IL GIOVANE RIBELLE CHE NON MORI' MODERATO

IL GIOVANE RIBELLE CHE NON MORI' MODERATO IL GIOVANE RIBELLE CHE NON MORI' MODERATO Achille Bizzoni, le guerre di uno scapigliato RIVOLUZIONARI a vent'anni, reazionari a quaranta...»: sono molti quelli che, in fasi diverse della nostra storia, hanno sentito il bisogno di ripararsi - attraverso questo disincantato luogo comune - dal riverbero troppo forte di vite incendiarie. Con una battuta è sembrato loro possibile disaccostare da sé la vampa di esistenze capaci di ardere davvero. E non già al freddo bagliore dei fuochi fatui delle ideologie ma nel bruciante crogiuolo dell'azione ribelle, della trasgressione avventurosa e personale (nel senso che viene pagata tutta di persona). Alcuni di questi tizzoni esistenziali si possono rinvenire persino nel giornalismo: settore che, a ritmati intervalli, viene accusato di essere la culla delle periodiche trasmutazioni che fanno del ribelle di ieri il moderato di oggi: l'atelier dove si taglia e cuce la divisa del pompiere al giovanotto che ieri era un appiccafuoco. O, almeno uno spericolato lanciatore di molotov. Un bell'esempio di tizzone che almeno a sprazzi contraddittori continua a bruciare, è l'Achille Bizzoni, giornalista lombardo nato nel 1841 e artefice del Gazzetti nel 1841 e artefice del Gazzettino rosa. Il giornale, fondato a Milano nel 1867 in via S. Pietro all'Orto, oltre ad essere il cuore pulsante della Scapigliatura lombarda è il portavoce di tutta quella gioventù intellettuale frustrata nelle condizioni di vita e delusa dalla quiete che ha fatto seguito alla tempesta unificatrice. Tutta gente che crede che «la meta della bohème sia di affrettare l'avvenire a diventare presente». Le modalità impiegate dal Gazzettino per raggiungere questo scopo scandiscono un susseguirsi di duelli, sequestri, processi, incarceramenti a getto continuo. Pare proprio che quelli del Gazzettino rosa, Bizzoni in testa, non conoscano l'arte del compromesso. Verso testate rigorose come la Perseveranza del Bonghi o i colleghi del Secolo - innovatori ma con i piedi ben piantati nell'humus della borghesia industriale lombarda - le cantano chiare. E talvolta persino in rima, come accade nel gennaio del 1868 nel bel mezzo della polemica sulla tangentopoli del tempo, quella originata dalla contestata gestione della Regia dei Tabacchi: «Del Secolo m'intitolo e il Secolo rinnego/ ci tengo ai miei principi e un poco anche all'impiego/ un cero alla Madonna e un cero anche al Demonio/ Garibaldi e Lojola uniscono in matrimonio/ Giustizia e libertà fur sempre la mia mèta/ E per questo mi sforzo di metterle in Moneta». C'è nella strofetta conclusiva non solo un riferimento all'istinto affaristico degb editori del Secolo ma, ingiustamente offensivo, un attacco a quel Teodoro Moneta - futuro premio Nobel per la Pace nel 1907 - che a partire dal settembre 1867 assume la direzione del quotidiano milanese reggendola per tre decenni. E, se Moneta, dalle colonne del Secolo si batterà per la costruzione della Nazione armata (la batosta di Custoza era appena dietro le spalle) e per l'ammodernamento dello Stato, ben altra direzione - verso l'internazionalismo libertario, l'anticlericali- smo e, soprattutto, l'astensionismo elettorale - prenderà il Gazzettino rosa. D'altra parte la cartacea creatura di Bizzoni e compagni è frutto, oltre che dell'apporto dei propri redattori, della tempesta che s'alza nella politica italiana di quegli anni. Il giornale - scrive Galante Garrone - «con tutta la sua ridanciana e sbarazzina levità di tono, il suo sfrenato