SVEZIA 1942 il razzismo democratico

SVEZIA 1942 il razzismo democratico A ispirare Hitler furono teorie già sperimentate in America e nelle socialdemocrazie nordeuropee: lo rivela un saggio dello storico Modani ono teone già sperimentate in America e nelle socialdemocrazie noraeurc SVEZIA 1942 il razzismo democratico EL 1953, il primo ministro era Tage Erlander (leader del partito socialdemocratico e premier dal 1946 al 1968, uno dei padri dello Stato sociale) e ministro degli Affari sociali era Gunnar Straeng. Quell'anno la Direzione generale della sanità pubblica decideva che il giovane Nils, sedicenne, doveva essere sterilizzato contro la sua volontà. Il motivo: Nils era un «sangue misto sessualmente precoce». In altre parole non era uno svedese di «razza pura». Questo l'inizio di un articolo del quotidiano Dagens Nyheter (Notizie del giorno) che nell'agosto del 1997 mise a rumore la Svezia. E il mondo intero. L'autore di quell'articolo, Maciej Zaremba, rielaborando notizie provenienti da fonti diverse - tutte rigorosamente verificate - e in particolare dalla tesi di dottorato dell'archivista Maija Runcis, documentò come nel Paese tra il 1935 e il 1976 erano state sottoposte a sterilizzazione, contro la loro volontà, sessantamila persone, in prevalenza donne. Il tutto in ottemperanza alle leggi,in vigore, Grande fu l'emozione che queste notizie provocarono^ Gom'era^possibile che, in un Paese portato a modello di socialismo liberale e temperato, i legislatori, sulla base di accreditati studi «scientifici», si fossero resi disponibili a quelle pratiche che siamo abituati a considerare caratteristiche della Germania nazista? E perché fino a quell'estate del '97 nessuno, tranne qualche rara eccezione, aveva sollevato lo scandalo di un Paese dove era stato consentito che quasi scomparisse la linea di confine tra la punta estrema di una civiltà e quell'orrenda manifestazione di barbarie? Le tecniche del genocidio Un tentativo di risposta a queste domande è contenuto in un libro di Gianni Moriani, Il secolo dell'odio Conflitti razziali e di classe nel Novecento, che la Marsilio manda in libreria in questi giorni. Moriani, che tre anni fa aveva cominciato a battere questi sentieri con il saggio Pianificazione e tecnica di un genocidio, s'inoltra adesso nella giungla degli alberi velenosi del Novecento e mette in evidenza analogie che in alcuni momenti della storia di questo secolo hanno, per così dire, avvicinato il mondo del bene a quello del male. Fino a far scomparire, appunto, la linea di confine. Al centro del suo lavoro c'è, ovviamente, l'universo hitleriano. E, diciamolo subito per chiarire il senso di questi discorsi, l'autore non concede nulla, ma proprio nulla, a quel tema che è universalmente catalogato come negazione, banalizzazione o relativizzazione dell'Olocausto. Anzi. Lo sterminio degli ebrei ha un ruolo centrale nel libro e non gli si dà una sola attenuante. Semmai il discorso sulla Germania degli Anni Trenta e Quaranta è approfondito su argomenti talvolta lasciati in ombra dalla storiografia ufficiale: eugenetica, sterilizzazione, eliminazione delle cosiddette vite «senza valore», uccisione di bambini, colpe della professione medica, tutti gli ingredienti che rendono corposa la voce genocidio per quel che attiene a questo secolo. Dopodiché ampi capitoli sono dedicati alle mostruosità e ai massacri comunisti in Unione Sovietica, nella Cina popolare e alla rivoluzione dei «crani fracassati» in Cambogia. Ma anche all'Apartheid sudafricana. All'ecocidio, etnocidio e ai diversi tipi di genocidio consumati in America Latina. Alla matrice europea del razzismo Hutu (una delle parti più innovative del libro). Ai «nuovi Unni» della ex Jugoslavia. Il tutto osservato da un punto di vista che appare talvolta sotto un'influenza radical-libertaiia, talaltra sensibile a quello che potremmo definire il dubbio cattolico di fine millennio. Il problema di Moriani nell'investigare sulle origini del secolo dell'odio è quello di individuare le altre fonti che hanno dato acque al fiume che già scorreva copioso nel leu to dell'antisemitismo classico. Una di queste sórgenti è collocata, come già in molti altri studi di questo genere, negli Stati Uniti, Paese in cui alla fine dell'Ottocento prese a dilagare l'ideologia conservazionista. E in particolare nello Stato dell'Indiana, dove