Da via Rasella ai processi cronistoria di una tragedia di Alberto Papuzzi

Da via Rasella ai processi cronistoria di una tragedia Roma, marzo 1944: l'attentato, la rappresaglia, le vittime e i carnefici Da via Rasella ai processi cronistoria di una tragedia I- L 22 gennaio 1944 gli alleati sbarcano ad Anzio e stabiliscono una testa di ponte. Dovranno passare oltre quattro mesi prima che, sfondata a Cassino la linea Gustav, possano Liberare Roma il 4 giugno. «Città aperta» per il governo Badoglio, in realtà la capitale è dichiarata territorio di operazione, con un ordine del 24 gennaio, firmato da Kesserling, capo delle forze di occupazione tedesca. Si vive tra coprifuoco e rastrellamenti. Centinaia di antifascisti passano attraverso la prigione tedesca di via Tasso o finiscono nel carcere di Regina Coeli, dove il 5 febbraio muore Leone Ginzburg. E' in questo clima che la Resistenza romana decide un'azione che scuota gli antifascisti, spaventi i fascisti e metta in difficoltà i comandi tedeschi. La data scelta è il 23 marzo, anniversario della fondazione dei Fasci. L'attentato. L'azione è affidata ai GAP, i gruppi di azione partigiana, in larga prevalenza composti di comunisti, che conducono la lotta armata nelle città. L'obiettivo è una colonna di SS del reggimento Bozen che passa in via Rasella, nel centro della capitale. Il tritolo viene nascosto in due bidoni della spazzatura, portati sul posto con un carrettino spinto da un gappista travestito, Rosario Bentivegna. Tra i suoi compagni Carla Capponi, Franco Calamandrei, Silvio Serra, Fernando Vitagliano. Alle 15.30 Calamandrei si toghe il cappello: è il segnale che i tedeschi arrivano e Bentivegna accende la •miccia. All'esplosione seguono raffiche di mitra e bombe a mano. Muoiono 33 tedeschi. Decine i feriti. Il generale Kurt Maeltzer, comandante militare della piazza, vorrebbe far saltare in aria il quartiere. La rappresaglia. Per lo storico tedesco Lutz Khnkhammer è il comando dell'esercito a decidere la rappresaglia, in rapporto di dieci italiani per ogni tedesco ucciso. L'ordine è firmato dal generale von Mackensen e confermato da Kesserling, senza prevederne la sospensione nel caso gli autori dell'attentato si fossero consegnati. Non risultano disposizioni scritte di Hitler, il quale comunque aveva prospettato la possibilità di fucilare mille romani. Il maggiore Dobek, comandante del battaglione colpito dall'attentato, rifiuta di far eseguire le fucilazioni dai suoi uomini. Neppure l'esercito mette a disposizione i suoi soldati. L'incarico è affidato all'Obersturrnbannfuhrer delle SS Herbert Kappler, capo della SiPo (Polizia di sicurezza), che nella notte stila la Usta delle vittime, basandosi sulle schede dei detenuti dell'ufficio. Per Klinkhammer, «fu probabilmente aiutato da Priebke». L'eccidio. Kappler sceglie 335 vittime, divise fra partigiani, poli¬ tici ed ebrei, escludendo donne e bambini. L'esecuzione è fissata per le 15.30 del 24 marzo, in una cava abbandonata sulla via Ardeatina. Kappler tiene un discorso agli uomini, diversi dei quali non hanno ancora ucciso una persona. L'aiutante Schutz spiega l'esecuzione, con un colpo alla nuca. Le SS vengono divise in 12 squadre, due di ufficiali e dieci di sottufficiali, ognuna di cinque uomini, che uccideranno cinque prigionieri. Il commissario Priebke, all'ingresso della cava, chiama i prigionieri e li depenna dalla lista. Ti commissario Schutz, dentro la cava, controlla l'operazione. Le squadre entrano una alla volta, con le cinque vittime, e ogni SS spara all'uomo che le si è inginocchiato davanti. Alle ore 20, dopo 67 turni, l'eccidio è finito. Restano i genieri, che fanno saltare in aria la cava e coprono i cadaveri, con l'intenzione di cancellare l'eccidio. Un solo ufficiale, Wetjen, si è rifiutato di partecipare all'esecuzione. MaKappler l'ha convinto a sparare con lui. Le condanne. Nel 1947 a Venezia, per le Fosse Ardeatine, un tribunale militare alleato condanna a morte Kesserling. La condanna è commutata nell'ergastolo, quindi in vent'anni, da scontare a Werl, carcere inglese in Bassa Sassonia. Nel 1952 il ministro Eden concede la grazia all'ex maresciallo, che muore nel 1960 a Bad-Nauheim, città termale. Pure von Mackensen beneficia della grazia. Nel 1948, in Italia, è condannato all'ergastolo «il boia delle Ardeatine», Herbert Kappler. La grazia gli è negata tre volte. Malato di cancro, trasferito da Gaeta all'ospedale del Cebo, il Ferragosto del 1977 fugge in una valigia, grazie alla complicità della moglie Annelise, sposata in carcere. Muore sei mesi dopo, nel febbraio 1978. Caso Priebke. La ferita delle Ardeatine si riapre nel 1994, quando Priebke è arrestato in Argentina. Estradato in Italia, il 1° agosto 1996 il tribunale militare dichiara il non doversi procedere per prescrizione, suscitando lo sdegno dei parenti delle vittime, che in pratica tengono in ostaggio la corte. Un complesso iter porta al rifacimento, coinvolgendo anche Karl Hass. Si accendono polemiche: si deve tener conto degli 84 anni di Priebke? Il 22 luglio '97 in primo grado Priebke e Hass sono condannati a 15 anni e a 10 anni e 8 mesi. 117 marzo 1998 in secondo grado ai due ex ufficiali viene inflitto l'ergastolo. E che cosa è stato di quello Schutz che illustrava l'esecuzione? E' morto in Germania, essendo stato consigliere della polizia. Alberto Papuzzi Le drammatiche immagini del rastrellamento compiuto dai tedeschi in via Rasella, nel cuore di Roma, subito dopo l'attentato dei gappisti nel quale restarono uccisi trentatré militari del reggimento Bozen