Pinochet in Cile: che incubo. Gesù non elimina i peccati, li paga.

Pinochet in Cile: che incubo. Gesù non elimina i peccati, li paga. LETTERE AL GIORNALE Pinochet in Cile: che incubo. Gesù non elimina i peccati, li paga. Se i diritti umani non sono una scusa Da qualche tempo ho un incubo ricorrente: sogno un trionfante Pinochet che torna in Cile nell'entusiasmo dei «liberali-liberisti» italiani. Non credo di essere il solo a temere che ciò avvenga. Con me ci sono le persone oneste di tutto il mondo. Quelle per cui i diritti umani non sono una scusa per aggredire gli avversari politici. Quelle che non hanno alcun bisogno di fare un ben pubblicizzato pellegrinaggio ad Auschwitz. Claudio Giusti Forlì Quell'ablativo è della quarta: in u Ha ragione Ceronetti a non sopportare la traduzione deU'«Àgnus Dei qui tollis peccata mundi» nella Messa in italiano (La Stampa di domenica 21 febbraio). Quel «togli i peccati del mondo» è una brutta figura di paronomasia involontaria, che confonde la vicinanza di senso con la vicinanza di suono. «Tollis», nel latino ecclesiastico, non significa affatto «togli», ma «sollevi»., «accogli»; con più profondo significato, «prendi su di te». Gesù non elimina i peccati; li paga in proprio, caricandoseli sulla croce. Bravo Ceronetti. Spiace che, subito dopo, scivoli proprio lui in un errore di latino (a meno che non sia vittima di un refuso). L'autore di «Lanterna rossa» accusa «i cattolici materialisti che traducono 'et cum spirito tuo' con uno spompato 'e col tuo spirito'». Non so quale espressione traduca meglio l'originale della Chiesa; «e col tuo spirito» è certamente la più fedele. Ma in latino la frase suona, da duemila anni, «et cum spiritu», con la «u», come vuole l'ablativo della parola: che appartiene, perfino per i più puntigliosi fra i lefebvriani, alla quarta declinazione. Giancarlo Coggio Latina Il Kosovo non rende come andare in Libano Prendo atto con soddisfazione di quanto precisa il Generale Torre a proposito del criterio di designazione del personale in Kosovo, non subordinato ad alcuna specifica domanda. Si deve però precisare che finora, nell'Aviazione Esercito, tale atto di assenso è stato richiesto per «impiego all'estero in senso lato e non per specifiche collocazioni geografiche (Libano, Jugoslavia...)» (cito testualmente, ed 5 Kosovo è una provincia autonoma della ex Jugoslavia). Detta normativa è assai azzardata perché, in potenza, consentirebbe ad eventuali recalcitranti di sottrarsi legittimamente al loro dovere. Se ora le cose stanno cambiando, o cambieranno, volentieri ne prendo atto. Sarebbe però opportuno che non vi fosse distinzione tra l'una e l'altra missione (vedasi il Libano, dove lo stesso generale Torre conferma l'invio «a domanda»), onde non ingenerare perplessità nel personale dipendente anche in ordine alle paghe, in Libano quasi triple che nella ex Jugoslavia. Maresciallo Guido Guasconi Bresso (Mi) Parlamentari: meno liti e più elemosine Dalla televisione e dai giornali apprendiamo che in Parlamento avvengono spesso battibecchi e tafferugli accompagnati da parolacce... E mentre in questo onorevole luogo avvengono tali cose, milioni di cittadini (in particolar modo del nostro sempre depredato Meridione) aspettano da questi signori che gli si garantisca un posto di lavoro sempre promesso da chi può e mai ottenuto da chi ne ha bisogno... Mentre tutti i giorni, ahimè, aumenta nelle nostre strade la schiera di persone che chiedono l'elemosina. Ora mi chiedo: non sarebbe più fruttuoso che tali deputati e senatori pensassero seriamente a queste cose di grandissima necessità (nonché di degrado per il Paese e di brutto esempio che a esso dan- no) invece di prodursi in atti deplorevoli quali zuffe, ripicche, minacce e similia? Certo non tutti i deputati e i senatori si abbandonano a tali «prodezze», ma bastano pochi, basta il gruppo consueto di scalmanati a gettare discredito sulle istituzioni civili del nostro Paese. Giacomo Giglio, Trapani Ciò che resta