«Noi, disarmati contro un camaleonte»

«Noi, disarmati contro un camaleonte» «Noi, disarmati contro un camaleonte» «Investire miliardi per le barriere ferma-neve» L'SOS DELL'ESPERTO tK^-ì. uff fm *t nw n LE Alpi occidentali sembrano scrollarsi di dosso anni di poca neve, soprattutto a fine inverno. Crollano canaloni interi, enormi scie bianche che sradicano boschi anche secolari ed escono dalla montagna a ventaglio, ammazzando persone, annientando case. Febbraio di morte bianca, annunciato da nevicate che non si ricordano per intensità oltre i 2000 metri. Tra i quattro e i sei metri nel Canton Vallese, oltre tre ai piedi francesi del Monte Bianco. E poi sbalzi imprevedibili di temperature, venti caldi e violenti, umidità altalenanti. Nel Bellunese, ad Arabba, 1600 metri sulla strada che porta al passo Pordoi, c'è il Centro sperimentale valanghe. Il direttore è un laureato in scienze forestali, si chiama Francesco Sommavilla. Sta studiando con colleghi di mezza Europa (Francia, Svizzera, Austria, Spagna, Islanda e Norvegia) un progetto sulle mappe delle valanghe e un piano di ricerca, su rischi e dinamica. «La neve non è come l'acqua, la lava o le frane, è un camaleonte, e la scienza non è nelle condizioni di poter dire dove e come la valanga cadrà e quale sarà la sua grandezza». L'uomo di montagna appare però sorpreso da quanto sta avvenendo. Come se non riuscisse più a comprendere il suo ambiente. E' possibile? «Beh... occorre un'analisi socioeconomica dell'evoluzione montana. Lo sviluppo del turismo, dell'imprenditoria ha cambiato il rapporto tra uomo e montagna. Il fenomeno turistico di massa ha creato occupazione e benessere, ha tenuto l'uomo in montagna, ma in un ambiente molto fragile. Di qui i problemi. Un equilibrio da ricostruire. Non si può però mettere in relazione questa analisi con quanto accaduto in questi giorni. Le variabili per la caduta di una valanga sono tantissime. Il discorso dello sviluppo è comunque da affrontare». A Morgex, ieri, è stato il soffio e non la neve a fare disastri, a portare la morte. «Il soffio ha grande potenza. E' una sovrappressione dell'aria che si forma con l'impatto tra neve e aria. E' proporzionale a velocità e peso della valanga, più la neve è leggera e polverosa e più il soffio è disastroso. Ovvio, però, che la massa della neve deve essere di grandi dimensioni». Quale velocità può aver preso? «Conosco quel tipo di valanga, ma non quella che è caduta ieri, tuttavia posso ipotizzare almeno 200 chilometri l'ora. Una pressione di 30-35 tonnellate al metro quadrato». Esiste una mappatura delle zone a rischio valanghe, che va dal bianco, al blu e al rosso. Ma in questi giorni ogni mappa è saltata... «Le zone del pericolo si rifanno a riscontri storici e a primi studi dinamici sulla caduta delle valanghe. Ma quella delle valanghe non è ancora una scienza esatta, ci sono variabili come peso, pressione e velocità che cambiano a seconda del tipo di neve, della temperatura, delle dimensioni, del vento, dell'umidità. Troppi parametri...». Insomma, è una scienza bambina, distante dal poter prevedere o zonizzare meglio il territorio? «No, non è bambina. E' soltanto in evoluzione. Vede, abbiamo matematici e fisici bravissimi che manipolano a loro piacimento le equazioni della meccanica dei fluidi. Le formule sono belle, anzi, splendide, ma ci vogliono i coefficienti, insomma, i dati sui fenomeni osservati. E questi non li abbiamo ancora. Ogni valanga ha i suoi "numeri" e così bisognerebbe classificarla per avere una mappatura scientifica. Ci stiamo provando anche con quello studio europeo. I primi studi sono svizzeri e risalgono al 1936, poi quelli più approfonditi, sempre elvetici, sono del 1955». E l'Italia, è indietro? Magari disattenta? «No, direi che in questi ultimi anni la sensibilità rispetto al problema valanghe è aumentato. Abbiamo cominciato tardi, ma non siamo secondi a nessuno, diciamo che dialoghiamo alla pari coi colleghi delle altre nazioni alpine senza alcun complesso di inferiorità». Che cosa si può fare per evitare le valanghe, o almeno, i disastri? «Ci vorrebbero cannonate di mibardi. La valanga, come modello fisico, è semplice, si tratta di una forza che ne sconfigge un'altra, quella concorrente. La neve si 'stacca quando il suo peso supera la resistenza. Bisognerebbe mette- re delle barriere ferma-neve dove c'è la zona del distacco. Tuttavia il contenimento di valanghe polverose che provocano un soffio come a Morgex è quasi impossibile». E la ricerca? «Deve andare avanti, certo. Bisogna riuscire a interpretare con dati storici. La montagna è da monitorare, per quel complesso e delicato equilibrio di cui parlavo. Ci vogliono poi opere di stabihzzazione e uno sviluppo ristudiato con grande attenzione», [e. mar.] LE CAUSE «Lo sviluppo del turismo ha cambiato il rapporto tra l'uomo e la montagna Il turismo di massa ha reso molto fragile l'ambiente Bisogna ricostruire questo equilibrio e investire molti soldi nella ricerca» LA SCIENZA «Gli studi sono in evoluzione In Italia la sensibilità rispetto al problema è aumentata anche se abbiamo cominciato tardi Ma non saremo mai in grado di poter dire dove e come cadrà» Val d'Aosta: una drammatica immagine del paese di Morgex, devastato dal soffio della valanga

Persone citate: Francesco Sommavilla