Ammazzato per rapina l'uomo lapidato nei bosco

Ammazzato per rapina l'uomo lapidato nei bosco Legnano: giallo risolto, in cella un drogato Ammazzato per rapina l'uomo lapidato nei bosco L'aggressione dopo la sera trascorsa al bar L'omicida: mi spiace, era il mio migliore amico MILANO DALLA REDAZIONE Perché l'ha ucciso? «Non lo so, mi aveva sempre fatto del bene». Michele De Biase, 35 anni, tossicodipendente ha confessato tutti i particolari del suo delitto: ha ucciso lui Giuseppe Zapparoli, 60 anni, trovato sfigurato in un bosco vicino a Legnano. Tutti i particolari, meno uno: il movente. Perché i soldi che chiedeva Zapparoli glieli aveva già consegnati, e gli avrebbe dato anche quelli che aveva in casa e che il giovane è andato a prendere dopo l'omicidio: in tutto 160 mila lire. Sicuramente non l'avrebbe neppure denunciato: si sentiva suo amico e quella rapina sarebbe stata per lui solo l'ennesima delusione di una vita già grama. Invece De Biase lo ha ucciso, colpendolo con un ciacciavite, lo ha sfigurato e ha tentato pure di bruciare il suo corpo: un accanimento crudele contro un uomo sfortunato, incapace di far del male. Quando domenica mattina gli inquirenti arrivano nel bosco dietro il cimitero di Sant'Ilario di Nerviano, avvertiti da un podista che aveva scoperto il corpo, temono di trovarsi davanti a un caso difficile da dipanare. Perché l'uomo è sfigurato, perché non è chiaro dove sia stato ucciso: ha addosso vestiti trasandati e, sotto, il pigiama. Invece proprio quell'abbigliamento «da barbone» porta gli inquirenti sulla strada giusta. Il morto è Giuseppe Zapparoli e a Cantalupo, frazione di Cerro Maggiore, paese della zona, lo conoscono tutti. «Un brav'uomo» con una storia di vita ai margini, di uno che, dopo la separazione dalla moglie, lascia la sua casa, il suo lavoro di panettiere e non riesce a ricostruirsi un'esistenza. Vive di lavoretti saltuari che gli procurano gli abitanti del paese, in particolare i titolari della carrozzeria Transformetal. E' qui che conosce De Biase, nipote di uno dei soci. Un gio¬ vane tossicodipendente con alle spalle un lungo elenco di condanne per rapine e furti, commessi per procurarsi la droga. In tutto undici anni di carcere: quando Zapparoli lo conosce di anni ne ha già scontati otto, è in affidamento ai servizi sociali e lavora nell'officina dello zio. Fanno amicizia, spesso li vedono bere insieme. De Biase regala a Zapparoli un gatto; Zapparoli è sempre disponibile ad aiutarlo, a prestargli soldi: il giovane dovrebbe disintossicarsi definitivamente, ma è chiaro che con la droga non è riuscito a chiudere. Sabato sera De Biase va a casa di Zapparoli. «Andiamo al bar a bere un caffè»: l'uomo accetta, si veste alla bell'e meglio sopra il pigiama. Prima di riaccompagnarlo a casa, De Biase con una scusa lo porta in una strada isolata e, minacciandolo, si fa consegnare il portafoglio. Zapparoli accosente subito e a questo punto, nell'altro, scatta un raptus. Cosa l'abbia provocato non si sa: forse ha visto negli occhi dell'amico delusione e disprezzo, forse una crisi di astinenza dalla droga. Fatto sta che lo colpisce selvaggiamente con un cacciavite, alla testa e al torace, fino a farlo crollare a terra, agonizzante. De Biase va a casa dell'amico e porta via quello che trova: qualche banconota e un telefono cellulare. Toma sul luogo del delitto, Zapparoli dà qualche segno di vita: De Biase gli butta addosso un masso da quindici chili, che lo finisce e lo sfigura; poi tenta di bruciarlo. Con i soldi rubati si compra l'ultima «dose» prima di tornare in carcere: l'affidamento ai servizi sociali gli è stato revocato, deve finire di scontare la pena. In carcere lo interroga il magistrato, dopo che i sospetti su di lui sono diventati più che consistenti: li hanno visti insieme la sera dell'omicidio; in casa sua hanno trovato il cellulare del morto. De Biase non ci mette molto a crollare e confessare; solo una cosa non sa spiegare, il perché di tanta cattiveria.

Luoghi citati: Cerro Maggiore, Legnano, Milano, Nerviano, Sant'ilario