L'ESERCITO DEI LEADER ALLE PRIMARIE di Gianni Riotta

L'ESERCITO DEI LEADER ALLE PRIMARIE IA MODA AMERICANA L'ESERCITO DEI LEADER ALLE PRIMARIE ALLE primarie! Alle primarie! Il mondo politico italiano si anima all'idea di importare dagli Stati Uniti il sistema delle primarie. Prodi e Fini, Veltroni e Marini e il premier D'Alema sembrano affascinati dal Made in Usa. Là gli lettori si «registrano» come democratici, repubblicani o indipendenti e, prima delle elezioni, locali, parlamentari o presidenziali, scelgono i candidati del proprio partito (primarie chiuse) o incrociano il voto anche nello schieramento opposto (primarie aperte). Funzionerebbero in Italia le primarie, rodate in America già dal 1800, a New York dal 1827, e rilanciate nel Novecento per contrastare lo strapotere dei boss di partito, ridando potere agli elettori? Probabilmente no. Alle primarie tendono a votare soprattutto gli elettori e le elettrici vicini al partito. Che, molto spesso, scelgono candidati cari ai loro principi ideologici, ma duri da digerire per gli elettori di centro, indispensabili per vincere nel maggioritario. Nel 1964 Barry Goldwater trionfò alle primarie repubblicane con una campagna di destra, finendo poi tritato dal presidente Johnson. Alla rovescia nel 1972: i militanti democratici impongono il pacifista George McGovern, troppo estremista per l'America, che vota a valanga per Nixon. Bill Clinton vince nel 1992 e 1996 anche perché la destra repubblicana fa pagare ai candidati Bush e Dole il dazio di posizioni estreme su aborto e previdenza. Tradotte in italiano le primarie rischiano di portare al voto solo gli elettori militanti, di destra o di sinistra, che detestano le sfumature, i compro messi e adorano invece le scelte dure e pure. Per di più, in America, i partiti principali sono solo due e tra di loro gli elettori si orientano, ignorando la miriade di candidati minori. Da noi, invece, ogni partito, per insignificante che sia, pre tenderà di far correre il proprio leaderino alle primarie, otte nendo l'effetto che il professor Giovanni Sartori definisce, in un'intervista a La Stampa, «as surdità demagogica». E' lodevole l'intenzione di ridar voce ai cittadini, che si sentono ancora espropriati dai partiti, dopo le speranze refe rendane dei primi Anni No vanta. Ma preoccupa una corsa alle primarie che, anziché na scere dal basso, è intrapresa proprio dai vertici dei partiti. Senza dire che gli elettori del Polo si troverebbero a votare per una manciata di candidati, mentre quelli dell'Ulivo ne avrebbero davanti una pletora Potrebbe finire come nel 1952, quando i democratici america ni votarono alle primarie il se natore Kefauver, per vedere i boss del partito nominare inve ce Adlai Stevenson. Le primarie all'italiana, anziché la parteci pazione popolare possono favo rire la fecondazione di nuovi partiti: chissà se in via omologa o etcrologa. Gianni Riotta

Luoghi citati: America, Italia, New York, Stati Uniti, Usa