YEHOSHUA: LA DEMOCRAZIA DEI MEDIA HA UCCISO EROI E GRANDI ROMANZI
YEHOSHUA: LA DEMOCRAZIA DEI MEDIA HA UCCISO EROI E GRANDI ROMANZI YEHOSHUA: LA DEMOCRAZIA DEI MEDIA HA UCCISO EROI E GRANDI ROMANZI di questi ultimi anni (forse mesi) il convincimento che Yehoshua è il più grande narratore vivente. Verrà presto in Italia per discutere di «Etica e romanzo», nell'ambito del convegno «Spazi e confini del romanzo», a Forlì dal 3 al 6 marzo. Così mi è venuto voglia di rileggere il suo saggio La democrazia uccide il romanzo. Yehoshua avverte sui o bito che non si riferisce alla democrazia in quanto riscatto delle classi popolari per la libertà e la dignità sociale (che anzi il romanzo ha favorito) ma piuttosto «all'attuale forma di democrazia estesa e pervasiva» affermatasi nel mondo occidentale in questi ultimi cinquant'anni. E' la demoi dll S il dli crazia dello Stato sociale, degli esperti, dei giornali, della televisione. E' la democrazia che ha decretato il declino dell'eroe che «ci trascina via da ciò che siamo per innalzarci su un gradino più alto» e al suo posto ha innalzato l'anti-eroe «che ci porta a ripiegare su noi stessi»; è la democrazia dei diritti delle masse, che diffonde (d'illusione che ogni problema sia risolubile attraverso le regole del patto sociale, basta conoscerle»; è la democrazia in cui «il compito di elaborare un giu¬ dizio morale è interamente affidato ai media, che inscenano ogni giorno una sorta di tribunale che tiene tutti sotto tiro»; è la democrazia dei sondaggi, che anticipa presunte verità e impone scorciatoie all'immaginazione; è la democrazia dei numeri che attribuisce alla maggioranza ogni potere di scelta. Questa democrazia, afferma Yehoshua, uccide il romanzo nel senso che gli toglie le ali, impedendogli di essere, come il grande romanzo dell'Ottocento e dei primi decenni del Novecento, strumento capace di rivoluzionare i pensieri e i sentimenti degli uomini e di favorire le svolte defia Storia. A dimostrazione di questi convincimenti porta due esempi, in cui si prova a prefigurare i rischi che avrebbero potuto correre due grandi romanzi del passato se fossero stati scritti oggi. I due romanzi sono Delitto e castigo e La capanna dello zio Tom. A proposito del primo si chiede: che cosa sarebbe stato di Raskolnikov se, mentre al colmo della disperazione si accingeva a uccidere la vecchia strozzina, spinto dalla terribile miseria in cui versava, avesse ricevuto una lettera che lo informava che la Fondazione Guggenheim gli «assegnava una borsa di studio per una tesi su II sistema d'immagini nella Poesia di Puskin, invitandolo a presentarsi presso... gli uffici della Prospettiva Nevski... per prendere accordi... sulle modalità di pagamento?». E si risponde: probabilmente «fremente di gioia Raskolnikov sarebbe caduto in ginocchio e avrebbe piegato il capo in segno di gratitudine. La terribile azione che aveva considerato in precedenza avrebbe potuto essere dimenticata. Ora so, avrebbe detto a se stesso, la strada da seguire». E probabilmente «passando da una borsa di studio all'altra avrebbe concluso la propria vita in veste di sobrio professore universitario». Per sempre avremmo potuto perdere una figura capitale non solo della letteratura mondiale ma della storia del pensiero occidentale che nella sofferenza di Raskolnikov cova (e porta a maturazione) i primi germi del superomismo e, più ancora, della cultura esistenzialista. Tanti altri esempi, dice Yehoshua, potrebbero essere portati a dimostrazione del fatto che la democrazia cosiddetta avanzata «influisce pesantemente sui romanzieri, che se in passato non avevano certo paura di fornire una visione onnicomprensiva della realtà, in¬ terpretandola attraverso gli occhi dei loro eroi o della voce narrante, ora non prendono più rischi, non tentano di spiccare il volo, preferiscono dedicarsi a analizzare le sfumature dell'animo umano». Qui finisce il discorso di Yehoshua (quel tanto che noi possiamo dare in un articolo) e qui finisce anche il nostro che, se pure con altre argomentazioni, coincide con quello dell'israeliano. Da sempre andiamo proclamando, con più o meno enfasi, la morte del romanzo. Ma in più nel discorso di Yehoshua c'è un senso di angoscia, di consapevolezza di una condizione perduta, che la nostra narrativa (la narrativa di questi ultimi cinquant'anni) non conosce, anzi rifiuta, contrapponendo a quella consapevolezza un atteggiamento quasi compiaciuto per la morte dell'eroe, la rinuncia a ogni impegno politico, la non idoneità a giudicare e la spinta alla deriva letteraria. Yehoshua ci dice che, certo, non possiamo non prendere atto che le condizioni in cui uno scrittore (un narratore oggi) opera sono mutate, ma aggiunge che tale mutamento coincide con un forte impoverimento della ricchezza rappresentativa e di idee che aveva la narrativa ottocentesca e del primo Novecento tanto che nel novero dei grandi libri del secolo non ve n'è nemmeno uno, conclude Yehoshua, scritto negli ultimi 50 anni. Non Màrquez, non Sartre o Camus, non Bellow, non Gùnther Grass, non Solzenicyn... che tutti cedono di fronte alla (diversa) grandezza di Proust, Joyce, Kakfa, Mann, Faulkner o Celine. Angelo Guglielmi Abraham Yehoshua. Lo scrittore israeliano di «Viaggio alla fine del millennio» e «Il signor Mani» (da cui il regista Roberto Faenza ha tratto un film di prossima uscita), sarà a Forlì il 5 marzo per il convegno «Spazi e confini del romanzo» ETICA E ROMANZO Intervento di A. Yehoshua al convegno «Spazi e confini del romanzo» Forlì 3-6 marzo
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