di Lanzo dopo la civiltà C'era uno splendido paese pedemontano di nome Lanzo, approdo ideale per serene vacanze e fine settimana, a trenta chilometri da Torino e altrettanti dai 2000 metri di tre magnifiche verdi valli. C'era a Lanzo un bosco, miracolo di natura selvaggia sopravvissuta all'interno del paese, con l'acqua cristallina di un torrente e con eleganti alberi - qui li chiamano con un certo disprezzo gaggie provvidenziali perché elastici e infrangibili si opponevano alle piene e al rotolar dei massi difendendo il paese dalle alluvioni: e per questo servigio fu conservato da generazioni meno stupide dell'attuale, quando l'uomo sapeva convivere con la natura, che così gli restava amica. Un triste giorno di fine agosto 1992 il bosco fu abbattuto, perché un sindaco venuto di lontano aveva deciso di passare ai posteri («Farò di meglio») con un Campetto sportivo ingabbiato da alti muri (per evitare le piene oramai libere di espandersi) ad uso degli studenti (che non lo usano mai). Adesso il torrente, che allegro e scintillante in uno splendido scenario di montagne dava il benvenuto all'ingresso di Lanzo, è imprigionato da mostruosi argini, a dispetto dei disastri causati altrove da consimili sbagli ecologici. E attorno a questi argini, che non si finisce di estendere a monte e a valle, ancora stragi di alberi; e una enorme, vasta montagna di massi, su cui alberi non ne cresceranno mai, innalzata dietro il Campetto sportivo, a ulteriore difesa dello stesso e della nuova scuola, costruita a pochi metri dal torrente quando già vigeva (ma era stata approvata prima) la benemerita legge che lo vieta. Il povero Tesso, su cui i ragazzi d'estate febei sguazzavano, è triste e inaccessibile; e chi lo ama spera in una disastrosa piena che ripristini, magari fra cento anni, l'ecosistema e la sua dignità. Adesso pure gli alberi del prato dietro la bella stazione ferroviaria, verde sfondo cinguettante di arrivi e partenze, sono scomparsi per far posto ai camion gru e massi dell'interminabile argine che si sta allungando a valle dei ponti. E dato che la smania distruttiva è contagiosa, ecco che l'ente (privato) gestore della ferrovia CirièLanzo in un amen fa abbattere tutti i bei pini di sostegno dei terrapieni che costeggiano i binari (dice che metterà al loro posto dei bei muri) e smantella uno dei due binari nonché il marciapiede intermedio asportandone le belle pietre antiche per destinarle ad altra tratta e sconquassando così il nobile ambiente architettonico e naturale della stazione e del cuore verde di Lanzo. Adesso Lanzo, col suo bel castello ex Mauriziano in rovina (che restaurato con fondi Cee poteva essere destinato a centro di congressi, con economico rilancio anche per le valli), sembra un paese della Bosnia o del Kosovo dopo il passaggio dei moderni Gengis Khan. E c'è rabbia, sconforto e vergogna impotente nei suoi abitanti. Laura Bergagna, Lanzo edibi@icip.com Ma quanti vip senza fognature Forse non tutti conoscono il comune di Dagnente dove da poco abito. E' un paesino sul Lago Maggiore, alle spalle di Arona, appena oltre la statua del S. Cartone, che, a dispetto del suo nome poco felice è abbastanza importante: c'è la villa di Mike Bongiorno, quella di Manuela Di Centa, del banchiere Cuccia e, se vogliamo, quella del generale Delfino. Ci vive anche Mo, il giornalista del Corriere. Ha un parroco con la mania delle campane, ma pazienza. Quello che stupisce è il fatto incredibile che non ci sono le fognature. Non sto scherzando; stiamo entrando, nel terzo millennio eppure esistono ancora realtà di quaesto tipo. In compenso però i cittadini di Dagnente (quorum ego) le pagano sotto forma di un «canone di fo gnatura» e un «canone di depura zione». Come dire, il danno e la beffa. Chissà se qualcuno di quelli che contano da queste parti leg gerà questa lettera e saprà darmi una spiegazione. Claudio Calza Dagnente di Arona (No) LA STAMPA 'Via Marenco 32,10126 TORINO fax 011 - 6568924 e-mail lettere@lastampa.it |