Prima del cinema, film a lanterne rosse di Maurizio Assalto

Prima del cinema, film a lanterne rosse I segreti dell'ultima lanternista d'Italia, che apre oggi il suo museo: così sognavano i nostri avi Prima del cinema, film a lanterne rosse Magiche visioni che hanno incantato Goethe e Proust PADOVA DAL NOSTRO INVIATO La sala buia, un rettangolo di parete bianca che s'illumina e in quel rettangolo, incorniciata da una ghirlanda multicolore, la scritta «welcome». Stacco. Il cortile interno di un castello: pieno giorno, la luce vivida ritaglia i particolari. Ma è un istante, già non si vede più tanto bene, i dettagli si perdono, cala il sole, avanza la sera, le forme si aggregano, i colori si confondono. E' notte, ora, dalle finestre si diffonde una debole luce, davanti alla torre appare un fantasma. Poi il tempo passa. E' di nuovo giorno, ma il cortile, il muro di cinta, i cornicioni sono imbiancati. Poi comincia a nevicare, i fiocchi scendono leggeri, scendono e vanno a confondersi nel bianco, sulle note di un carillon. E' un pomeriggio freddo e scuro del penultimo mverno del XX secolo, nel sottotetto del quattrocentesco Palazzo Angeli, in Prato della Valle, dove Laura Minici Zotti dà i ritocchi conclusivi ai suo «Museo di magiche visioni». Ma potrebbe benissimo essere un pomeriggio vittoriano di metà '800, nella vecchia Inghilterra timorata, quando le buone famiglie, dopo Yafternoon tea, oscuravano le finestre del salotto e si beavano, con gli amici e i bambini, del fantasmagorico spettacolo della lanterna magica. Laura Minici non è soltanto una straordinaria collezionista: è anche - soprattutto - una lanternista, fra gli ultimi epigoni di quelle arcane figure a metà fra il cantastorie e l'ambulante che dalla metà del '600 alle soglie del nostro secolo hanno rigato le strade del mondo, e l'immaginario degli uomini, con le loro sottili scie luminose. I suoi spettacoli, come quello che ci ha fatto assaggiare nel «teatrino delle maravegie» del museo, sono un viaggio nel tempo che non tanto riesce a mostrare obiettivamente le stesse visioni che incantavano i nostri avi, quanto à farci risentire soggettivamente le emozioni che dovevano sorprendere il loro cuore: non siamo noi a trasferirci in un'altra epoca, è un'altra epoca che si trasferisce dentro di noi, modificando la nostra percezione, modificando noi stessi come soggetto. «Saremo rimasti una decina in tutto. Tre o quattro in Inghilterra, un paio in Germania, un paio in America, forse uno in Francia, io in Italia...» enumera la Minici, che ama immaginarsi come reincarnazione di una misteriosa lanternista vissuta a cavallo fra '700 e '800, Anna Maria Cortina, veneziana come lei. La grande passione è cominciata per caso, quasi trent'anni fa, quando già aveva svezzato due figli. Una vecchia lanterna di ferro e ottone, modello Hughes, saltata fuori da un armadio nella casa paterna; le prime ricerche, per documentarsi; i primi acquisti. Poi il primo spettacolo, allestito per gioco. Le prime tournée. La partecipazione alle riunioni dei collezionisti della Magic Lantern Society di Londra, dove è stata ancora due settimane fa. Ormai ha girato tutto il mondo, accompagnata da un lettore che commenta le sequenze di vetri originali con i testi dell'epoca e da un rumorista addetto anche a suonare gli strumenti che accompagnavano le proiezioni, ghironda, organetti, scatole musicali. Laura Minici si presenta al pubblico in abiti vittoriani, «come si conviene», perché è soprattutto nell'Inghilterra del secondo '800 che la lanterna magica conosce l'ultima fase ruggente, grazie alla messa a punto di nuovi strumenti a doppio e triplo obiettivo che rendono possibile le dissolvenze e all'introduzione di complicati telai a vetri scorrevoli che danno l'illusione del movimento. «Lo spettacolo dura un'ora e mezzo, ma alla fine ne comincio subito un altro, perché il pubblico mi si