Il giudice: per Apo chiederò la forca di Giovanni Cerruti

Il giudice: per Apo chiederò la forca Il prigioniero, forse narcotizzato, avrebbe detto: «Non impiccatemi, sono pentito, racconterò tutto» Il giudice: per Apo chiederò la forca E'giallo sulla confessione in carcere di Ocalan ANKARA. Un interrogatorio, il primo e l'ultimo, durato 36 ore. Si è chiuso a mezzogiorno e Mehmet Maras, il giudice istruttore, può dare la notizia in tv: «Verrà processato in base all'articolo 125, alto tradimento e crimini contro lo Stato». Per un discorso trasmesso tre anni fa da Med, la tv del Pkk. E cosa rischia Ocalan? Il giudice non fa una piega: «La pena massima prevista è la condanna a morte, e so che verrà chiesta la pena di morte». Il cappio. Ocalan, come prevede la legge turca, è stato informato. Reazione? «Hurriyet», il quotidiano governativo, informa i turchi delle prime parole del terribile Apo. «Non mi impiccate. Vi dirò tutto. Sono pentito». Il terribile Ocalan, per la stampa turca, è diventato un piagnone, un ometto che baratta una vita da Capo politico e militare pur di evitare il cappio. E si può ancora seguire un Capo così? «Sarà un processo giusto», ripete il premier Ecevit. «Avrà i suoi avvocati», insiste il ministro degli esteri Cem. Nelle 36 ore di interrogatorio, precedute da cinque giorni di domande da parte del Mit, il servizio segreto, Ocalan era solo. Avvocati? Nessuno. Un collegio di 15 difensori è pronto, ma solo cinque hanno avuto il permesso per arrivare a Mudanya, la citta sulla costa. E solo uno, Osman Baydemir di Diyarbakir, già avvocato del pacifista italiano Dino Frisullo, è stato autorizzato a raggiungere l'isola blindata di Imrali. Peccato che all'ultimo momento, quando già stava per imbarcarsi, Baydemir è stato bloccato dalla gendarmeria. «Motivi di sicurezza, lei resta qui, il suo permesso non vale più». L'avvocato protesta: «Alla faccia del giusto processo e delle assicurazioni del governo. Questo è un segnale preoccupante su ciò che potrà accadere in seguito...». Quel che accade in questi giorni, almeno secondo i media turchi, è la definizione della nuova immagine di Ocalan. Un piangina che si pente subito. E che permette al premier Ecevit di rilanciare il suo «Piano speciale» per il Sud-est, il Kurdistan Turco mai nominato, e gli appelli ai militanti del Pkk. «Tornate dalle montagne, abbandonate la vita inumana e senza speranze, con il terrorismo non otterrete niente, vi prometto benefici di legge...». Il go¬ verno ha incaricato i comandanti delle Zone Speciali, le zone curde, di stampare volantini e diffonderli dagli elicotteri. Assieme alle notizie sul piagnone di Imrali, che sta parlando per salvarsi la pelle. Ovvio che gli amici di Ocalan, ora muti in Turchia e loquaci in Europa, non credano a questa immagine. Piuttosto sospettano di maltrattamenti raffinati, di devastanti torture chimiche che non lasciano traccia. Quand'era in Italia, visitato all'ospedale di Palestrina, Ocalan stava benone. Gli avvocati che l'hanno visto a Nairobi fino al giorno prima della cattura dichiarano che non aveva alcun problema. Arrivato ad Imrali, sempre secondo le informazioni ufficiali, Ocalan ha avuto problemi di stomaco, di fegato, e domenica di cuore. «E' sotto con^ , trollo medico», scrive l'Anadolu. Sempre gli amici che stanno in Europa trovano in queste notizie altra materia di preoccupazione. Come se la presenza dei medici fosse la conferma di turture chimiche in corso. Anche il mancato di incontro tra Ocalan e l'avvocato Baydemir rientra in questa ipotesi. Ma c'è anche un'altra immagine di Ocalan, e la cura il quotidiano «Sabah»: avrebbe intenzioni suicide, tanto che i medici gli avrebbero legato le dita «per impedire che si blocchi la circolazione premendo su occhi, bocca o testicoli». I magistrati della Corte di Sicurezza ora avranno un mese di tempo per definire le accuse. Poi 15 giorni a disposizione della difesa e quindi, tra aprile e maggio, il processo del cappio. La Corte europea dei diritti umani, da Stasburgo, ha chiesto «chiarimenti», ma difficilmente ne avrà. Su questo Ecevit e Cem sono drastici. Apo è affar loro, della loro legge. Quelle di Strasburgo sono state definite «richieste inaccettabili». Al contrario la Turchia si prepara a chiedere all'Europa di «chieder conto» ai Paesi che avrebbero aiutato Ocalan e il Pkk. La Grecia è la prima della Usta, Ecevit vuole che sia «inserita nella lista dei paesi che sostengono il terrorismo». Il presidente Demirel, in visita nelle Filippine, minaccia «provvedimenti». Atene risponde: «Stanno fomentando la tensione, ma siamo pronti ad ogni eventualità». Da ieri, Ocalan che ancora non ha visto un avvocato è «ufficialmente» detenuto e sotto processo. Per oggi, sempre che le tv non trasmettano l'annunciato terzo video di Ocalan («Arrendiamoci»?), si aspettano le altre e nuove «rivelazioni» di «Hurriyet». A elli tocca? E mentre dubbi, paure o garbate perplessità indispongono il governo turco, il ministero degli Interni ha ordinato di rafforzare i controlli negli aeroporti. Temono attentati. La zona del Nord-Est, il Kurdistan, è sempre più militarizzata. I giornalisti sbarcano all'aeroporto di Diyarbakir, vengono presi in consegna dalla Gendarmeria e trattenuti in stato di fermo fino al primo volo che torna a Istanbul. Giovanni Cerruti ^ , Un blindato delle forze speciali turche pattuglia Diyarbakir, dove più aspre sono state le proteste dei curdi c*