GALLO: IL MIO NAPOLEONE TRA AMORE E CANNONE di Max Gallo

GALLO: IL MIO NAPOLEONE TRA AMORE E CANNONE GALLO: IL MIO NAPOLEONE TRA AMORE E CANNONE PARIGI ELLA penombra dell'ingresso, due grandi sagome in cartone incuriosiscono il visitatore: Napoleone e Charles de Gaulle. Cariatidi virtuali, o piuttosto numi tutelari messi lì quasi per gioco ma non a caso. Il padrone di casa - Max Gallo o vendutissimi tomi Nel pro ha dedicato ad entrambi quattro vendutissimi tomi. Nel proporre al pubblico italiano la serie napoleonica, Mondadori corrobora insomma un successo editoriale quasi planetario. Dalla Corea del Sud - che inaugurò curiosamente le traduzioni - a vari Paesi europei. Nicchia, in definitiva, solo il mondo anglosassone che nutre una diffidenza ancestrale verso l'Imperatore,' non pacificata neppure da Trafalgar e Waterloo. Biografo alacre ed eclettico Mussolini, Robespierre. Gallo è una figura atipica nel panorama intellettuale francese. Lasciatosi alle spalle l'impegno attivo nella Gauche, in cui ricoperse cariche prestigiose durante l'era mitterrandiana, da artigiano puntiglioso sforna saggi, romanzi e saghe con un invidiabile fiuto per il best-seller. Nelle librerie italiane, il primo tomo del suo quadruplo «Napoléon» sbarca per diciannovemilanovecento lire, non una di più. Il prezzo da saldi editoriali la turba? «No. Mi sta a cuore un pubblico ampio, popolare, che legga con passione e si lasci incalzare dal ritmo. Il feuilleton rimane, in definitiva, un'ottima scuola. Pensi a Dumas e Sue: farsi leggere da tutti non è facile, ma richiede perizia. Io cerco di mettercela. Non coltivo gli accademici ma suspense e tensione narrativa. Le pagine devono essere tese come archi. E la gente dirsi "Ma ce la farà davvero, Napoleone?". Vorrei che la lettura li facesse dubitare sino all'ultimo della storia. Quanto alle 19.900 lire, ben vengano. Ma le ha decise l'editore: non attribuitemi una strategia di marketing». Vedersi pubblicare a fianco di Christian Jacq è un bel colpo. Tra i suoi faraoni e il piccolo-grande corso intravede una qualche complicità? «Avevamo già la stessa casa editrice in Francia, Bernard Fixot. Io arrivai dopo Jacq. E li misi in guardia: "Sappiate che non potrò mai scodellarvi un'opera come le sue". Lui è imbattibile sul décor, mentre io punto ai personaggi braccandoli con la mia penna-telecamera-scanner. Chi legge ha da sentire il brivido. Quasi che Napoleone gli respirasse a fianco. Non le chiami biografie romanzate. Preferisco la formula "roman d'histoire"». Come non scivolare nell'appendice più vieta? «E' semplice. Non dissimulo la verità, e mi guardo bene dall'espandere in modo artificiale tematiche pruriginose. Due esempi: Napoleone mise al muro donne palestinesi e bruciò villaggi del Nord-Italia. Difficile andarne fieri. Ma perché in nome del mito dovrei occultare episodi simili? Quanto al dongiovannismo, tacerlo sarebbe ingiustificabile. Però mi guardo bene dal trasformare l'uomo che cambiò Francia ed Europa in un farfallone amoroso. Il problema, con Napoleone, è scongiurare l'approccio settoriale. Ogni suo interesse o legame possibile con il mondo contemporaneo, passato e futuro appare nell'immensa bibliografia. La mia ambizione è un'altra. Mostrare, in simultanea, un generale capace di lanciarsi nella corrispondenza erotica quando ancor tuona il cannone e l'amante vittorioso in battaglia. E' il moderno per eccellenza, l'uomo che gioca su diversi tavoli inventando, en passant, la propaganda politica». Un «grande comunicatore» due secoli prima di Reagan? «Sì. Ebbe una straordinaria chance: vivere il 1789 da testimone, osservando le nuove prospettive rivoluzionarie ma senza il bisogno impellente di schierarsi. L'universo giornalistico in fasce finirà con l'insegnargli parecchio. Scopre l'opinione pubblica. E non la dimenticherà mai. Crea e sopprime giornali, s'improvvisa editorialista e con grande malizia politica spedisce a Giuseppina lettere di cui prevedeva la divulgazione. Ma il suo capolavoro fu Las Casas. Farsi accompagnare a Sant'Elena da un conte che firmava i maggiori successi della memorialistica francese è idea luminosa, anticipatrice. In viaggio per l'isola da cui non tornerà vivo, già costruisce l'immagine che dovrà sopravvivergli». Fu profetico anche sull'Italia? Gli si attribuisce la boutade sulla «penisola troppo stretta e lunga» che preannunzia i dolori del Regno unitario... «Quella con l'Italia è senza dubbio una relazione intima. Parlava italiano, e collocò gli embrioni della futura unità». E il suo Napoleone privato, Max Gallo, non ce lo fa intravedere? «Mia madre è di Guastalla. Il nonno aveva una cartolibreria. Uomo serio, sempre vestito di nero. Ma la sera prendeva un libro, sempre quello. Poche pagine, e giù a piangere. Era "Il memoriale di Sant'Elena"». Enrico Benedetto NAPOLEON La voce del destino Max Gallo Mondadori pp. 417 L 19.900

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