accalca intorno, sul proscenio," vuole vedere, toccare, capire il funzionamento». Di guadagno non si parla, appena quel tanto per coprire le spese. Ma non è al guadagno che pensa chi è animato da un fuoco missionario: «La lanterna magica ci fa tornare indietro, restituisce una capacità di emozionarsi che pareva perduta, il piacere di guardare senza fretta, dando agio al pensiero di perdersi in mille capriole». La lanternista fa da guida nelle sale del suo museo. Ecco lo strumento doppio di Tyler, quello triplo di Stewart (1880 circa), quello utilizzato per le proiezioni di materiale scientifico, ancora impiegato durante la Grande guerra per leggere i microfilm portati dai piccioni viaggiatori. E infine la lanterna-cinema costruita da Walter Gibbons nel 1906, con due obiettivi e doppia funzione, che segna il punto di passaggio: «Ma questa non mi è tanto simpatica...», dice lei. Tutto intorno ci sono altri marchingegni dai nomi fantasiosi, escogitati nel tentativo di riprodurre l'immagine in divenire, nella lunga strada che porterà al cinema: il «mondo nuovo» che attrasse l'attenzione di Goldoni («un'industriosa machinetta che in virtù degli ottici cristalli anche le mosche fa parer cavalli»); il croma- toscopio che con i suoi infiniti giochi di composizione e scomposizione di forme e colori anticipa la moderna computergrafica; lo stereoscopio che dà l'illusione della tridimensionalità ; lo zootropio, il fenachistoscopio, il coreutoscopio, il praxinoscopio che preparano il terreno ai film d'animazione. In una bacheca ci sono i vetrini di una storia famosa, quella della povera Geneviève de Brabant che riempiva le sere tormentate di un ragazzo chiamato Marcel'Prousti nella sua camera a Combray, quando la magica lanterna, come è ricordato nelle prime pagine della Recherche, «sostituiva all'opacità dei muri impalpabili iridescenze, soprannaturali apparizioni multicolori» capaci di dilatare lo spazio fisico circostante e quello psichico del fu¬ turo scrittore. Accanto, i vetri che la lanternista utilizza nei suoi spettacoli, preziosi originali inglesi, francesi, italiani, olandesi, americani. «Un vero collezionista li terrebbe gelosamente nascosti, per proteggerli dai danni del tempo. Ma difenderli dal tempo vuol anche dire, appunto, contrastarne il destino, ridargli la luce, tornare a farli vivere», dice lei. E cita il Werther di Goethe: «Cosa sarebbe mai per il nostro cuore un mondo senza amorfe? Una lanterna magica senza luce. Ma appena vi si introduce il piccolo lume...». All'inizio del '900 una ditta specializzata come l'inglese Wood's proponeva in catalogo oltre 200 mila vetrini, dai racconti biblici al romanzo gotico (bestseller II fantasma di Marley, tratto da Dickens), e i, r a , i l e. o s ), dalle storie di alcolismo con finale edificante alla rappresentazione di fenomeni naturali. In commercio c'era anche materiale erotico, o più esplicitamente pornografico. Laura Minici possiede una trentina di questi vetri che animavano le «serate nere» dei circoli maschili, ma non chiedetele di mostrarveli: «Mi imbarazza. E poi sono davvero brutti, volgari. Una volta sola li ho proiettati, a Birmingham, ma davanti a un pubblico di studiosi. Si vedono uomini e donne, uomini e animali, preti e bambini». Ed è solo dopo deplorevoli insistenze, e con grande pena, che si rassegna a farne scorrere un paio dei meno indecenti. Beh, ha ragione lei. Ma se proprio vi resta la curiosità, occorrerà fare un piccolo sforzo: e magari tornare con l'immaginazione in quel salotto vittoriano da cui siamo partiti. Si è fatto tardi, ormai, i bambini sono andati a letto, le signore si sono ritirate: i gentlemen di molto riguardo, rimasti fra di loro, indugiano ancora un po' con la lanterna. Maurizio Assalto Vetrini colorati per divertirsi, imparare e sfuggire ai rigori della società vittoriana dalle edificfenomc'era esplicMinicquest IEP*