Kosovo, la Nato spegne di nuovo i malori

Kosovo, la Nato spegne di nuovo i malori I serbi: sì a una forza purché non Nato. Gli albanesi: non potete escludere l'indipendenza Kosovo, la Nato spegne di nuovo i malori Slitta l'ultimatum, a Rambouillet si tratta fino a martedì PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Intesa politica, disaccordo militare. Dopo 15 giorni di trattative non stop fra minacce, ultimatum e fortunose mediazioni, Rambouillet partorisce un verdetto zoppo sulla crisi kosovara, salvandosi in corner grazie ai tempi supplementari. La Conferenza proseguirà i lavori, giacché «sostanziali progressi» lasciano intravedere l'happy end. Ma non oltre martedì alle 15. Settantacinque ore che potrebbero cambiare la storia. Serbi e Kosovari sono condannati, in somma, a farcela. Scegliendo con diplomazia salomonica di non scegliere, i Sei affidano l'ultima chance all'imponderabile. Dini ci crede. «Finiremo per spuntarla, magari all'ultimo» rileva. Aggiungendo che Belgrado ormai socchiude l'uscio, accettando pur fra mille riserve il principio di truppe esterne in Kosovo. Purché la Nato non egemonizzi l'operazione. Ulteriore dissenso, la «tempistica». Si cerca disperatamente, in altre parole, una formula che salvi l'onore di Slobodan Milosevic senza compromettere il piano euro-Usa. Agli equilibrismi diplomatici rimane tuttavia un margine strettissimo. I B-52, ammonisce Washington, non pazienteranno oltremisura. «Che Belgrado non s'inganni sulle nostre intenzioni», lancia Madeleine Albright. Il segretario di Stato Usa è stanco, e si vede. Quando appare infine sul palco verso le 19.30, coronando un'attesa interminabile, il viso esprime ciò che le sue brevi frasi si guarderanno bene dall'esplicitare sino in fondo. Washington è frustrata. La proroga non soddisfa troppo la Casa Bianca, che teme una semplice manovra dilatoria serba. Ma era difficile opporvisi. I Russi non minacciano forse, in caso d'attacco Nato, una rottura totale con l'Alleanza? Il messaggio arriva dal generalissimo Aliatoli Kvashnin, e lo stesso premier Evghenij Primakov ribadisce alla Casa Bianca il suo fermo no. Malgrado Bill Clinton replichi al Cremlino «Se necessario, interverremo. L'America è pronta», sfidare in simultanea opposizione russa e reticenze occidentali bombardando la Serbia costituisce un rischio eccessivo anche per l'unica superpotenza planetaria. L'Alleanza atlantica, riunitasi ieri pomeriggio in Belgio, non poteva dunque che sospendere il vertice attendendo l'eventuale «via libera» dal 23 febbraio. Ma la signora Albright, il cui maquillage ieri sera mostrava la corda dopo 720' di battaglia negoziale, non ammaina bandiera. Intende rimanere a Parigi sinché Milosevic non capitoli. Perché in definitiva, «le principali difficoltà giungono dai Serbi». Belgrado «non vuol discutere» sul dossier «sicurezza» - leggi 24 mila uomini Nato in Kosovo - e Washington giudica «inaccettabile» la sua posizione. «I preparativi militari continuano» dichiara, secca, una Madeleine Albright che al tailleur verde speranza di San Valentino preferiva ieri il nero. E' lei, in definitiva, la star. Il ministro degli Esteri francese Hubert Védnne annuncia «sostanziosi passi avanti» mentre il . suo pari grado britannico annuisce dalla tribuna, ma la platea scruta l'impassibile Madeleine. «Non ho intenzione di andare a Belgrado», commenterà più tardi. Respingendo - venerdì - il suo messo Hill, Milosevic l'ha offesa. Morale, il braccio di ferro americano-yugoslavo continua. E Rambouillet segrega per tre giorni in più nel castello-prigione i suoi 29 reclusi kosovari-serbi, sottoponendoli a overdose diplomatica. L'atmosfera non è delle migliori. Hashim Thaqi, responsabile politico Uck, illustra (ma, beninteso, gli avversari smentiscono con vigore) i metodi serbi. «"Se non firmi ti uccidiamo" dicono. Ma non cederemo al ricatto». I Kosovari approvano - come peraltro, in extremis, la delegazione serba - l'«estesa autonomia» che la bozza di Rambouillet propone loro. Malgrado la reciproca diffidenza, si direbbe che il contenzioso istituzional-politico non rappresenti un ostacolo invalicabile. Gli Albanesi rinunciano alla pregiudiziale su referendum e indipendenza. Basterebbe loro che il restyling degli eventuali accordi (nel 2002) non escluda fin da ora minime aperture sull'autodeterminazione. I Serbi accondiscendono all'autonomismo purché «l'integrità yugoslava» - le frontiere attuali - non venga messa in discussione. E citandola nel suo breve discorso, Védrine rincuora Belgrado. Entrambi i duellanti - dice - hanno espresso l'esigenza di proseguire gli incontri. Non sarebbe Rambouillet a cedere bensì i fratelli nemici che la implorano. Versione di comodo, parrebbe. Ma è quella ufficiale. Al fatidico mezzogiorno di ieri, aspettavamo il sinistro «rien ne va plus». I negoziatori ci scodellano invece un «tutto come prima». Gheddafi, in compenso, drammatizza. Il colonnello vorrebbe rimpatriare d'urgenza dall'Europa gli universitari libici. Paventa, secondo Ràdio Tripoli, nientemeno che «la guerra atomica nei Balcani». Enrico Benedetto Albanesi a Malishevo ascoltano alla radio le ultime notizie da Rambouillet Senta GLI OBIETTIVI DEI RAID NATO Zrenjanin £ .u Novi Sad PANCEVO Il complesso Krusik che produce munizioni, lanciatori di razzi e missili anti-carro BELGRADO VALJEVO Kragujevac Kraljevo BERSÀGLI i—— Raffineria petrolifera ! BELGRADO L'aeroporto civile di Surcin b quello militare di Beta ni ice e il quartiere di Zemun, dove si trovano alcune postazioni antiaeree Monti ZLATIBOR e GÒLES i centri Radar «Vojin» / GOLES KRUSEVAC Gli aeroporti NIS Leskovac Pristina i # t é- + * /• t; Si parla di «sostanziali progressi». Per Dini «finiremo per spuntarla, magari all'ultimo» Gli attacchi aerei della Nato contro la Serbia colpirebbero le maggiori installazioni militari del Paese e raggiungerebbero zone vicine alla capitale. Lo afferma il Pentagono. Gli obiettivi dei caccia dei missili Cruise includerebbero gli impianti radar e della contraerea, le basi dell'aviazione e dell'esercito serbo.