gusto per épater i lettori, le frivolezze e gli eccessi polemici porta chiarissimi i segni dell'improvviso accendersi della temperatura politica...». E tuttavia la rotta del quotidiano deve molto al carattere di Achille Bizzoni, spirito sanguigno e bizzarro capace di trasfondere la sua vitalità straripante e provocatoria nel Gazzettino al quale dà il meglio di sé. Almeno quando non è in galera o riesce a resistere alle sirene guerresche. Infatti - come ha già fatto diciottenne nel 1859, quando lascia le aule dell'Università di Pavia per arruolarsi nell'esercito sardo, o nel 1861 quando si guadagna una medaglia al valore partecipando all'assedio di Gaeta - Bizzoni, non appena c'è un'impresa garibaldina in ballo, mette il giornale nelle mani di qualcuno, solitamente Felice Cavallotti, e corre alle armi. Ad esempio, indossata la camicia rossa, nell'autunno del 1867 si fionda a Roma, dove partecipa al cruento blitz di Villa Glori in cui cadono Giovan¬ ni ed Enrico Cairoli (di quest'ultimo Bizzoni era stato aiutante di campo anche nel 1866, nella campagna garibaldina in Trentino). Tra polemiche vivacissime, successiva alla Comune di Parigi, tra lo schieramento bakuniano e il fronte mazziniano o la campagna per l'astensionismo elettorale dove con la solita concisa eleganza Bizzoni scrive che, a suo parere, «il Parlamento è un sozzo porcaio, ove l'uomo più onesto ci lascia per lo meno il senso della delicatezza e del pudore», il Gazzettino rosa va verso un finale degno del suo tumultuoso procedere. Infiltrata la redazione da un giornalista provocatore, al soldo della polizia e che opera per dar moto ai tutori dell'ordine di intervenire in continuazione con arresti e sequestri, Bizzoni alla fine riesce a smascherare in tribunale la cospirazione. Vince il processo per diffamazione ma il giornale è ormai strangolato e chiude. E' il 15 novembre del 1873. Passano gli anni. Dopo una parentesi genovese e una romana intervallate da un'ennesima spedizione guerresca quando nel 1875, partito volontario, affianca la guerra dei bosniaci contro i turchi, Bizzoni arriva alla soglia dei quaranta. E sembra approdare, ineluttabihnente, a lidi moderati. Inviato speciale per quel Secolo che ha combattuto anni prima e che è diventato adesso il più importante giornale lombardo, Bizzoni è toccato perfino dallo scandalo della Banca Romana. Prudentemente si fa trasferire in Africa dove segue la penetrazione italiana in Eritrea ma le sue corrispondenze non piacciono alle gerarchie militari e l'ex-incendiario, apparentemente do mato ma ancora combattivo, vie ne espulso per la sua opposizione alla guerra e per vilipendio del governo coloniale. Lo si ritrova a Roma nel 1898, padrino di Cavallotti nell'ultimo, mortale duello di villa Cellere Muore, nel 1903. La fine di Bizzoni è tipica di quelli che, come lui, da incendiari non hanno saputo diventare davvero dei moderati. Muore in ristrettezze e solitudine e lascia un libro, L'Onorevole, che fa baluginare, ancora og gi, qualche scintilla. Oreste del Buono Giorgio Boatti Felice Cavallotti: Achille Bizzoni gli fece da padrino nel duello fatale Da leggere: Achille Bizzoni L'Onorevole Milano I89S Alessandro Galante Garrone I radicali in Italia Garzanti Milano 1973 Carlo Tenca Giornalismo e letteratura nell'Ottocento Cappelli LUOGHI COMUNI PE&SOKMtil E MEMORIE j|C DELLTIAE! A \m UNITA Giornalista, artefice del «Gazzettino rosa», spirito sanguigno e bizzarro, ora in galera, ora in armi, padrino di Cavallotti nell ultimo mortale àiello

Luoghi citati: Africa, Eritrea, Milano, Roma, Trentino