nel 1907 fu approvata la prima legge per la sterilizzazione dei pazienti ricoverati in istituzioni psichiatriche, «persone condannate più di una volta per crimini sessuali, quanti venivano giudicati oligofrenici dai test di quoziente d'intelligenza, "individui moralmente depravati" ed epilettici». Tanto più che leggi analoghe che avevano come obiettivo la «preservazione e il miglioramento della base razziale» statunitense attraverso norme di «anticontaminazione delle razze» e programmi di sterilizzazione coatta saranno successivamente adottate da ben ventiquattro Stati americani. Sulla scia di concetti elaborati a cavallo tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento da Thorstein Veblen e delle più recenti ricerche di Ronald Rainger (1991), Moriani indaga su come le parole «Nazione», «Stato» e «razza» diventarono quasi intercambiabih nell'ambiente che alla fine del secolo scorso si identificava con il circolo fondato a New York dal professor Henry Fairfield Osborn, su iniziativa del quale nel 1887 nacque il Boone and Crockett Club che fu la prima associazione conservazionistica d'America. Associazione che influenzò fortemente il futuro presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt, il quale dalla Casa Bianca avrebbe lanciato l'allarme per il «suicidio della razza» provocato dalla «degenerazione» causata dall'innesto dei gruppi di immigrazione sul «puro» ceppo americano. Argomenti che, a loro volta, sarebbero stati trasformati in «teoria» da un altro associato del Club, quel Madison Grant (The Passing ofthe Great Race, 1916) nei cui confronti lo stesso Hitler manifestò pubbhcamente debito oltreché la più grande ammirazione. E' noto come questo filone abbia contaminato l'America non solo agli inizi ma anche negli ultimi anni di questo secolo quando, dopo il 1973, furono abolite le leggi che autorizzavano la sterilizzazione in difesa del- la razza. Gli eredi del Boone and Crockett Club hanno dato prova di un'insospettabile vitalità proprio negli ultimi trent'anni e l'America antirazzista si è impegnata a denunciarne le attività non solo con la politica ma anche con libri e film. Si è dimostrato dunque non vero quel che aveva sostenuto lo storico statunitense Mark Haller secondo il quale, tra la metà degli Anni Venti e la fine dei Trenta, razzismo ed eugenetica aveva cessato di avere «rispettabilità scientifica» nel Paese con la bandiera a stelle e strisce. Ciò che in qualche modo ha dato ragione allo storico tedesco Stefan Kuehl il quale in un libro del 1994, The Nazi Connection: Eugenics, American Racism and Gerrnan Nacional Socialism, aveva smontato una per una le tesi di Haller. E ha implicitamente dato conferma alla tesi di Kuhel secondo cui l'interrelazione tra il razzismo nazista e quello americano fu molto più robusta di quel che si pensi e anche più diffusa di quel che, per un'evidente reticenza, sia stato mai scritto. Una reticenza imputabile al timore di essere costretti a riconoscere quanto grande fosse stato lo scambio di virus tra la «civiltà del bene» e il «regno del male». In ambedue le direzioni, purtroppo. Fin qui qualcosa di conosciuto e già accennato dagli storici. Anche se quel che più conta sono i dettagli di quella tela che tiene assieme gli odi razziali e di classe di questo secolo. Dettagli sui quali, per i motivi di cui si è appena detto, pochissimi si sono soffermati. Tra i pochi si segnala lo studioso francese Jean-Michel Chaumont che, per i tipi «La Decouverte», ha pubblicato La concurrence des victimes. Génocide, identité, reconnaissance, che ha passato al setaccio con grande acume i «conflitti irrisolti» tra le stesse vittime del nazismo. Da noi, l'aver messo bene in evidenza questo genere di dettagli è già, di per sé, un merito del libro di Moriani. Merito che cresce ancor più agli occhi di chi presti attenzione al capitolo dedicato alla presenza del morbo nelle socialdemocrazie scandinave. Un sinistro primato Come abbiamo riferito all'inizio, il caso è venuto allo scoperto nell'agosto di due anni fa. Ma si deve a ricerche successive l'analisi approfondita della contiguità in questo orribile campo tra Germania e Svezia nella seconda metà degli Anni Trenta. Con qualche sinistro primato per quella che è sempre stata considerata come la patria della moderna socialdemocrazia. E a Moriani va riconosciuto il