Ankara ha fretta di processare Apo

Ankara ha fretta di processare Apo Dal governo segnali di clemenza ai guerriglieri ma la pena di morte resta in vigore Ankara ha fretta di processare Apo La sentenza entro marzo ANKARA DAL NOSTRO INVIATO «Apo è come Mandela!». Peccato che Mandela in Sud Africa non l'abbia voluto, però lo slogan gira per il mondo e i curdi invocano. Il processo s'avvicina, la forca è lì. «Combattiamo, difendiamo, moriamo per Ocalan!». Ma i curdi lo gridano lontano da qui. Davanti all'ambasciata greca di Teheran, a Ginevra nella sede del Consiglio Mondiale delle Chiese, nella sede deU'Unesco a Parigi, in un corteo guidato dal leader druso Walid Jumblatt a Beirut, a Bucarest ancora davanti all'ambasciata di Atene. Lo grideranno anche a Roma mercoledì, curdi di tutta Europa uniamoci per Apo. In Turchia le proteste sono oscurate e vietate. A Istanbul c'è l'ordine, «sparare alle gambe». E poi finisce come a Kiziltepe, un morto. Dalle carceri ogni giorno arrivano notizie di detenuti curdi che si danno fuoco. Una multante del Pkk è morta nella prigione di Sakarya, altri quattro sono moribondi, gli scioperi della fame continuano. «L'arresto di Ocalan dev'essere l'occasione per arrivare alla riconciliazione nazionale», è l'appello di Suleiman Demirel, il presidente turco. Bulent Ecevit, il premier socialista, torna in televisione con il suo. Ai guerriglieri del Pkk: «Ritornate alle vostre famiglie, alle vostre vite! Lasciate le montagne! Vi aiuteremo». Con l'arresto di Ocalan il governo s'accorge di quello che non chiamerà mai questione curda, ma semplicemente «problema sud-orientale». E dunque ecco i ministeri al lavoro per un «piano urgente per il Sud-Est», che vorrebbe dire ricostruzione. Come se la guerra fosse stata un terremoto ebasta. Ricostruzione dei villaggi curdi bombardati dall'esercito, delle scuole, degli ospedali. Un «piano per lo sviluppo economico e sociale», lo definisce Ecevit. E a questo si potrebbe aggiungere uno «status speciale» per i guerriglieri del Pkk che disertano. «Tornate, vi aiuteremo anche con le leggi!». Con la legge si sta definendo il processo ad Ocalan. Nell'isolotto di Inorali la distanza di sicurezza è stata portata da 5 a 10 miglia. Causa tempesta di neve ieri è saltato l'interrogatorio, ma la fretta di arrivare a processo e condanna è sempre più evidente. E' già stato nominato il giudice, Turgut Okyay. E dal suo ufficio di Ankara è subito uscita un'anticipazione. Non saranno più di un paio di udienze e in tempi assai brevi, al massimo la prima settimana di marzo. Processo sull'isola, con Ocalan protetto da un vetro blindato. Ancora nulla si sa degli avvocati difensori. Dovrarqio essere solo turchi, come ha detto Ecevit. Osservatori internazionali mai. Sull'isolotto dei pini, degli ulivi e della prigione, restano solo Apo e i 400 agenti della Gendarmeria. Verrà trasferito anche l'allevamento di 40 mila polli. Apo è sotto controllo medico e il ministero di Giustizia informa della dieta: verdure, patate bollite e niente fumo. C'è il cappio che pende, su Ocalan. Ma è un cappio che pende anche sulla credibilità della Turchia. «Mi spiace dire che non è possibile convocare il Parlamento prima delle elezioni di aprile», dichiara Ecevit. Non potrà essere discussa e votata la legge sui pentiti, e nemmeno quella che potrebbe revocare la pena di morte. Per la verità Ecevit, con l'appoggio del presidente Demirel, ha tentato di convincere i partiti turchi. «Riapriamo il Parlamento in seduta straordinaria». Ma il «Partito della Madre Patria» dell'ex premier Mesut Ilmaz e quello della «Giusta Via» dell'altra ex premier Tansu Ciller hanno lasciato cadere la proposta. A meno di due mesi dal voto, perché dare anche questo vantaggio al vecchio socialista Ecevit? Così la pena di morte resta, la legge sui pentiti non c'è e Ecevit questa volta non vince: «Le nuova legge sul terrorismo sarebbe molto importante, ma ci sono le elezioni...». E al voto la Turchia andrà accompagnata dal faccione di Apo ammanettato e fotografato davanti alle due bandiere rosse con stella e mezzaluna bianca. Andrà con i misteri che ancora restano sulla cattura. E andrà al voto, con il suo apparato dell'informazione, assicurando i cittadini che «il problema del Sud-Est» è risolto. Apo è in galera e verrà processato, c'è il «piano urgente», e dopo le elezioni ci saranno leggi e lavoro per chi lascia le montagne. I curdi? Non esistono, o non esistono più. Ma questo lo dicono ad Ankara o a Istanbul. Non nel Sud-Est, nel Kurdistan, dove la guerriglia continua. Giovedì erano 4 mila i militari entrati in Iraq a caccia di militanti del Pkk. Ieri erano 10 mila. Anche se le incursioni vanno avanti da anni Baghdad ha protestato. Ismail Cem, ministro degli Esteri turco, ha chiesto scusa e ancora qualche giorno di pazienza. Curdi o (problema del Sud-Est» non è finita qui. Giovanni Corrati c*