Israele piange l'amico più caro di F. N.

Israele piange l'amico più caro Israele piange l'amico più caro Tutto il Paese in lutto come se fosse morto un suo grande leader TEL AVIV. C'è qualcosa di profondamente luttuoso e di francamente spaventato nel modo in cui Israele ha vissuto il primo giorno di lutto per re Hussein. La gente per la strada non parla d'altro, al mercato gli ebrei di lingua araba commentano la sua morte con atavica nostalgia. E' come se la linea di confine fra i due Stati, che percorre l'intero fianco dello Stato ebraico, fosse diventata all'improvviso una corda che vibra soltanto del suono della solitudine. Israele, si può dire senza esagerazione, piange il re come fosse un po' suo. Da quando è nata, infatti, cmquant'anni fa, il suo primo interlocutore è stato il re il cui nonno, il moderato e realista re Abdullah, fu ucciso sulla spianata del Tempio a Gerusalemme. La capitale e il West Bank furono per Israele frutto di un corpo a corpo con il re, che li attaccò insieme agli altri Stati arabi, dopo aver tuttavia tentato in tutti i modi di evitare la guerra. Il nemico più prossimo è divenuto l'amico più caro. Hussein è stato l'unico leader arabo che abbia espresso simpatia viscerale, empatia autentica per la gente di Israele e i suoi problemi. La televisione ieri era molto simile alla televisione giordana. Ha trasmesso programmi straordinari per ore e ore dal minuto in cui Hussein ha lasciato questo mondo: interviste, analisi, testimonianze, memorie storiche. Il re bambino, il re adolescente, le guerre, le paci. Gli uomini politici e gli intellettuali hanno fatto a gara nel raccontare episodi, memorie personali, valutazioni per la massima parte entusiaste. In Israele cinque sono le im¬ magini del re che ricorrono nella mente e di cui tutti parlano: gli incontri segreti ed eretici del re giovane che nel '73 cerca di avvertire Golda Meyer che siriani e egiziani stanno per assalire Israele e che non viene creduto; e poi gli incontri di pace con Shimon Peres a Londra nell'87; poi, il re che prima della pace pilotando il suo aereo personale vola sopra Gerusalemme da dove la gente guarda incantata, col naso all'insù. Quella Gerusalemme, che un tempo era quasi tutta sua, commenta, «è così bella!», e chiacchiera per radio con Rabin senza astio, con allegria, da grande sportivo. Poi, nella mente c'è il trattato di pace nel deserto dell'Aravah, nel 1994, tempi di grande speranza, di abbracci e di sorrisi; e ancora, il grande discorso di autentico rimpianto s di amicizia al funerale di Rabin, nel '95, il discorso più bello di tutti. E poi, la grandiosa visita a Beit Shemesh, nel marzo del '97, nelle case dei genitori delle sette bambine israeliane assassinate da un soldato giordano. Là il re buttato in ginocchio, davanti alle famiglie ima ad una, chiede perdono dicendo: «Per voi si tratta del lutto terribile e della perdita di una figlia; per me, è come se ne avessi perdute sette». E infine, la risolutiva drammatica apparizione a Wye Plantation, per spingere Netanyahu e Arafat alla pace, con la forza dell'amore e della tragedia della sua malattia. Questo per Israele è il re che se n'è andato: il rais che in cuor suo aveva accolto gli ebrei e che tentava di farli accogliere dall'intero suo popolo. L'unico così, fra i leader arabi. [f. n.]

Persone citate: Abdullah, Arafat, Golda Meyer, Netanyahu, Rabin, Shimon Peres