NEI CANTIERI DELLA POLIS

NEI CANTIERI DELLA POLIS NEI CANTIERI DELLA POLIS La «guida» di Salvatore Veca LA FILOSOFIA' POLITICA Salvatore Veca Laterza pp. Ì40 L. 14.000 con poco colore e poco sapore dei filosofi che lavorano nei cantieri di Veca? E che cosa c'è di male nelle pagine suadenti di uno scrittore politico come Guicciardiiù? E' proprio vero che una volta trattate dai filosofi analitici le questioni sono meno opache di come si presentano nel linguaggio comune? L'osservazione forse più rilevante da fare è se non sia una scelta poco savia restringere la filosofia o la teoria politica alla riflessione sulle questioni normative. Perché non sarebbe teoria politica o almeno non sarebbe teoria politica degna di essere discussa, l'opera di chi ha indagato la realtà della politica con l'aiuto della storia e dell'interpretazione, e dunque non da scienziato; o l'opera di chi ha cercato di dire come il mondo dovrebbe andare senza ricorrere a ragionamenti astratti bensì citando EL suo ultimo libro (La filosofia politica) Salvatore Veca offre ai lettori un'interpretazione e un elogio della filosofia politica intesa come una particolare disciplina intellettuale che cerca di fornire risposte ragionevoli a problemi di giustificazione delle istituzioni pubbliche, delle politiche e delle pratiche sociali. Intesa come «arte della giustificazione», per così dire, la filosofia politica nasce dalle domande elementari sulla vita della polis quali, ad esempio: «E' giusto che le persone che nascono avvantaggiate abbiano un'alta probabilità di avere vite avvantaggiate, mentre lo svantaggio del nascere svantaggiati è con la stessa probabilità destinato a contraddistinguere la qualità della vita dei bambini delle bidonvillesl»; «Quali sono i limiti dell'esercizio legittimo del potere politico?»; «La mia libertà, quella che conta, è quella definita dai vincoli e dalle interferenze che altri possono mettere per sbarrarmi la strada o c'è altro da dire di significativo a proposito della natura della libertà?», e via discorrendo. Si tratta, come si vede, di domande sulla vita della polis che molti di noi si pongono, se non proprio tutti i giorni, almeno qualche volta. Sono domande alle quali non riusciamo a dare risposte definitive e che per questa ragione generano in chi se le pone uno stato di incertezza. Qui interviene il filosofo politico e con la sua arte cerca, come scrive Veca, «di rispondere all'incertezza che riveste i criteri del giudizio e le pratiche usuali della giustificazione di istituzioni e scelte collettive» (p. 22). Con garbo, prende per mano il cittadino o la cittadina e partendo dai loro «atteggiamenti naturali del giudicare le cose della polis», li guida «nei cantieri dei lavori perennemente in corso in cui si fa filosofia politica» (p. 12). E perché il lettore non si spaventi prima di arrivare ai cantieri filosofici, Veca usa un linguaggio molto vicino al linguaggio comune e ricorre a volte a espressioni colloquiali: «La metto giù così...» (p. 11). Una volta giunto ai cantieri, il lettore o la lettrice troveranno vari filosofi indaffarati a cercare giustificazioni per la ragione che «il problema centrale resta quello della giustificazione», ovvero spiegare perché qualcosa è giusto o ingiusto. Vedranno, avvicinandosi ai banchi di lavoro, gli specialisti della filosofia politica intesa come «utopia ragionevole» che si affannano a dare uno sviluppo intellettuale «all'atteggiamento naturale di cittadini e cittadine giudicanti che mirano alla riforma sociale» (p. 29). Potranno infine osservare da vicino John Rawls («il maggior filosofo politico della seconda metà del nostro secolo») e altri, impegnati a ((rinominare)) le domande elementari e le questioni pubbliche, perché è «responsabilità della teoria stessa quella di dare nomi alle cose, rinominandole rispetto agli impieghi opachi o suadenti o gridati nelle cercine del discorso pubblico» (p. 31 ). Su tutti vigila con occhio severo Thomas Hobbes, che Veca promuove a tanto onore perché il suo Leviatano è «il capolavoro della teoria politica moderna» che ha aperto la strada alla pratica della filosofia politica come ricerca della giustificazione razionale o ragionevole. Lasciamo stare la questione se Hobbes meriti davvero tanto onore (sarebbe come chiedere a un tifoso perché sostiene la Juventus e non, poniamo, il Cesena). E lasciamo stare anche il fatto che l'immagine di Hobbes fondatore della filosofia politica come opera di giustificazione razionale è un po' vecchiotta e che studi importanti hanno messo in luce come l'autore del Leviatano attingesse a piene mani dall'arsenale dei mezzi di persuasione non razionali offerti dalla retorica. Credo sia però giusto chiedere a Veca quale sia il valore di tanto affannarsi a rmominare i nomi delle cose rispetto agli impieghi opachi, suadenti o gridati del linguaggio comune. Per quale motivo, per esempio, la celebre invettiva di Rousseau nell'Economia politica contro le ingiustizie che nascono dalla diseguaglianza sociale, che è un vero e proprio grido di sdegno contro l'ineguaglianza, tutta retorica e linguaggio comune, dovrebbe valer di meno, per farci acquisire criteri di giudizio, delle argomentazioni purificate e rarefatte Fondazione SoO N (ti E con poco colore e poco sapore dei filosofi che lavorano nei cantieri di Veca? E che cosa c'è di male nelle pagine suadenti di uno scrittore politico come Guicciardiiù? E' proprio vero che una volta trattate dai filosofi analitici le questioni sono meno opache di come si presentano nel linguaggio comune? L'osservazione forse più rilevante da fare è se non sia una scelta poco savia restringere la filosofia o la teoria politica alla riflessione sulle questioni normative. Perché non sarebbe teoria politica o almeno non sarebbe teoria politica degna di essere discussa, l'opera di chi ha indagato la realtà della politica con l'aiuto della storia e dell'interpretazione, e dunque non da scienziato; o l'opera di chi ha cercato di dire come il mondo dovrebbe andare senza ricorrere a ragionamenti astratti bensì citando esempi, raccontando storie, evocando decisioni prese da altri in circostanze simili? Veca è ben consapevole che esistono altri modi di fare filosofia politica oltre a quelli praticati dalla premiata ditta Hobbes and Rawls. Ammette, con onestà intellettuale, di aver dato ai lettori la versione che egli predilige. Trovo tuttavia strano che in un'opera sulla filosofia politica il Principe di Machiavelli e i Ricordi di Guicciardini, per citare i casi più clamorosi, non siano menzionati neppure nei suggerimenti per ulteriori letture. Va bene che lo spazio a disposizione era poco, ma credo che Veca avrebbe fatto cosa gradita al lettore se avesse giustificato, per usare un termine a lui caro, le ragioni dell'esclusione. Maurizio Viroli Salvatore Veca autore di «La filosofia politica» LA FILOSOFIA' POLITICA Salvatore Veca Laterza pp. Ì40 L. 14.000