I due pilastri di re Abdallah di Mimmo Candito

I due pilastri di re Abdallah SUCCESSORE DI UN MITO I due pilastri di re Abdallah // trono di Hussein, un'eredità scomoda AMMAN DAL NÒSTRO INVIATO «Condoglianze, Maestà, anche da un giornalista che ha conosciuto Suo padre. E buona fortuna, non sarà facile». Re Abdallah accentua la piega amara della bocca, e assentisce leggermente con la testa. «Sì, non sarà facile. Ne avrò proprio bisogno, di fortuna. Grazie». Alle 2 di ieri pomeriggio son quasi cinque ore che il nuovo sovrano e i suoi fratelli se ne stanno lì in piedi, a ricevere le condoglianze del loro popolo. Ma la stretta di mano di re Abdallah è ancora forte, il giovanotto ha davvero una buona resistenza. Gliene servirà comunque molta per tirarsi fuori dal ginepraio nel quale l'ha sbattuto il defunto re padre. Il traballante futuro della Giordania ha due pilastri. Il primo è tutta questa gente, questo popolo impaurito e però orgoglioso che sta in coda pazientemente ore e ore per arrivare fino dal suo re, stringergli la mano, e dirgli «Aliali è grande». Di corsa comunque, perché la (ila, da dietro, spinge e preme. I 3 giorni di lutto ufficiale - ma ce ne saranno altri 40 di cordoglio nazionale - il re li passerà in questa Sala del trono, a ricevere l'omaggio affettuoso, anche toccante perché sorprendentemente sincero, dei suoi sudditi; lo farà lavorando a tempo pieno come un buon manager, dalle 9 alle 13 (anche più) e dalle 16 alle 20. Sono centinaia di nùgliaia di mano sconosciute, facce che non vedrà mai più, il vestito del giorno di festa qualcuno, altri in jeans e scarpe da tennis, molti con il camicione e le keiiah. Tutto un popolo, insomma, e il re si fa avanti ad abbracciare - lui stesso - quelli in carrozzella, gli zoppi con le stampelle, un nano di altissima dignità (anche le donne di questo popolo omaggiano in coda la regina Noor. ma in un altro Palazzo e ben lontano, naturalmente). Tutto questo popolo, la sua unità, è il meno traballante dei due pilastri del regno. La crisi economica è forte, ma la capacità di sopportazione sociale è stata almeno, finora - elevata, e non ha prodotto forti tensioni anche se le spinte per una riforma delle strutture del Paese sono sempre più evidenti, sempre più pressanti. Dietro la coda che si allunga paziente nei giardini di Palazzo Raghdan c'è poco di orchestrato, la gente viene qui mossa da sentimenti sinceri. Su questa disponibilità deve contare il re, se vuol fare più solido il primo pilastro. Ma non gli sarà facile. Quando Abdallah ringrazia il giornalista che lo saluta, e «ne avrò bisogno» dice, la sua pronuncia è perfetta. «Sembrava proprio un inglese», dice poi l'inviato del «Guardian». Il re parla un eccellente inglese ma un arabo malandato; per un re arabo è un grosso rischio. Il secondo pilastro sta infatti nelle alleanze e nelle amicizie che dovranno aiutare l'assai incerta economia della Giordania. Queste alleanze vanno trovate anzitutto nel mondo arabo; il re anglofono faticherà a guadagnarsele, farà anche fatica a tenersi l'affetto del suo popolo. Questa faccenda del buon inglese e dell'incerto arabo è il simbolo delle grandi trasformazioni che stanno traversando l'intero Medio Oriente, dove una nuova generazione di leaders prenderà presto il potere. La Giordania è troppo piccola, troppo debole, troppo povera, per permettersi grandi progetti di autonomia; il suo futuro deve contare su un consolidamento della pace con Israele e sulla crescita di una rete di solidarietà intemazionale. Va detto però che, sotto questo aspetto, la giornata dei funerali, l'altro ieri, ha prodotto già qualche buon risultato: arrivano 300 milioni di dollari dagli Usa, 400 (pare) dal Giappone, Israele si è impegnato a ridurre finalmente le tasse sulle importazioni, ma soprattutto re Fahd d'Arabia ha fatto dire che occorre aiutare Amman, e dal Kuwait i risentiti sceicchi si sono impegnati a riaprire quell'ambasciata ch'era chiusa dai tempi della guerra del Golfo. La Giordania ha oggi il 27% di disoccupati, un debito estero di quasi 7 miliardi di dollari, il 50% della popolazione al di sotto del fivello della povertà, e un reddito medio pro-capite di 1300 dollari l'anno. E' una baracca in pessimo stato. Il carisma di re Hussein teneva la baracca in piedi, la gente che andava a salutarlo parlava il suo stesso dialetto, usava le sue stesse espressioni gergali; re Hussein era «uno di loro». Abdallah deve ancora diventarlo. E deve tenere buoni i palestinesi, che sono il 60% del suo popolo (e il 90% dell'economia nazionale). Ce la farà? Il progetto di pace per uno Stato palestinese non marcia, Arafat pare sempre più in crisi; se qui non c'è una mano solida, può accadere qualsiasi cosa. Davvero buona fortuna, re Abdallah. Mimmo Candito

Persone citate: Abdallah, Arafat, Fahd D'arabia