SERGENTE PAPA BUONO E TENENTE MAZZOLARI

SERGENTE PAPA BUONO E TENENTE MAZZOLARI SERGENTE PAPA BUONO E TENENTE MAZZOLARI Storie di cappellani militari della II Guerra N^m ON sono venuto a portare pace, ma una spada...»: forse non solo nel nostro secolo e non solo nella nostra storia è capitato che qualcuno, o molti, finissero col fraintendere e col prendere un po' troppo alla lettera il messaggio evangelico (Matteo, 10; 34). E se si volessero trovare alcune brucianti esemplificazioni su questo zelo nel brandire, e non solo in senso figurato, la spada basterebbe affacciarsi sul ruolo giocato da molti cappellani militari, certamente non da tutti, durante le vicende dell'Italia unita. O, per stare più vicini a noi, durante le tragedie dell'ultimo conflitto mondiale. Periodo questo che, proprio per quanto concerne il ruolo giocato dai cappellani militari, viene intelligentemente ricostruito dallo storico bresciano Mimmo Franzinelli in un volume - Il riarmo dello spirito - scandito da vicende tragiche e percorso da figure indimenticabili: alcune per il loro mortifero espandersi, altre per le loro laceranti contraddizioni e, poche, per il lucente splendore della loro testimonianza. «La Germania è l'unico paese del mondo che possegga "Chiese motorizzate" - scrive don Civati, uno dei cappellani ben tratteggiati da Franzinelli -. L'altare e tutti gli oggetti per la celebrazione della Santa Messa sono stati montati su autocarri e possono raggiungere punti lontanissimi per la celebrazione degli Uffici Divini...». Il sacerdote comasco - cappellano degli alpini sul Carso durante la Grande Guerra e poi squadrista convinto nonché vice federale fascista di Sondrio nel 1922 - è un aperto ammiratore della guerra nazista e dell'efficiente logistica hitleriana che, come si sa, non solo organizzava le «Chiese motorizzate» tanto invidiate da don Civati ma, anche, treni dello sterminio diretti con implacabile precisione verso le mete della soluzione finale. Ma forse la soluzione finale scatenata contro gli ebrei non scandalizza affatto il sacerdote che in un passo del suo libro La Fiaccola auspica che le campane delle chiese vengano fuse per produrre cannoni. Per farne cosa? Ovvio, per combattere «Satana e Mammona, Giuda e Lenin». Non sorprende che questo personaggio che nelle numerose lettere scritte a Mussolini si definisce «Sacerdote Fascista e Squadrista, Legionario e Apostolo dell'Impero» esca così eccessivamente dalle righe da costringere sia il vescovo della sua diocesi che l'Ordinariato Papa Giovanni XXIII ebbe in guerra i gMilitare, al quale fanno capo i sacerdoti incorporati nelle unità militari italiane, a misure drastiche. Premono sugli alti comandi affinché Civati venga estromesso dal ruolo di cappellano. Quando questo accade l'indomito ex prete, è stato infatti sospeso a divinis nel 1942 dal vescovo di Como monsignor Macchi, si butta nell'apparato del Minculpop. E segue Fernando Mezzasoma, che sta al vertice di questo ministero, nell'avventura di Salò alla fine della quale Mezzasoma viene catturato dai partigiani e fucilato mentre don Civati è condannato a cinque anni di galera (ma crimane solo quattro mesi). Altro profilo, rispetto a Civati, quello offerto dal «redentorista» padre Giacomo Salza che al di là dell'entusiastica adesio comandi affinché Civati venga estromesso dal ruolo di cappellano. Quando questo accade l'indomito ex prete, è stato infatti sospeso a divinis nel 1942 dal vescovo di Como monsignor Macchi, si butta nell'apparato del Minculpop. E segue Fernando Mezzasoma, che sta al vertice di questo ministero, nell'avventura di Salò alla fine della quale Mezzasoma viene catturato dai partigiani e fucilato mentre don Civati è condannato a cinque anni di galera (ma ci rimane solo quattro mesi). Altro profilo, rispetto a Civati, quello offerto dal «redentorista» padre Giacomo Salza che al di là dell'entusiastica adesio- ne al fascismo e alla sviscerata ammirazione per il Duce - paga tutto di sue una lunga carriera di «prete-soldato» cominciata sui campi di battaglia della spedizione in Libia del 1911 e conclusa nei campi di deportazione americani - prima nel Texas, poi all'isola di Ohau, nelle Hawaii - dove sono detenuti i prigionieri italiani irriducibilmente fedeli a Mussolini, Tra la Libia e il Texas padre Salza, che in battaglia ha perso il braccio sinistro, ci mette la partecipazione alla Grande Guerra (tre medaglie d'argento al V.M.), la campagna d'Africa, l'Albania e la spedizione del Csir contro la Russia. Del Generale Inverno, pur stando accanto alle truppe, non sembra capire molto se, tra molte cose propagandistiche prodotte, scrive in una «lettera al soldato»: «Gli hai tenuto testa, meglio degli orsi polari, delle renne e delle foche... Fiore di Menta / il Generale Inverno più non canta / Perché nel cuore ha la speranza / spenta». Come si sa le cose per i nostri soldati in Russia finiscono diversamente ma padre Salza, ormai, è altrove: con la I Armata in Tunisia, dove viene fatto prigioniero dagli anglo-americani nel maggio del 1943. Rispetto a queste due figure di cappellani quella di don Pietro Brignoli, prete bergamasco morto nel 1969 e del quale è stato pubblicato postumo, nel 1973, Santa messa per i miei fucilati, offre tutt'altro scorcio circa il tribo¬ lato accostarsi tra messaggio religioso e presenza del sacerdote, in divisa, accanto a truppe combattenti. Don Brignoli è in Croazia, col II Reggimento Granatieri di Sardegna, ed è quindi testimone diretto delle durissime azioni condotte dai militari italiani non solo contro i partigiani ma anche ai danni dei civili. Nelle sue note scrive: «In tutta la divisione era conosciuta la mia ritrosia, anzi la mia aperta avversione, contro quel perverso sistema di mandare all'altro mondo i cristiani come se, anziché di uomini, si trattasse di ragni. Tanto che al comando di divisione qualcuno se n'era lamentato... facendo osservare che altri cappellani si mostravano militari di più spirito e, quando si fucilava qualcuno, anche loro erano contenti...». I suoi rapporti con gli ufficiali superiori sono tempestosi: «Ieri sera - scrive ancora - un bue perfetto, anche se tre volte filettato, sentenziò che gli abitanti della regione, razza inferiore, vanno distrutti: "Bisogna - definì - ipritare la regione". "Lasciando te al centro!" lo interruppi invelenito». E tuttavia di cappellani che la pensano come don Brignoli ve ne sono pochi. Sia in quegli anni che nei decenni successivi. E se ne accorgerà nel 1965 don Lorenzo Milani, quando, per replicare alle prese di posizione dei cappellani in congedo di Toscana contro l'obiezione di coscienza, scrive loro una lettera, incriminata per vilipendio. E questo testo, seguito dal suo discorso ai giudici e dalla sentenza di assoluzione del febbraio 1966, è pubblicato nel volumetto L'obbedienza non è più una virtù. Neil'affollarsi di queste esistenze e testimonianze così diverse non si possono dimenticare altre due figure di sacerdoti. Anch'essi hanno indossato la divisa del soldato, durante la Grande Guerra. A tanti anni di distanza s'incontrano. Uno è Papa Giovanni XXIII e riceve in udienza particolare, in Vaticano, un prete che viene dalla campagna cremonese e che è stato suo tenente: don Primo Mazzolati. Il Papa appena lo scorge lo chiama a sé: «Tenente!». Don Primo, senza stare troppo a pensarci, risponde al Pontefice: «Sergente...». Oreste Del Buono Giorgio Boatti Papa Giovanni XXIII ebbe in guerra i gradi di sergente Ma non tutti i preti «da trincea» erano solo pastori: tra gli esempi di fascisti in tonaca, don Grati ammiratore delle «Chiese motorizzate» di Hitler DA LEGGERE Mimmo Franzinelli IL RIARMO DELLO SPIRITO I cappellani militari nella seconda guerra mondiale Pagus Edizioni 1991 Don Lorenzo Milani L'OBBEDIENZA NON E' PIÙ' UNA VIRTÙ* Libreria editrice fiorentina. Firenze, s.d. MAZZOLARI Antologia dei suoi scritti A cura di G. Barra Boria. Torino 1964 N