IL TEMPO E L'ETERNO NEL MITO DI ORFEO di Augusto Romano

IL TEMPO E L'ETERNO NEL MITO DI ORFEO IL TEMPO E L'ETERNO NEL MITO DI ORFEO «Musica e Psiche» : flànerie di Augusto Romano A posizione centrale assegnata, in Musica e Psiche, ai «tragitti di Orfeo» - dal mito greco, attraverso i Sonetti ad Orfeo di Polke, fino all'opéra-féérie di Offenbach, Orphée aux Enfers - ci richiama alla centralità del mito di Orfeo (del mito della musica) nella civiltà occidentale. L'errore di Orfeo, che volgendosi indietro a guardare Euridice prima di essere uscito dagli Inferi la perde per sempre, è l'errore di chi non sopporta la separazione e con uno sguardo (con un gesto di possesso) vuole riappropriarsi innanzitempo della rassicurante dimensione diurna dell'Anima, negando l'incomprensibile mondo notturno della morte, della confusione, del caos. Orfeo - musico, guaritore, passato attraverso l'iniziazione della discesa agli Inferi - coniuga in sé lo sciamano e l'eroe perdente; ma proprio in quanto eroe sconfitto, che deve rinunciare all'illusione dell'immortabuità e dell'onnipotenza del suo canto seduttivo, assume una funzione mediatrice: in lui me¬ dium sofferente, e nella sua musica, si confrontano le voci che provengono dall'alto e dal basso, si incontrano il tempo e l'eterno, si installa il conflitto. Orfeo, nella rilettura del mito data da Augusto Romano, deve maturare nella sconfitta e accettare di vivere Euridice come assenza. Tornato sulla terra, non canterà più l'unione fusionale degli amanti ma la distanza che li separa. La sua musica (ma non è ciò che si propone l'analisi?) trasformerà in racconto il dolore, e il suo canto, dando forma alla sofferenza, diventerà generatore di senso: «In questa prospettiva mitica la musica fa da ponte tra la sofferenza individuale, storica, e lo sfondo di ^temporalità su cui essa si accampa e da cui trae significato». Una relazione profonda lega musica e psiche: l'uomo canta agli dèi (all'inconscio, al Sé) il suo dolore e gli dèi gli concedono la musica perché possa trasformarlo e far circolare l'energia psichica tra l'umano (l'io) e il sovruma¬ no (il non-io, la psiche oggettiva). Come la musica è in definitiva indicibile poiché non si lascia prendere in nessuna rete verbale e concettuale, così la psiche è un territorio sconfinato di cui non si dà mappa completa o definitiva. L'attribuzione alla musica di una essenza segreta (di un linguaggio non decodificabile) la radica nei dominii dell'inconscio, ne fa una porta aperta sull'oscurità del non-io. La fascinazione di questo «assoluto naturale inconscio» come nella musica dionisiaca secondo Nietzsche o nel Doctor Faustus di Mann - può indurre alla regressione e portare alla perdita dell'io. Nel mito questa musica primordiale in cui l'io si dissolve è quella dei flauti e dei tamburelli delle Baccanti che uccidono e smembrano Orfeo. Essa può rivelarsi più forte della musica della lira di Orfeo che, civilizzatrice e apollinea, ammansisce la ferinità, cura le passioni e rende le emozioni non più distrutti¬ no (il non-io, la psiche oggettiva). Come la musica è in definitiva indicibile poiché non si lascia prendere in nessuna rete verbale e concettuale, così la psiche è un territorio sconfinato di cui non si dà mappa completa o definitiva. L'attribuzione alla musica di una essenza segreta (di un linguaggio non decodificabile) la radica nei dominii dell'inconscio, ne fa una porta aperta sull'oscurità del non-io. La fascinazione di questo «assoluto naturale inconscio» come nella musica dionisiaca secondo Nietzsche o nel Doctor Faustus di Mann - può indurre alla regressione e portare alla perdita dell'io. Nel mito questa musica primordiale in cui l'io si dissolve è quella dei flauti e dei tamburelli delle Baccanti che uccidono e smembrano Orfeo. Essa può rivelarsi