merito di aver dato alla questione il giusto risalto e di averla messa sotto i riflettori così che se ne possano mdividuare le imbarazzanti implicazioni. Quella che l'autore definisce come la «storica attenzione svedese all'eugenetica» (i cui primi segnali sono riscontrabili oltre due secoli fa) si manifesta compiutamente nel 1922 quando l'Istituto nazionale di biologia razziale, che ebbe come primo direttore Hermann Lundborg, pubblica una serie di foto di volti per «distinguere i caratteri della razza pura svedese». «L'Istituto», annota il saggista, «divenne rapidamente famoso, tanto da essere spesso citato sulle riviste internazionali come il primo del suo genere e preso poi a modello dal Kaiser Wilhelm Institut fùer Rassenhygiene di Berlino». E' del 1935 la prima legge svedese, basata su supposti canoni biologici di purezza della razza, per imporre la sterilizzazione agli handicappati. Sterilizzazione che viene presto estesa ai «socialmente diversi». Scrive Moriani: «E' opportuno ricordare che nel periodo in esame, 1935-1976, il potere in Svezia fu esercitato senza soluzione di continuità dai socialdemocratici». E che anche le altrettanto civili democrazie norvegese e danese «parteciparono al dibattito teorico sulla purezza della razza e sulla indesiderabilità di individui asociali che doveva approdare alla formulazione e alla promulgazione di leggi da parte di parlamenti democraticamente eletti». Si dirà: terribile, ma questo era lo spirito degli Anni Trenta. Dappertutto. Nient'affatto, risponde Moriani: «Non dobbiamo dimenticare che la sterilizzazione su alcune categorie di "diversi" fu praticata solo da Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Stati Uniti, Germania e dal Cantone svizzero del Vaud». E con ciò? Con ciò bisogna prendere atto che «se in Germania sono i nazionalsocialisti, nei Paesi nordici sono proprio i socialdemocratici, ossia i fautori dello Stato sociale, a dar prova di maggiore sollecitudine nell'attuare politiche tese alla purificazione della popolazione dagli "elementi ritardati sul piano razziale o ereditario"». Qui il lettore potrebbe avere l'impressione di trovarsi in presenza di un'operazione molto sofisticata: una volta stabilito il nesso tra nazismo e comunismo, si vuole ora estendere la «colpa» anche alle so¬ cialdemocrazie in modo da dimostrare che non sia esistita in questo secolo un'«area dell'innocenza». Moriani, proprio per evitare generalizzazioni, si sofferma su come in quegli stessi anni, nonostante l'Eugenics Society e i padri fondatori del socialismo inglese avessero prospettato per la Gran Bretagna progetti di sterilizzazione simili a quelli svedesi, il partito laburista aiutato da importanti scienziati come il genetista Lionel Penrose e il biologo Lancelot Hogben, affiancato dai sindacati, dalla Chiesa cattolica e dalla British Medicai Association, diede battaglia a questa corrente di pensiero. E la sconfisse. Già nella prima metà del secolo, almeno nel campo della sinistra democratica, si poteva, dunque, capire cosa si nascondeva dietro quelle elaborazioni teoriche. E si poteva evitare che tali teorie si traducessero in leggi. Alla luce di queste considerazioni, quel che accadde in Svezia assume un aspetto agghiacciante. Dicevamo dei provvedimento legislativi del 1935. Ma già ai primi del Novecento era nato nella sinistra liberale e moderata un movimento di attenzione ai temi di cui ci stiamo occupando. Nel 1921, poi, su iniziativa dei socialdemocratici il Riksdag (Parlamento svedese) aveva creato il primo Istituto di biologia della razza. Iniziava così la battaglia per la «purezza». Purezza che ù futuro ministro, sempre socialdemocratico, Arthur Edgberg si compiaceva di esaltare con queste parole: «Abbiamo la fortuna di avere una razza non ancora contaminata, portatrice di buone e solide qualità». Nel '22 i socialdemocratici propongono al Parlamento di sterilizzare i minorati psichici. Un esponente dello stesso partito, Cari Lindhagen, si oppone pubbhcamente ma non ha il coraggio di votare contro quella proposta. «Volete risolvere un problema sociale con la violenza», protesta; «Sarà difficile fermarsi e continuerete a sterilizzare altri "malati". E dopo? Cosa vi impedirà di ucciderli?». Gli risponde Alfred Petren ideatore dell'Istituto nazionale di biologia razziale che si spinge ad affermare pubblicamente di