DUMAS E LA SANFELICE EROINA DELL'APPENDICE di Giovanni Bogliolo

DUMAS E LA SANFELICE EROINA DELL'APPENDICE DUMAS E LA SANFELICE EROINA DELL'APPENDICE Un romanzo alla garibaldina contro i Borboni LLA gloria di Alexandre Dumas bastano - e largamente avanzano -Antony, I tre moschettieri e 11 conte di Montecristo. Ma alla piena conoscenza del suo genio straripante e a un impareggiabile piacere della lettura manca - perché ridotta alla memoria dei soli titoli o addirittura dimenticata in inventari che oscillano tra ottocento e oltre milleduecento volumi - la maggior parte dell'opera. E' come una miniera abbandonata, da cui in questi tempi di penuria creativa si sente di nuovo il bisogno di attingere, ed è una fortuna che Claude Schopp, fervido e rigoroso biografo dello scrittore {Alexandre Dumas, le genie d'un vie, Ed. Fayard), abbia consacrato la propria vita all'impresa di ridisegnarne la mappa. Ha cominciato col portarne alla luce ignorate pepite: novelle, ricordi d'infanzia e di prigione, l'elogio funebre di Delacroix, perfino delle Lettere sulla cucina a un sedicente goloso napoletano. Poi, in tempo perché se ne potesse approntare la traduzione per questo bicentenario della Rivoluzione napole- tana, ne ha cavato il puro e massiccio lingotto de La Sanfelice, un romanzo degli anni 1863-65 uscito dapprima a puntate sulla Presse e sull'Indipendente, il giornale napoletano fondato e diretto dallo stesso Dumas, e subito dopo in un'edizione in otto volumi. Da allora, anche se ha continuato a figurare nelle diverse raccolte di opere sedicenti complete dello scrittore, era caduto praticamente nell'oblio: il manoscritto, su cui Schopp ha verificato il testo, è andato a finire per chissà quali peripezie negli archivi del Ministero deirAgricoltura di Praga. E' un classico, avvincente/euilleton, l'ultimo che ci abbia lasciato questo indiscusso maestro del genere. Gli ingredienti canonici ci sono tutti. L'incipit: «Quel mattino del 22 settembre 1798 suonarono le otto alla chiesa San Ferdinando sull'omonima piazza tra Palazzo Reale e l'inizio di via Toledo»; i titoli dei capitoli concepiti per suscitare la curiosità - e la complicità - del lettore: «LIX: in cui Sua Maestà comincia col non capire nulla e finisce per non aver capito nulla», «CXXXLX: in cui un uomo onesto propone una cattiva azione che persone oneste hanno la stupidità di rifinire»; le digressioni - spesso lunghe e funzionali più al compenso un tanto alla riga che ne doveva ricavare l'autore che all'economia del racconto - e, dopo ognuna di esse, le necessarie, caratteristiche riprese: «Abbiamo lasciato Salvator Palmieri sul punto di...», «Se i nostri lettori hanno letto attentamente l'ultimo capitolo devono ricordare che...»; gli «a parte» infine, in cui il narratore commenta, giudica, dà libero corso alle proprie idee oppure, per guadagnarsi la confidenza del let¬ tore senza mai mettere veramente in crisi la sua indispensabile «sospensione dell'incredulità», gli svela qualche trucco di bottega o gli mostra un ingranaggio della macchina narrativa: «Indicata bene questa casa alla curiosità dei lettori, lasceremo la strada...». Il tutto naturalmente per sostenere un intreccio turbinoso di guerre, amori, eroismi, tradimenti, un inopinato avvicendarsi di am¬ bienti, situazioni, peripezie, una profusione di veleni, agnizioni, torture, colpi di scena. Ma ci sono anche, e in misura preponderante, tutti gli ingredienti del romanzo storico, soprattutto quelli con cui Dumas si era emancipato dalla lezione di Walter Scott: una forte drammatizzazione degli eventi e un risalto assoluto ai personaggi che li determinano. Ne La Sanfelice (pre¬ sentazione di Gennaro Maretta; introduzione di Felice Piemontese, traduzione di Filomena Vitale) i personaggi sono una folla, ciascuno sbozzato con perizia infallibile, e un buon numero di essi Ferdinando, il re Nasone; la gelida Maria Carolina che divide i suoi favori tra John Acton e la bellissima lady Hamilton; Orazio Nelson, che ha lasciato «un occhio a Calvi, un braccio a Tenerife e la pelle della fronte ad Aboukir», il generoso e impavido Salvato Palmieri e perfino il mostruoso Gaetano Mammone, «metà tigre metà gorilla» - potrebbero contendere all'eroina eponima il titolo di protagonista, se a questa dolce e infelice creatura il destino (e il romanziere) non avessero assegnato un alto valore simbolico. Ma anche gli altri - il cardinale Ruffo e Fra Diavolo, la fattucchiera Nanno e il generale Championnet, Nicolino Caracciolo, Fra Pacifico col suo asino Giacobino e la folla mutevole dei lazzaroni - sono gratificati di vigorosi ritratti e di memorabili primi piani. Dumas - che con questo romanzo vuole sia riallacciare il suo fervore garibaldino agli ideali della Repubblica partenopea, sia risarcire la figura di suo padre, il generale Davy de la Pailleterie, delle angherie fisiche e morali subite da Ferdinando IV di Borbone mescola i due generi con la più grande naturalezza e, malgrado la conclamata volontà di attenersi «all'inflessibile esigenza dei fatti», si prende con la storia tutte le libertà di dettaglio che gli sembrano opportune. Lo dovrà ammettere, invocando i privilegi dei romanzieri, quando la figlia di Luisa Sanfelice gli contesterà qualche non lieve inesattezza. I suoi meno suscettibili lettori si erano invece accontentati di credere al geniale e spudorato narratore che non soltanto sosteneva che nel suo romanzo tutto era vero, ma che, essendosi per la prima volta trovato alle prese con una realtà storica più ricca della sua immaginazione, aveva dovuto semmai, per «fondere Tacito e Walter Scott», attenuare quanto essa aveva di troppo incredibile e pittoresco. Giovanni Bogliolo Amore e morte ai tempi della Repubblica partenopea fondendo Tacito con Walter Scott Luisa Sanfelice in carcere in un dipinto di Gioacchino Toma A sinistra: Alexandre Dumas Sotto: Max Gallo LA SANFELICE Alexandre Dumas Pironti Editore pp. 1332 L. 38.000

Luoghi citati: Nanno, Praga