoni, Giuseppe Casadio, Paolo Pirani, Sergio D'antoni
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