Lorenzo, un emigrante tra Munch e Matisse

Lorenzo, un emigrante tra Munch e Matisse Lorenzo, un emigrante tra Munch e Matisse B fflH I arriva, dalla Francia, un libro che mi fa gioire e che, anan IH che, mi rattrista. E' un nuovo libro di Lorenzo Mattotti, è n IH un auovo biglietto di viaggio nell'universo visivo di que9 II sto nostro giovane maestro, dopo Fuochi, dopo L'uomo wk I I a^a finestra> (-'0P° suo Pidocchio. Ma è anche la ceri ifi91 | cazione del suo passaggio in Francia, con la sensazione HE che sarà meno nostro, o diversamente nostro, o comun- \ / que con il sospetto che non ci siamo meritati di tenerlo ■ qui. Del resto, questo suo Ligne fragile, che Seuil (pp. 400, ™^ ■ "HL Fr 198) ha stampato con l'eleganza schietta, essenziale, )plimpida che un tempo era di Vallec¬ chi, o di Garzanti con le copertine di Bianconi, oppure di Longanesi con Leo Longanesi vivo, troverebbe ora, da noi, un editore? Credo proprio di no. E Mattotti è andato certo a cercare un Paese dove l'alleanza tra una scuola demagogica, ignorante, e una editoria coerente, consequenziale, è forse meno stretta, oppure diversamente articolata, «ligne fragile» è un libro amabile e ansiogeno, carezzevole e torbido, insinuante e chiarissimo. Contiene i disegni a tratto lieve, veloce, sottile, fragile appunto, ma anche i disegni goyeschi, nati da una ridda cumulativa di graffi infiniti, che Lorenzo ha fatto così, per sé, senza immediata destinazione, nel corso di quindici anni. Mattotti è un colorista acceso, materico quanto un pittore che abbia goduto l'ebbrezza salutare dei grumi dell'Informale, gioioso e crudele come chi abbia insieme amato Munch e Matisse. Qui c'è un altrove in bianco e nero, gremito di segni sottili, dove sogni, visioni, incubi, rimembranze, ossessioni, ritrovamenti, calligrafie, fantasmi, si rincorrono entro uno spazio che ci tormenta e ci affascina. C'è una grande componente onirica e surreale, si avverte bene come questi disegni nascano da un autentico abbandono, come non ci sia progetto, controllo, censura, ordine, previsione. Però è sempre la grande officina di Lorenzo, qui, a clùedere di essere visitata. Ci sono i giganti inquieti e purulenti di uno Swift sommamente anti-umanistico, le donne truci e laide di un eros che cerca se stesso entro i meandri dell'abominio, gli universi fantastici in cui tutti siamo Pollicini, o Gretucce o Giovannini. In questo nostro emigrante c'è tutta l'eredità possibile del grande segno italiano, c'è un'Italia colta e ritrosa che fa discendere lievi tratti connotativi da piazze silenziose, da campanili, da colline, da piane tagliate da tratturi, da mari imbronciati. Si ritrovano le Amalasunte di Licini e i giochi di Depero, le periferie di Sironi, le stradine di Rosai, i paesaggi umani di Vellani Marclù, i tratti metafisicamente essenziali del Morandi incisore, ma anche, o perfino, la soggliignante compostezza di un Novello, l'infernale inquietudine di Martini, la dolcezza perentoria di Luigi Bartolini. Nelle immagini fatte così, in libertà vigilata, c'erano nascoste certe parole: alcune le ha ritrovate lo stesso Lorenzo, altre sono di Jerry Kramsky, sodale eter¬ no e complice inflessibile. Non sono propriamente didascalie, si arriva perfino, congiungendo immagini con altre immagini, a creare storie ineffabili, come la tremebonda vicenda del «Fameux Lycée Papillon», un'istituzione scolastica surrealmente credibile, purtroppo «ferme d'autorité» quando ormai poteva descrivere realtà se non già esistenti, almeno temibili per via, per esempio, della nostra già varata «riforma dei parcheggi» che scatterà nelle nostre medie superiori a settembre, ma fa già paura adesso. Del resto, il Lear caro a Rodari e il Jarry del funambolismo di ogni ribalta sono qui, presenti e riconoscibili. Curioso, certo, il senso e il destino di questo gran libro di Seuil: par d'avere in mano un grosso brogliaccio di appunti e si sfoglia, invece, un classico a tutti gli effetti. Mentre rifletto sulla provenienza del volume, ritrovo un altro libro, L'orage, di Anne Brouillard, edito da Grandir (pp. 40, Fr 110), che per me è stato il più bel libro dell'edizione 1998 della Fiera del Libro per ragazzi di Bologna. Senza neppure una parola, con tavole belle come se fossero uscite dallo studio di Bonnard, e dalla cerclùa dei Nabis, «L'orage» narra, dice, spiega, emoziona, rammentandoci che chi offre un libro senza parole sa che moltissime parole devono essere possedute da chi poi lo guarda e lo «legge». Dopo quaranta anni di insegnamento interamente versati, avevo una lista intera di ministri, provveditori, colleghi, bidelli da fare emigrare. Non nella Francia di Seuil o di Grandir, per carità, nelle isole del capitano Nemo, nei luoghi di Venie e di Robida. Invece è andato via Lorenzo, e noi ci teniamo una scuola Papillon dove si preparano i clienti, anzi i sudditi, della Carrà, dove leggere le immagini ò impossibile, perché non si deve leggere comunque, e dove, di «fragile» c'è molto: l'etica, l'impegno, la dedizione, la disciplina. Antonio Faeti

Luoghi citati: Bologna, Francia, Italia