Di Pietro, l'abbraccio del Pool dopo la paura

Di Pietro, l'abbraccio del Pool dopo la paura | Passato il malore, ha festeggiato il proscioglimento a Palazzo di giustizia, ma non ha visto Borrelli Di Pietro, l'abbraccio del Pool dopo la paura Finisce un calvario durato 4 anni MILANO. Adesso che è passata la paura, del processo a Brescia che non si farà, dello stress passato dopo le lacrime dell'altra sera, Antonio Di Pietro torna a palazzo di giustizia a Milano. «Avrei voluto venire prima, ma non volevo coinvolgervi nei miei guai», racconta a D'Ambrosio, a Colombo, a Greco e a Davigo. A Borrelli no, perché non si vedono. Perché Di Pietro evita di passare davanti alla porta del suo ex capo, che lo guarda da lontano, affacciato sul corridoio. «No, non è venuto a trovarmi. Comunque sono contento per lui...», assicura il capo della Procura milanese. «Ho sentito il dovere morale di venire qui...», fa Di Pietro, guardando alle sue origini. Va bene il fair-play, ma perché il mancato incontro? Ha un'idea, dottor Borrelli? «Si vede che non pensa di candidarmi con Italia dei Valori...», ride. E il processo a Mani pulite, e l'inchiesta bresciana che secondo Di Pietro avrebbe voluto fare tabula rasa di sette anni di Tangentopoli? «Ripeto: sono contento per lui... Ma io non avevo nulla da temere», chiude il discorso il procuratore Borrelli. Il vocione di Antonio Di Pietro si sente per tutto il corridoio. La sua ex segretaria corre ad abbracciarlo. Rocco Stragapede, l'agente della stradale che ha collaborato con lui nelle prime indagini, gli sta a un passo mangiandosi le unghie. Qualcuno della sua scorta di allora, lo tallona. E gli fa il verso alla Totò: «Vota Antonio, vota Antonio, vota Antonio...». Ma non è di politica, che ha voglia di parlare l'ex magistrato, al bavero la spilletta con il gabbiano dell'Italia dei Valori. Fa appena un accenno: «C'è tanto da fare... C'è da radicare il movimento nel territorio...». Qualcuno gli chiede come sta, dopo aver visto il suo malore alla tv. «Ho dormito perfettamente», rincuora tutti, Di Pietro. Passato indenne tra cinque indagini preliminari, ventisette imputazioni e migliaia di faldoni contro di lui. «Ma è possibile che il Gico, che un organo delle istituzioni abbia fatto tutto quel lavoro solo su di me?», chiede Di Pietro ai suoi colleghi. «Ma è possibile un simile accanimento da parte della procura di Brescia?», insiste. «Ma è possibile che siano andati a sequestrare carte di processi già finiti in giudicato, passati sotto al vaglio della Cassazione?», non si trattiene, l'ex magistrato. Tra i suoi colleghi c'è chi annuisce, chi lo ascolta, chi lo guarda con curiosità, per questa visita di cortesia che misura le distanze con i suoi colleghi di un tempo, dell'allora numero uno della magistratura milanese e oggi aspirante tale, della politica nazionale. «Ma che c'azzecca...», ribadisce Di Pietro, guardando per l'ultima volta dietro di sè, alla procura di Brescia. «Ci vogliono tempi e strategie, per fare le indagini», aveva detto giovedì pomeriggio, prima che si sapesse della sentenza di proscioglimento, prima che un giudice decidesse per l'ennesima - e ultima volta che non c'erano gli elementi per mandarlo a giudizio. E in quella critica a Tarquini e agli altri del pool bresciano, c'era l'ultimo sprazzo del Di Pietro di un tempo. Quello che nel '95, alla prima inchiesta contro di lui aveva sognato: «Avrei voluto farla io, un'indagine così». Forse a Brescia decideranno di fare appello, di andare in Cassazione. Di Pietro guarda avanti, alla convention romana all'Ergife che si apre oggi, al partito che nasce assieme al giornaletto «Il volantino», all'alleanza con Prodi e con i sindaci, alle elezioni future, ai sondaggi che sembrano dargli la strada spianata. «E chi lo ferma più, quello», giura un magistrato, uno dei tanti che in questi quattrocento metri di corridoio gli stringe la mano. «Nessuno sa cosa ho passato in questi quattro anni... Sono stati anni terribili... Più lunghi di quanti sia stato io in questa procura con Tangentopoli», fa i conti, dall'arresto di Mariuolo Chiesa a quell'addio alla toga, che ancora fa impazzire i dietrologi. «Nessuno sa...», dice, mentre si infila nell'ufficio del pubblico ministero Enzo La Stella, che segue alcune inchieste per diffamazione promosse da Di Pietro. «L'ho trovato in forma», dice D'Ambrosio. Tirato in ballo pure lui nella monumentale memoria di Di Pietro a Brescia, quella in cui si chiedeva: «Perchè, solo io sotto inchiesta?». E D'Ambrosio, gli risponde oggi: «Noi non siamo mai stati processati». E risponde pure al pool bresciano, che ha passato sotto alla lente di ingrandimento tutti i processi seguiti da Di Pietro: «Spero che cessi l'anomalia di voler andare a ricontrollare processi che hanno già avuto il loro controllo interno». Alle 10 e 40, seguito dalla scorta, Di Pietro se ne va dal palazzo di giustizia. «Adesso potrò dedicarmi a tempo pieno e a testa alta al mio progetto politico», è il modo con cui saluta i suoi colleghi di un tempo. E gli dice addio. Fabio Potetti «Ma è possibile che il Gico, che è un organo delle istituzioni, abbia fatto tutto quel lavoro solo su di me?» A sinistra il senatore ' dell'Ulivo Antonio Di Pietro A destra il procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli |

Luoghi citati: Brescia, Milano