«Voglio un bimbo, a tutti i costi»

«Voglio un bimbo, a tutti i costi» «Voglio un bimbo, a tutti i costi» Speranze e fallimenti di chi prova le nuove tecniche TORINO. Anna dice «la prego, dottore, non mi dica no». Lo dice da otto anni, perché è dal 1990 che prova ad avere un figlio con la fecondazione assistita. Quattro anni fa ci è riuscita, e le è sembrata «di toccare il cielo». E' finita male: un aborto spontaneo a gravidanza avanzata. L'anno dopo è tornata: «Proviamo ancora. Io non voglio rinunciare». Nel 1999, anno probabile della legge che regolamenterà questo mondo di dolore, speranza, tentativi e anche di truffe, forse Anna si sentirà rispondere no. Perché è «anziana» (ha 44 anni), e le cause della sua sterilità sono gravi. Mauro e Giuliana ci hanno provato l'anno scorso. Lui impiegato, lei operaia. Sposati da tre anni. Dice lei: «E' l'uomo della mia vita. Peccato averlo incontrato tardi». Tardi significa che lei ha quarant'anni, «ma non è colpa di nessuno. E' andata così. Il problema è che i figli a noi due non arrivano». Eppure un bambino lo vogliono. «Siamo disposti a tutto», dicono. E non per capriccio. Però, quando il me- dico spiega che non ci sono garanzie di riuscita, e che anzi le possibilità di concepimento sono molto basse, lei scatta: «Ci è riuscita quella di sessantanni, perché io no?». Inutile spiegare che nel caso di Rosanna Della Corte, mamma a quasi 63 anni,' si era trattato di un'ovodonazione (l'ovulo cioè proveniva da una donatrice trentenne). Quella dei figli mancati «è una malattia che rode l'anima», spiega la dottoressa Eleonora Porcu. Spiegarlo è difficile, lo sa chi ci passa, e gh altri se lo immaginano. Forse. Qui, al Centro di sterilità e fecondità assistita del policlinico Sant'Orsola di Bologna, ad-accogliere queste «malattie che rodono l'anima» sono ben preparati: sono cinquemila le coppie in lista d'attesa, quelle che hanno i requisiti, quelle che se ci fosse tempo, spazio e soldi, potrebbero provarci. Ogni anno solo trecento ottengono il trattamento, gratuito: il Sant'Orsola è un centro della sanità pubblica, oltre che uno dei primi e tra i migliori a trattare le coppie sterili. Qui, nel 1997, è nata la prima bambina da un ovocita congelato. E la lista d'attesa si è allungata ancora, perché sono questi i successi che riaccendono le speranze delle coppie disperate. I fallimenti invece pochi h sanno. Sono tanti, «purtroppo, e sempre atroci, insopportabili», dice la dottoressa Porcu, che dirige il Centro. In quelle 5 mila coppie ci sono disoccupati, impiegati, operai, professionisti. Tutti in età cosiddetta fertile. Sposati e conviventi. «Ovviamente, non chiediamo il certificato di matrimonio - spiega la dottoressa -. In quanto struttura pubblica, siamo soggetti però alla circolare Degan, dell'85, che proibisce di fare donazioni di gameti». Significa che vengono utilizzati l'ovocita della paziente e il seme del suo compagno, cioè non è possibile far ricorso a donazioni «esterne». La coppia deve essere eterosessuale. I gay non possono entrare in lista. I single nemmeno. Non vengono accettate le donne già in menopausa. Sono le persone che chie¬ dono comunque di avere una possibilità di procreare, quelle su cui si scatenerà, ancora una volta, il dibattito tra destra e sinistra, laici e cattolici. Carlo Flamigni, direttore dell'Istituto di ginecologia ed ostetricia dell'università di Bologna (che comprende il Centro del Sant'Orsola), dice che l'aspetto politico della fecondità assistita gh provoca ormai solo «un gran turbamento. E' tutto esagerato, tutto frainteso. Si tirano in ballo a sproposito le coppie omosessuali, si parla delle coppie di fatto come se si trattasse di un'accozzaglia di gente che cerca le emozioni proibite». Ma una legge ci vuole, no? «Io vorrei - risponde il professore che la gente, politici compresi, capisse che essere infertili è spesso vissuto come un grande disagio, e spessissimo come una sofferenza. Su un argomento così importante io assisto ad atteggiamenti impietosi, quindi vorrei starne fuori». Eleonora Porcu dice che una legge ci vuole, eccome. Ma che serve «anche una rivoluzione cultu¬ rale che metta a fuoco il significato della riproduzione e della fertilità nella nostra società. E poi bisogna combattere, sia nella riproduzione assistita sia nella fecondazione spontanea, l'uso del bambino come genere di consumo. Le mamme sessantenni e gli altri scandaletti che ogni tanto fanno titolo, servono a poco». Ma nel concreto, da cosa potrebbe partire la vostra «rivoluzione»? «Dall'informazione, dalla scuola, dalla prevenzione. Dalle bambine che si ritrovano donne sterili perché le loro madri hanno sbagliato per anni a lavarle, provocando vaginiti, occlusioni delle tube, cause di infertilità gravi. Dai genitori che non si accorgono che i figli maschi hanno problemi ai testicoli. La fecondazione assistita dovrebbe essere l'ultima spiaggia, se queste cose non succedessero. Invece...». Invece ci sono tutte queste lacrime da asciugare, e tutti questi uomini e donne da consolare, quando arriva il momento di dire loro no, all'ultima spiaggia. Brunella Giovara Cinquemila coppie in lista d'attesa j al Sant'Orsola di Bologna. Ma solo t 300 all'anno faranno il trattamento Rosanna Della Corte, diventata madre alla soglia dei 63 anni grazie ad un'ovodonazione E il professor Carlo Flamigni dell'Università di Bologna

Persone citate: Brunella Giovara, Carlo Flamigni, Degan, Eleonora Porcu, Porcu, Rosanna Della Corte

Luoghi citati: Bologna, Sant'orsola, Torino