Caccia grossa alla griffe italiana di Ugo Bertone

Caccia grossa alla griffe italiana Arnault (Lvmh) tratta con Armarti e vuole un posto in consiglio nella Gucci Caccia grossa alla griffe italiana Emigrano i marchi, Vuitton guida l'invasione MILANO. Una pedina alla volta, con discrezione e «souplesse», ma tanta fermezza, monsieur Bernard Arnault muove lo sue pedine sulla scacchiera del <onade in Italy». Ieri, dopo il pronunciamento di Pino Brasone, braccio finanziario di Giorgio Armani («tra noi e Arnault sono in corso colloqui» ha ammesso) la sua multinazionale del lusso, Lvmh, ha annunciato di aver chiesto l'allargamento da 8 a 9 membri del Board di Gucci, pretesa più che comprensibile, dato che nella società quotata a Wall Street Arnault controlla ormai il 34% abbondante del capitale. Forte di questi numeri, il finanziere bretone potrebbe lanciare un vero e proprio ultimatum, ma questo non fa parte delle sue abitudini. Anzi, il blitz nell'ex «public company», prima insidiata da Prada, poi conquistata da Louis Vuitton Moet Hennessy, avviene all'insegna del più franco «savoir vivre»: nel «Board» di Gucci, ormai controllato dai soci transalpini per un terzo del capitale, Arnault chiedo solo l'inserimento di Umberto Guida, 61 anni, già amministratore di Promodes, un passato alla guida della grande distribuzione a capitale francese, «Le Continent», nella Penisola. Nulla di più, anzi, Arnault premette alla sua richiesta un pubblico atto di stima. «Rinnovo tutta la mia fiducia - dice lo stesso Arnault - nel talento creatore di Tom Ford e nella politica di sviluppo messa in atto dai dirigenti di Gucci». Non viene così citato, almeno espressamente, l'avvocato Domenico De Sole che, dal cantu su" si limita a ribadire, in attesa dell.: r .-ossima riunione del Supervisory Board, «l'impegno a gestire Gucci in autonomia e nell'interesse di tutti gli azionisti». «Penso - replica a distanza dal quartier generale parigino monsieur Arnault - che Lvmh abbia fatto un buon investiento acquisendo il 34% del capitale. La proposta che noi facciamo, prevista dallo statuto di Gucci, permetterà a Lvmh di esercitare i suoi diritti di azionista senza alterare l'indipendenza della società». E da Parigi un portavoce del signore delle «griffes», capace di far convivere sotto lo stesso tetto John Galliano in Christian Dior, Alexander Me Queen in Givenchy, Marc Jacobs in Vuitton, intende troncare subito le discussioni. «Non siamo interessati - spiega - ad una specifica area geografica, anche se importante come l'Italia. E' solo una questione di opportunità che si presentano in società interessanti ai nostri occhi». Resta il fatto che le società più appetibili e esponibili, di questi tempi, hanno sede nella Penisola. E' il caso, al di là delle smentite di Gianfranco Ferré, tentato dalla collaborazione con Lvmh (già collaudata da otto anni con Dior), ma soprattutto, dal caso Armani. La prospettiva di un asse Arnault-Armani ha scosso dalle fondamenta il mercato del «made in Italy». Dal punto di vista finanziario le reazioni sono, com'era prevedibile, favorevoli. La Simint di Giorgio Armani ha guadagnato, infatti, un discreto +3,6% alla notizia di una possibile intesa con Arnault. La ragione vera del rialzo, però, sta sia nelle ottime condizioni di sa¬ lute deU'ammiraglia del nome più famoso del made in Italy (680 miliardi di hquidità non sono uno scherzo), sia nei risultati della riorganizzazione industriale del gruppo: Brusone ha annunciato da Modena che il gruppo è in grado di emanciparsi presto dalla collaborazione indù- striale con il Gft per quanto riguarda il comparto donna. Mani donna, infatti, sarà realizzato dal prossimo autunno dah'Antinea, azienda del gruppi controllato dallo stilista. Non è un colpo di poco conto per Hdp, ieri in calo dello 0,88% in Borsa, decisa, almeno a suo tempo, a diventare una sorta di finanziaria del lusso «made in Italp. La perdita di Armani, che pur collaborerà con Gfty per la parte uomo fino al 2001 compreso, inquieta, così come lo sbarco di Lvmh in Gucci. Marzotto, da sempre alleato industriale di Gianfranco Ferré, rischia di trovarsi un partner imbarazzante. E Maurizio Berelli, marito di Miuccia Prada, non nasconde la volontà di far la sua strada in combinazione con lo stesso Lvmh. «Sarò un provinciale - replica con rammirico il segretario della Filta-Cisl Renzo Bellini - ma a me non fa piacere che tutto ciò che è stato creato dagli italiani finisca in mani altrui». E allora? Industriali italiani, se ci siete, battete un colpo». Ugo Bertone

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