più forte della musica della lira di Orfeo che, civilizzatrice e apollinea, ammansisce la ferinità, cura le passioni e rende le emozioni non più distrutti¬ ve. La musica - incarnata in figure femminili nei racconti di Hoffmann - sembra formare un'unica realtà con natura e Anima: la natura parla con voce femminile (che nell'uomo è la voce dell'inconscio), e questa voce è musicale. Stretto è poi il collegamento tra musica e simbolo: la musica stessa, in quanto linguaggio, è concepibile solo come linguaggio simbolico, portatore cioè di una nebulosa di significati non altrimenti dicibili, a forte connotazione emotiva, che affondano le loro radici nell'inconscio. Luogo costitutivamente aperto e inconcluso, la musica è, nella sua forma variazione, tortuosa ed enigmatica come il sogno, e come il sogno è fatta di domande, di tentativi: il tema interroga il musicista come il sogno pone una domanda al sognatore. Alle molte suggestioni che la musica fornisce alla terapia è dedicato il capitolo su «Musica e prassi analitica», che si aggancia alle pagine finali del libro, dove l'assimilazione della poesia alla musica amplia le prospettive del fare analisi, introducendo in esse le modalità del fare poetico. Ogni analista (ogni paziente) ha un proprio mito dell'analisi, conscio o inconscio che sia. Privilegiando tra le tante metafore (viaggio, iniziazione, trasformazione alchemica, automitografia) con cui si allude all'esperienza analitica la metafora dell' analisi come musica, l'autore svela qual è il suo mito dell'analisi: un'analisi che (junghianamente) salvaguardi la tensione tra polarità e fattori antitetici e getti un ponte tra mondi lontani, come la stanza della musica in cielo e il mondo quaggiù che Rabbi Naftali di Ropschitz cercava di mettere in comunicazione accompagnando le preghiere con il canto. In questa immagine di analisi lo spazio paradossale della terapia, come quello della musica, coniuga il massimo dell'intimità alla più incolmabile lontananza; e ispirarsi alla musica giova alla terapia, suggerendole di diventare più leggera e aperta. La musica si qualifica come una delle vie regie per accedere all'inconscio: «L'essenza della terapia è musicale». Il sogno del candidato analista che, alla fine del suo iter formativo, viene interrogato dal presidente della commissione d'esame non sul complesso di Edipo o sull'archetipo materno ma sulle sonate per violoncello e pianoforte dell'età romantica, ce lo conferma con delicata ironia antidogmatica. Seguendo i percorsi - da Hoffmann a Bernhard, dai Romantici a Rilke, dalle teorie sulla musica a Offenbach - lungo i quali l'autore lo guida con bella chiarezza e gusto della flànerie intellettuale, il lettore potrà cogliere poi, toccati con mano leggera e per così dire in sordina, alcuni dei motivi ricorrenti della scrittura di Augusto Romano: la consapevolezza della nostra condizione di esilio, della nostra mortalità e dei nostri limiti (del nostro «difetto di capienza»); la nostalgia di una felicità e di una compiutezza impossibili; il senso del mistero che si cela talvolta nella leggerezza e nell'effimero e ci indica una strada paradossale: diventare, per una sorta di mimesi, «insignificanti come la musica, che riposa in sé, alleggerita dal peso di significare qualcosa, tutta presente e, proprio per questo, imprendibile - in ciò che appare». Renato Oliva jaoi^nc"! orni.) Tifili In questa rilettimi, deve accettare di vivere Euridice come assenza. Tornato sulla terra, non ,; canterà pu l'intima fusione degli amanti ma la distanza che li separa I tragitti di Orfeo assumono una posizione centrale in «Musica e Psiche» di Augusto Romano: da Rilke a Offenbach MUSICA E PSICHE Augusto Romano Rollati boringhieri pp. 138. L 30.000 DELIA MENTE

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