«Ho visto esplodere il tetto»

«Ho visto esplodere il tetto» «Ho visto esplodere il tetto» «Era come un terremoto, è durato mezzo minutò» IL RACCONTO DELLA PAURA MORGEX (Aosta) DAL NOSTRO INVIATO La paura? Lasciata alle spalle. I 60 ragazzi inglesi in settimana bianca salgono sul loro «bus» bianco e invece di andare in su, verso il Monte Bianco e Courmayeur, scendono per andare ad Aosta e Pila: sempre sci è. «Programma cambiato», dicono loro. Della valanga sapranno a sera e intaseranno i telefoni: «Tutto bene». La devastazione di Dailley, nome che pare anglosassone, è nei tetti scoperchiati, lamiere arrotolate come scatole di sardine e «Uose» (spesse ardesie), scaraventate con travi e assi anche a venti metri. Una guerra, in quel villaggio, un «fuoco» candido e gessoso urlato dalla valanga a 200 chilometri l'ora che ha tormentato i 45 abitanti, ha ucciso una donna, distrutto i risparmi di alcune famiglie, choccato bimbi, annichilito anziani. «Di qui non mi muovo, andatevene, questa è la mia casa»: Ariette Jaccod Clusaz ha superato i 70. E più della valanga, di un'altra valanga, teme quell'abbandono forzato. Il marito, ha seguito rassegnato gli uomini dei soccorsi. Lei no. Di fianco ha un balcone in ferro gonfiato dalla furia dell'alba spaventosa e a qualche passo dalla porta di casa, nel vicolo che s'infila stretto tra le case, c'è un ex tetto di travi in pino che penzola lamiere snervate da quella sorta di uragano. Stracci che cigolano, alcuni strappati e scaraventati 200 metri più in basso, nel prato di casa di Giacomo Golosi. Mentre il soffio scuoteva la sua casa e riempiva il suo letto di vetri e neve e capovolgeva la culla di Viola, non ancora 2 anni, un pezzo di capriata strappato dalle lamiere vicine ad Ariette sfondava una delle sette piccole cupole di vetro del tetto della famiglia Girardini, in mezzo al villaggio. Carlo e Franca, coniugi, dormivano nella camera del mansardato in due letti accostati all'americana, lo spazio d'un comodino tra loro. E lì s'è infilato il trave, giù, di punta, conficcato nel pavimento. «Non so descrivere che cosa ho pensato - dice Carlo che ora è a casa della figlia - forse al terremoto... Ecco, sì, al terremoto. Tutto tremava, eravamo immersi in un frastuono che pareva non finire. Eppure sarà durato mezzo minuto. Le "lose" saltavano sul tetto». La casa della cugina, GrazieUa Jeantet, vittima della sciagura, è poco distante. Anzi, era... Non c'è più. Tra le macerie, tre ore dopo l'urlo della valanga, lavora Bruno Negrini, nato a Dailley 66 anni fa. Tira fuori le assi dai mattoni, ha una mano ferita, ma non se ne cu¬ ra. E' come se parlasse a se stesso quando guardando la sua casa, a 20 metri, dice: «Non capisco che cosa sia finito sul tetto. Mi ha rotto le "lose" e poi è caduto sfasciandomi anche la staccionata. Andrò a vedere. Ma io non ho mai visto una cosa del genere. Certo, mi ricordo anche mucchi di neve soffiata dalla valanga contro le case, ma mai con questa forza». La forza è modellata più in alto, su una piccola altura che guarda la valle della valanga, dove un incredibile massa di neve e massi ha fatto esplodere un boschetto di frassini. Modellata contro la povera casa-azienda (stalla, fienile e abitazione) di Bruno Rosset: il muro che s'affaccia al sole è trasformato in un igloo. Sembra che uno scultore si sia divertito a impastare scagliola contro l'intonaco. Le finestre, con infisso com¬ pleto sono spiaccicate sull'altro muro, appese quasi fossero inchiodate. «Ero a mungere a quell'ora - dice l'allevatore Bruno Rosset - e ho sentito quel frastuono. Non ho capito che accadeva, poi mia moglie ha incominciato a gridare, "la bambina, la bambina"». Cristina, 12 anni ancora da compiere e al piano di sopra nel suo letto. Il papà l'ha trovata atterrita sotto un groviglio di travi. Piange, Bruno: «Mio Dio, era lì sotto, credevo fosse schiacciata, ma l'ho tirata fuori e mentre ce l'avevo in braccio ho sentito Elio gridare "Bruno viene ad aiutarmi per carità, Graziella non respira più"». E Bruno è corso là, lasciando Cristina accanto alla mamma ferita. Il paese intero era sveglio. Tutta Morgex, ma al buio. La luce, per alcuni, è andata via prima dell'urlo spaventoso di quel crollo candido uscito dall'imbuto di rocce come fosse crollata di schianto una diga. Sulla strada lunga e ret¬ tilinea che sale nelle vigne del «bianco dei ghiacciai» verso Dailley ci sono i segni mequivocabili di tanto forza: ciuffi di arbusti con i rami esili e flessibili scortecciati come fossero finiti in un tritacarne. «L'ho vista la valanga davanti alla cappella di Lavancher, dall'altro lato, oppure qui vicino alla nostra, ma guardate cosa ha fatto questo soffio...», dice Alfredo Gamba. Incredulo. Chi era sveglio s'è accorto che qualcosa non andava. «I cani ululavano, ma la luna non c'era, le mucche erano nervose, scalciavano». E giù, in paese, «Jerry», gatto tigrato di 4 anni s'arrampicava perfino sui vetri. La sua padrona, Rosa Maschio: «Ho guardato fuori e ho visto una nube immensa». Sul Mont Meut, «muto», come il silenzio sospeso che dicono si crei prima d'ogni valanga, continua a nevicare. Enrico Martine* UN URAGANO DI NEVE Intorno alle 6,20 una valanga del fronte di 300 metri si stacca dal Mont Meut a oltre 2000 metri di quota e passa a 50 metri dal villaggio di Lavancher e a 120 da quello di Dailley La valanga non raggiunge gli abitati, ma . il soffio (un vento a 200 ,•/ km/h causato dallo spostamento d'aria) investe Dailley, dove abbatte due case e ne scoperchia o danneggia una ventina, rovescia auto e camion, spezza due tralicci dell'Enel e rade ai suolo 200 alberi sul fronte opposto della valle. 5 ancher e a 120 da quello di Dailley . ,•/ Il crollo di una trave uccide Graziella Jeantet, 52 anni. Il marito si salva rifugiandosi sotto il letto

Luoghi citati: Aosta, Courmayeur, Morgex, Pila