Mister fortuna, un paese nelle sue mani di Pierangelo Sapegno

Mister fortuna, un paese nelle sue mani LA CAPITALE DEI RECORD Mister fortuna, un paese nelle sue mani «Con quei soldi può comprare tutte le industrie e il Comune» GROTTAGLIE (Taranto^ DAL NÒSTRO INVIATO E alla fine c'è il paese della fortuna. Sta su una lunga strada che taglia i campi diritta come un fuso, senza mai fermarsi a guardare quello che passa e quello che resta. E' l'Italia che va. Giù in fondo, se tiri ancora avanti, spuntano le ciminiere di Taranto, pennacchi di fumo che s'incrociano e fanno il cielo sopra di noi. Era l'Italia delle fabbriche. Grottaglie è un'altra cosa, 15 chilometri prima. Giri dove c'è scritto centro e capiti in colonna all'incrocio dove ci sono le transenne e i camion delle tivù, dove c'è la ricevitoria Radicchio, dove hanno messo un cartello che dice «Grottaglie batte Peschici 86 a 63», dove vengono come in chiesa a pregare e dove, guardacaso, sta passando la processione di San Ciro, con quelli scalzi in testa alla fila. Fino a poco tempo fa c'erano solo due ricevitorie in paese. Adesso ce ne sono 8, «e questa resta la più frequentata», assicura Cosimo D'Alò. E' l'Italia. E' come se pregassero tutti e tutti ringraziassero per qualcosa. Forse, non hanno ancora capito. Deve aver ragione il sindaco, Giuseppe Vinci, deve aver ragione la signora Concetta Radicchio, che s'è barricata in casa, perché non ne può già più di tutte queste feste: «E' stata ima fortuna immensa. Più grande di tutto il paese». Eppure, questo è un paese che sta bene. Ha ricchezze e lavoro, ceramiche dappertutto, sparse nella vecchia roccaforte come negozi affacciati sulle stradine. Ha case belle e antiche. La villa più importante sta proprio non lontano da qui, ottocento metri dopo l'incrocio, tirando dritto sulla via per Castelli. E' un grande edificio liberty con un parco di pini, i campi di mandorli e ulivi, il boschetto ceduo e una piscina che avevano scavato fra ì viali e il prato, già all'inizio del secolo, la prima in assoluto da queste parti. La riempivano d'acqua in primavera, e le donne di servizio e le mezzadre dei Pignatelli, che erano i proprietari, scendevano a bagnarsi con le sottovesti e le mutandone alle caviglie divertendo i contadini e il custode. Poi venne la guerra e la villa fu requisita dal comando degli Alleati, sui viali ci passavano le jeep e in cima alle grandi scalinate un generale inglese squadrava il parco con i suoi ufficiali. Ma la storia cosa vale, in confronto a 86 miliardi? La storia non è niente. I PignateUi la vendettero ai Mastropaolo, che erano parenti, nel 1965, per una cifra amichevole. E anche loro l'hanno già venduta. Dicono che l'abbia comprata Roberto Benigni, se non è una leggenda metropolitana. Il valore? «Io non riuscirei a venderla a meno di 5, 6 miliardi», dice ora Maria Rosaria Pignatelli. Assieme al parco, alle 11 masserie che erano dei suoi, quando questa era un'altra Italia e non c'era chi giocava al superenalotto. Lei non la venderebbe più, oggi, solo che il tempo passa e si prende le cose. Forse, mi giorno si prenderà anche questi 86 miliardi. Che sono più ricchi del suo Comune, di tutta la sua gestione, più ricchi dei bi¬ lanci delle 50 aziende di ceramica, dei proprietari terrieri che fanno l'uva da tavolo e l'olio. Dice Glauco Ferrante, uno studioso di questa provincia, che «86 miliardi potrebbero essere il fatturato complessivo di tutte le industrie ceramiche di Grottaglie». E forse nemmeno, dice. Potrebbe, il misterioso vincitore, comprare le terre di qualche latifondo, se vuole. I proprietari sono i Tu zzo Bandini, i Motolese, grandi borghesi che hanno uliveti sterminati e che qui rispettano con mi po' d'ossequio. Oppure i Perrone, i più importanti, che hanno 600 ettari di bo¬ schi e ulivi, con la masseria Lupoli, torre trecentesca e fabbricato padronale stupendo, con una scannata alla Wanda Osiris che viene giù sui viali. Valore? «Dieci miliardi», dicono. Mister 86 potrebbe farlo con i soldi che gli avanzano. E' diventato davvero più forte del padrone più grande? Davvero tanto può valere uno sconosciuto? Però, nel paese della fortuna, quello che colpisce è la sua normalità italiana. Anche le cifre, le vicende, gli uomini e le donne, anche questa processione che sfila davanti alla ricevitoria come per destino, proprio oggi e proprio adesso, anche le cose del passato, il suo lavoro, i soldi che ci sono e quelli che mancano, tutto sembra avere qualcosa di comune. E' solo la fortuna che è straordinaria, questa fortuna, perché alla fine dev'essere vero come diceva la signora Radicchio, «è più grande del paese». Grottaglie ha 33 mila abitanti, 3 uffici postali, 8 ricevitorie per il lotto, 12 ristoranti, due alberghi, 7 istituti di credito, 51 ceramiche, e il 25% di disoccupati. E' un ritratto così italiano, che potrebbe essere fatto in Emilia, in Toscana, ovunque. Dice l'assessore alle attività produttive Ciro Lafforio che «il Comune ha il bilancio in attivo da un bel po' di tempo. L'ultimo passivo è di cinque anni fa, e fu di otto miliardi. Da allora più niente». E anche questo, sta diventando così italiano. Ogni anno, la gestione comunale costa 25 miliardi, tanti quanti sono quelli che escono per le spese correnti. L'uscita più importante è quella del personale, il 37%. I dipendenti sono 244. Mister Fortuna è tre volte più grande del bilancio del suo Comune, potrebbe mantenerli tutti. E venti volte più grande delle sue ricchezze: «Le nostre proprietà valgono al massimo 4 miliardi», certifica l'assessore. Nei sette sportelli delle banche, stanno raccolti anche parecchi risparmi. Ma i più ricchi si contano sulle dita di una mano, «e in liquidità hanno dieci miliardi l'uno, all'incirca», ci dicono. Mister 86 potrebbe comprarseli tutti. E potrebbe comprarsi quello che vuole di questo paese, anche le ricchezze che furono, come quelle dei Pignatelli che avevano 11 masserie e centinaia e centinaia di ettari di terreno. Nella masseria Scasserba fu catturato il brigante Papaciro, che era un prete che si era spretato per amore di una donna: uccise il rivale e si dette alla macchia. Lo prese il generale Pallavicino, quando nel 1865 fu mandato a ripulire la zona. Non aveva una lira, raccontano. E se la storia davvero non vale niente potrebbe comprarsi anche questo, e le memorie di un paese, della sua terra svuotata dall'Italsider, questi campi di ulivi, queste terrazze, i muri a secco, le viti per fare l'uva da tavolo. Potrebbe comprare i suoi disoccupati, e le preghiere di San Ciro, la processione che passa adesso, davanti alla ricevitoria della fortuna, nell'incrocio, dove hanno piazzato le transenne, due moto dei vigni, e dietro tutti i camion delle televisioni. Alla signora Concetta hanno già telefonato in tre per ringraziare. Qualcuno è di troppo. All'Ansa di Bari, quello che giura di aver vinto, invece, ha chiamato due volte, tanto per non sbagliare. Così non ci crede nessuno. Chi vince, forse non chiama. Dicono che alla processione, quelli che stanno davanti, con i piedi scalzi, devono ringraziare il santo, per una grazia ricevuta. E allora, come si fa nei paesi, la gente va ad abbarbicarsi contro le transenne, a schiacciarsi insieme per sbirciare la fila davanti e riconoscere quelli scalzi. E' solo un gioco che si fa nei paesi, dove ci si conosce e la piccola storia la si è fatta insieme. Passa al tramonto, la processione, le luci che scendono, il vento che si porta i coriandoli attorno al santo del paese. Nell'Italia del Carnevale, un giorno, arrivò la Fortuna. Pierangelo Sapegno