Il Medio Oriente orfano del piccolo re

Il Medio Oriente orfano del piccolo re Poca folla nelle strade della capitale, si aspetta l'annuncio ufficiale del decesso di Hussein Il Medio Oriente orfano del piccolo re Giordania, il governo ammette: è clinicamente morto AMMAN DAL NOSTRO INVIATO Com'è cupo, oggi, questo cielo di Amman. Cupo, nero, gravido come soltanto i cieli dell'Antico Testamento sapevano essere quando su queste terre soffiava il vento forte della storia. Ieri, qui è piovuto per l'intera giornata. Erano nuvole di morte, e di un lutto che nessuno ignora ma che nessuno deve ancora annunciare. Re Hussein sta morendo, anzi è «clinicamente morto», ma non si può dire. Le regole del protocollo, del cerimoniale, della sicurezza, cambiano la vita degli uomini; anche quella dei re. E la pioggia continua a venire giù a scrosci violenti, fustigando le strade vuote, i palazzi spenti, il silenzio attonito di un mondo che sente che un tempo sta finendo, il tempo della certezza, e delle speranze. Il piccolo re è arrivato qui, ieri mattina, che i medici dicevano che era ancora vivo. L'aereo speciale che veniva dagli Stati Uniti è atter¬ rato in un aeroporto semivuoto, si sentiva soltanto il fruscio della pioggia sui vetri. Questa volta non c'erano le grandi feste che sempre accompagnavano il suo ritorno in patria, gli striscioni, i balli beduini, le bandiere nell'aria felice. Questa volta le raffiche d'acqua lavavano le fiancate dell'aereo con violenza, e quel porcellone sembrava non doversi aprire mai. Come se nemmeno il cerimoniale volesse piegarsi al dovere della realtà. Quando, alla fine, dalla grossa pancia dell'aereo è stata calata la barella, che scendeva lenta, cauta, immobile già come un catafalco, il corteo di auto blu si è avvicinato all'ambulanza che aspettava sottobordo e in pochi attimi la cerimonia era già finita. H piccolo re era tornato, ma questa volta per non più ripartire. «Pregate per lui», aveva detto Clinton dagli Stati Uniti. E ieri, che era venerdì, il venerdì santo dei musulmani, le moschee di Amman, ma anche le moschee di tutta la Giordania, erano stipate di facce mute, smarrite, che chinavano la fronte sui vecchi tappeti piegandosi al volere di Allah ma non sapevano più bene - forse per la prima volta dopo i giorni amari della guerra del '67 - se davvero Allah volesse ancora il bene di questo pianoro tormentato e degli uomini di due religioni che ci vivono divisi da odi profondi. L'ambulanza era arrivata veloce all'Hussein Medicai Center, seguita dal lungo corteo silenzioso. C'era la regina Noor, c'era il principe ereditario Abdallah, c'erano i funzionari e gli intimi della corte hashemita; quelli, almeno, che già erano potuti arrivare dopo l'annuncio improvviso, e imprevedibile, del rientro in patria del sovrano. «Il piccolo re è già morto», si dicevano sottovoce tutti; ma tutti sapevano che c'era un ordine ufficiale da rispettare e che la macchina che ancora tiene in vita quel cuore senza più futuro doveva inventarsi un tempo artificiale perché ogni familiare della grande tribù del sovrano potesse arrivare ad Amman, i principi che studia¬ no a Londra, i cugini che vivono nel Golfo e negli Stati Uniti, i fratelli e i fratellastri che l'annuncio della morte deve trovare già schierati a palazzo reale. Ne sono stati scombussolati gli stessi piani di volo della compagnia di bandiera, la Royal Jordan, che ha annullato e modificato molte partenze per Amman dall'Europa e dall'America, in mo- do da destinare gli aerei al viaggio verso casa dei dignitari di corte. La legge del Corano dice che il fedele che muore deve essere sepolto prima del tramonto, che soltanto così il volere di Allah sarà rispettato nella sua pienezza. L'annuncio ufficiale quando arriverà rispetterà questo principio, e sarà così compiuto il dovere stabilito dal Sacro Libro, prima che il corpo del re venga calato dentro la fossa dopo essere stato lavato, profumato, ed avvolto in un grande lenzuolo bianco. Amman ha aspettato quest'annuncio ufficiale con rassegnazione, più ancora che con paura. Vuota ogni strada, e chiusi i negozi, la gente si è tappata dentro casa davanti alla tv accesa, a seguire con il cuore più che con gli occhi i mesti programmi di una giornata perduta. Il corteo che, mesto, silenzioso, ieri mattina andava dentro le strade vuote di Amman, stava anche viaggiando simbolicamente nel percorso di una difficile transizione del potere. Le auto passavano a sfiorare i grandi manifesti con la faccia sorridente del re, appesi in alto, di traverso nelle strade; ma quel sorriso era schiaffeggiato dalla pioggia, era stinto, spiegazzato. Per la giornata di ieri, comunque, nessuno ha parlato di bollettini medici, nessuno ha voluto vendere l'ipocrisia di una menzogna che i fatti avevano già rivelato. E' stato un segno di civiltà anch'esso, un segno di rispetto pubblico per la morte. Dentro molte case il sonno ha tardato ad arrivare. La misericordia di Dio, più ancora che la sua potenza, è un bene prezioso per questo Paese incerto, timoroso, per la prima volta orfano del suo piccolo grande re. Mimmo Candito Le rigide regole del cerimoniale costringono ad allungare l'agonia del malato perché ogni familiare rientri in tempo per i funerali A destra, due giordani piangono all'uscita dalla grande moschea di Amman, dopo la preghiera del venerdì. Tutto il Paese è scosso dal precipitare degli eventi 14 gennaio 1999: re Hussein, sulla strada del ritorno ad Amman, fa tappa a Londra e va a Downing Street per incontrare Tony Blair. La folla lo applaude e lui, qui a fianco, saluta. I segni della malattia sono evidenti, ma l'epilogo sembra ancora lontano La legge del Corano dice che il fedele che muore deve essere sepolto prima del tramonto, solo così il volere di Allah sarà rispettato nella sua pienezza In basso a sinistra, una immagine del principe Abdallah nella divisa di Maggiore dell'esercito giordano, responsabile delle forze di sicurezza della famiglia reale A destra, Hussein con Yitzak Rabin

Persone citate: Abdallah, Clinton, Cupo, Mimmo Candito, Re Hussein, Royal Jordan, Tony Blair, Yitzak Rabin