aver preso in considerazione l'ipotesi di sopprimere i malati psichici e di averla scartata unicamente per non dar dolore ai «genitori che comunque li amano». Da quel momento il dibattito sul Welfare State si intreccia terribilmente con questo genere di iniziative parlamentari. Tant'è che a più riprese la politica di sterilizzazione è motivata dai socialdemocratici sve¬ desi con la necessità di non «disperdere risorse al momento di attuare politiche sociali». Alla vigilia del varo della legge (1935), il relatore del progetto viene addirittura mandato ad Amburgo «per fare tesoro dell'esperienza nazista in materia». Episodi limitati alla sola Svezia? Neanche per idea. In Norvegia uno dei leader della locale sinistra democratica, Johan Scharffenberg, già nel 1911 aveva scritto sul giornale Socialdemokraten che il suo partito doveva avere la consapevolezza che per il progresso sociale non ci si doveva solo porre il compito di migliorare le condizioni di vita del cittadino ma anche preoccupare di «pulire il suo patrimonio ereditario con una riproduzione umana razionale». Lo stesso Sharffenberg poi, negli Anni Trenta, aveva studiato la legge nazista di sterilizzazione e l'aveva giudicata insufficiente perché mirava a colpire le «sole» infermità ereditarie: «un approccio», osserva Moriani, «che il socialdemocratico norvegese considerava limitativo, perché, secondo lui, andava autorizzata anche in base a presupposti sociali fino a colpire gli alcolisti». li censimento dei tartari E in Danimarca? Qui nel 1920, il futuro ministro socialdemocratico della Sanità e del Welfare, K.K. Steincke, pubblicò il libro Le risorse del futuro nel quale sosteneva che i deboli andavano sì aiutati ma che era «poco intelligente e antieconomico» lasciare che si riproducessero. E lo stesso Steincke nel 1926 in qualità di ministro del primo governo socialdemocratico danese presentò immediatamente im progetto per una vasta opera di sterilizzazione. Il Parlamento diede battaglia. Ma un altro leader socialdemocratico, Cari Bonnevie, tagliò corto alla discussione con queste parole: «I diritti del singolo devono essere commisurati agli interessi della società». Interessi della società che furono intesi, in ogni Paese della regione, in senso sempre più lato. Nel 1942 la Svezia vara una politica, finalizzata alla sterilizzazione, di «censimento dei tartari» (come tartari venivano identificati una popolazione di mercanti di cavalli che non apparteneva al ceppo d'origine svedese e aveva i lineamenti segnati dalla vita all'aria aperta). I Tartari erano già stati oggetto di «studi», alla fine degli Anni Trenta, da parte della Direzione degli affari sociali svedese. In questi «studi» ufficiali compaiono affermazioni del genere: «Ci troviamo di fronte a uno specifico problema razziale, in cui le condizioni mentali di alcuni gruppi non possono vantaggiosamente conciliarsi con la nostra razza»; «Non riteniamo che le misure di assimilazione di questi gruppi siano utili»; «Corriamo il rischio che stili di vita molto diversi dai nostri si trasmettano ai discendenti»; «In questa prospettiva le sterilizzazioni dovrebbero essere prese in considerazione per le persone incapaci di soddisfare quei doveri elementari di paternità e di maternità così come sono previsti per gli svedesi». Che dire? Nient'altro che la dizione «di sangue tartaro» o «di evidenti tratti tartari» fin dai primi Anni Quaranta entrò a far parte dei documenti per le richieste (e l'ottenimento) di sterilizzazione di molti individui. Fino al 1950. «Così», osserva Moriani, «nel 1945, mentre gli alleati chiudevano i lager nazisti, in Svezia si raggiungeva il recordo di 1747 sterilizzazioni che, l'anno successivo, salivano a 1847». Una questione su cui dovremo tornare. E approfondire ancora, se vogliamo capire perché il «mostro» di cui abbiamo parlato è sopravvissuto alla fine dell'esperienza hitieriana. Ed è ancora tra noi. Paolo Mieli Fino al 76 nel Paese scandinavo 60 mila persone sterilizzate contro la loro volontà La prima legge eugenetica fu approvata nel 1907 nello Stato dell'Indiana: riguardava ipazienti ricoverati negli ospedali psichiatrici ed epilettici». la razza. Gli eredi del Boone and il primo del suo genere e preso poi a re che tali teori Sotto il presidente americano Theodore Roosevelt, a destra Adolf Hitler Il disegno è di Matteo Pericoli