Ma la politica censura il dolore di Fiamma Nirenstein

Ma la politica censura il dolore IL LUTTO MEDIATICO Ma la politica censura il dolore Una cerimonia senza discorsi pubblici SGERUSALEMME TESSI alberi, cedri ed abeti, stessa polvere fina sulla strada, stessa luce piovigginosa e insieme desertica, stesse pietre chiare. Gerusalemme e Amman, ieri, nel giorno del funerale del re, hanno vissuto insieme un dolore e un pauroso flash-back. A vedere di nuovo, in un lasso di tempo così breve congregarsi i leader di tutto il mondo ad Amman per seppellire re Hussein, ammirando le spade dei sultani dell'Oman, le kefie rosse dei beduini e quelle dei sauditi, vedendo alta come la testa di Alberto di Giussano quella di Clinton, sopra la folla delle teste coronate, scorgendo la massa dei leader dell'Oriente e dell'Occidente avanzare al suono di una marcia funebre, non si poteva evitare di ripensare il funerale di Rabin, quasi di rivederlo. A poco più di tre anni di distanza da quel 4 novembre 1995, la Giordania ha condiviso con Israele la sorte di perdere prematuramente il suo grande leader di pace: i ricordi sono co¬ Le esesoldatfuron centi. Il paragone viene naturale. Due sono i nessi più immediati: il più ovvio è la gente. Il dolore genuino del popolo lungo la tortuosa strada del funerale, con le persone strette l'una all'altra nella disperazione, nella paura del domani; il grande punto interrogativo sul futuro dipinto sul volto dei giovani, il senso di rabbia dovuto all'espropriazione imprevista. Identico è anche per i due grandi funerali il loro carattere di evento globale: per il nonno di Hussein, Abdallah, assassinato a Gerusalemme 48 anni fa, o per la sua amica Golda Meir, certo non si spostarono tutti i grandi del pianeta. Furono funerali ùltimi, regionali, ciascuno pianse il suo morto per quanto significativo. Adesso tutto il mondo, invece, è padrone delle scelte del vicino, le controlla, le patrocina, o le combatte. Rabbi e Hussein appartenevano a tutti, la loro scelta di pace era di tutti, e ad ambedue i funerali, oltre che a piangerli, i leader del mondo sono venuti per dire: «La sua via era anche la nostra, quindi continuate come voleva lui». Nel caso di Rabin è servito a poco; nel caso di Hussein già si vedevano, sul posto, oltre ai sostenitori della pace, anche personaggi molto problematici. Il più controverso, oltre ai vari leader sudanesi o iraniani, il siriano Hafez Assad, che arrivato per ultimo, e tuttavia per primo è stato introdotto al cospetto del nuovo re. Il suo messaggio, certo, non somiglia a quello dell'Europa o dell'America. Il suo interesse è piuttosto tirare la Giordania nella sua zona d'influenza a cui Hussein l'aveva disperatamente sottratta; dal '96 i due non si incontravano. Ma Abdallah, ieri, aveva un'aria serena ed equidistante, anche se giovanilmente onorata dalla visita. Siamo così giunti alle differenze tra i due grandi funerali: a Gerusalemme il dolore, l'emozione, cancellarono il protocollo. «Shalom haver, addio amico» disse Clinton tra le lacrime; «un valoroso soldato in guerra, è diventato il più grande soldato della pace e uno degli amici di cui vado più fiero» singhiozzò re Hussein; e la piccola Noah chiamò il nonno dal profondo dello strazio di un cuore ancora bambino, incredulo dei mah del mondo, mentre nonna Leah sedeva impietrita di fronte alla bara. Invece al funerale di Hussein, dove pure il dolore era tanto, lo strazio non ha potuto esprimersi. Prima di tutto perché mancavano le mogli e le figlie, le donne, che sono le più sincere, radicali interpreti del dramma umano. Eppoi, la dinamica politica ha impedito, ad Amman, l'espressione verbale del dolore. Essa non ha potuto uscire fuori per un motivo evi¬ volta e dente: anche se dietro le quinte i leader hanno intrattenuto colloqui, un discorso pubblico di Clinton certo non sarebbe stato apprezzato dagli iracheni, o dai libici, o dagli iraniani, o dai siriani, o dai sudanesi, o dai pachistani. E viceversa. Ezer Weizman o Clinton, d'altra parte certo non avrebbero sopportato un'elegia carica di significati, di rimpianti, di speranze e quindi di valori che fosse per esempio, che so, di parte irachena. La lenta marcia dietro il feretro, gli sguardi, il cerimoniale, avrebbero dovuto sostituire le parole, accomunare i presenti nel dolore. Il silenzio invece gridava le differenze e i conflitti, estremismi che ancora promanano dal mondo mediorientale. Tuttavia, bisogna dire che il funerale di re Hussein ha saputo riunire mondi inconcepibilmente distanti. Quindi, rispetto a quello di Rabin è un passo indietro, ma anche uno avanti, nel processo di pace. Fiamma Nirenstein Le esequie di un altro soldato della pace, Rabin furono molto diverse Eppure anche questa volta mondi immensamente distanti si sono riuniti