Miroglio: in pensione ma decido ancora io di Gianni Martini

Miroglio: in pensione ma decido ancora io INTERVISTA IL PADRE-PADRONE DI UN IMPERO TESSILE «Si deve poter licenziare per salvare azienda e occupazione» Miroglio: in pensione ma decido ancora io ALBA DAL NOSTRO INVIATO Franco Miragno va in pensione. Il padre-padrone della Miroglio-Vestebene, impero tessile e commerciale da 1450 miliardi di fatturato e 5658 dipendenti, l'uomo che è stato capace di licenziare una figlia «perché si era messa di traverso in azienda», o di scatenare le he della Curia dichiarando «l'azienda viene prima dei lavoratori», da ieri mattina è in «pensione». Ufficialmente almeno. Lo aveva promesso a figli e nipoti anni fa: «Ai miei 75 anni l'azienda è vostra». Sabato ha festeggiato il compleanno portando ad Alba Pavarotti e ieri, un quarto d'ora prima delle 8, è entrato nel suo nuovo ufficio. Terzo piano di un palazzotto laterale della direzione Vestebene: scrivanie spartane, telefoni e una segreteria. «Sono abituato alla chiarezza, a non raccontar frottole. Ho concluso la successione delle azioni e affidato gh incarichi in buone, ottime mani». Le «mani» scelte dal ragionier Miroglio sono quelle di due dei tre figli Edoardo (amministratore delegato) e Nicoletta e dei nipoti - figli del fratello Carlo che ha 76 anni Giuseppe (responsabile della sede di Londra) Elisa (comunicazione) Elena (produzione). Nessun incarico al terzo figlio? «Ha fatto scelte diverse. A lui vanno delle azioni ma non si è mai occupato e difficilmente inizierà ora a occuparsi dell'azienda di famiglia». Mani Ubere ai nuovi dirigenti? «Bè. La successione è fatta, le azioni sono state sudddivise, ma i'usufrutto resta a me. E anche il diritto di disporne». Quindi non lascia l'azienda? «Certo che lascio gh incarichi. Già mio padre aveva fatto così con noi, mio fratello e me. Lui aveva 69 anni. Quando si trattava di decidere cose importanti ci rivolgevamo a lui. Lui consigliava e noi ascoltavamo. Cosa crede che facessimo poi? Ed erano sempre ottime decisioni». Come avete iniziato? «Il merito è tutto ed esclusivamente di mio' padre. Un grande uomo, schietto, chiaro. Vendeva stoffe ed ebbe l'intuizione di poterle produrre. Nel 1946 aveva 54 telai, qui a fianco del duomo, nel centro di Alba. Nel '49 i telai erano 108. L'avventura, la scommessa fu l'iniziare a confezionare gh abiti. Oggi produciamo in Italia, Tunisia, Francia, Germania, Bulgaria, Egitto, Hong Kong, Marocco. E' che il mercato, le regole sono cambiate. Bisogna saper capire e adeguarsi. In tutta Europa l'industria tessile è a rischio. In Francia e Germania, in particolare, ha subito colpi durissimi e perso migliaia di posti di lavoro. D'altra parte nel bilancio mondiale questo non è male, perché a fronte dei posti di lavoro persi in Europa nascono e si sviluppano imprese e posti di lavoro in Paesi emergenti che cercano, attraverso l'industria tessile e grazie al loro costo del lavoro più basso, il decollo. Come abbiamo fatto noi tanti anni fa». Voi avete chiuso stabilimenti qui in Italia «Oggi si salvano le aziende tecnologicamente più avanzate, più internazionali, più flessibili. E il nostro Gruppo vuole essere tra queste. Essere tecnologicamente all'avanguardia, inevitabilmente riduce i posti di lavoro. Sono stato criticato, attaccato. Ma se non si capisce che quando è necessario si deve poter licenziare per salvare l'azienda e quindi il lavoro e il benessere di tutti gh altri dipendenti, si fa demagogia». Lei è stato eletto deputato della Lega nord, ma non si è ricandidato. Perché? «Intanto sono stato eletto. E non è da tutti. Erano gli anni della voglia di cambiare. E la Lega esprimeva questo desiderio. Un po' quello che sa esprimere oggi Prodi, 0 dire basta alle manfrine, ai giochi sottobanco. Ecco. Sono sceso in politica per questo. Ma la Lega non ha saputo costruire. E poi Bossi ha tirato fuori la secessione. Una cretinata. Con la politica ho chiuso. Anche perché oggi che al governo ci dia D'Alema o Berlusconi, è la stessa cosa. Crede che Berlusconi potrebbe ridurre le tasse? Balle. Siamo in Europa e le regole non le dettiamo solo noi. Il vero guaio è che i sindacati si sono inseriti nel sistema di Governo. In modo disinvolto passano dal sindacato alla politica. Il ri¬ sultato è che si vogliono preservare alcuni privilegi, senza guardare al bene di tutta la collettività». Lei ha aperto aziende in Italia del Sud «E funzionano benissimo. All'inizio l'ho fatto solo perché c'erano gli incentivi governativi. Poi ho constatato che al Sud la gente ha voglia di lavorare, lo fa bene, seriamente, con impegno. Dopo due anni temevano che non rinnovassimo i contratti di formazione lavoro. Molti aspettavano per avere una sicurezza, per sposarsi. Quando l'abbiamo fatto, com'era giusto e naturale, hanno messo su una grande festa. Ci sono stati trenta matrimoni di giovani che lavorano da noi». Molti la considerano un «padrone» di vecchio stampo. Il padre-padrone di un impero del tessile «Ma che impero. Imperietto, forse. Di fronte a un albese come Ferrerò noi rappresentiamo pochissimo. Credo nell'azienda gestita dalla famiglia. Così volle mio padre, così voglio io e mio fratello. Per questo non ci saranno entrate di capitali esterni al Gruppo Miroglio. Non ci seivono e non li vogliamo. Preferiamo fare con 0 nostro lavoro e i nostri soldi». Gianni Martini «Ho aperto fabbriche al Sud perché c'erano gli incentivi Poi ho scoperto che lì lavorano con serietà» upazione» A destra Franco Miroglio, imprenditore tessile albese Mar A destra Franco Miroglio, imprenditore tessile albese

Persone citate: Alba Pavarotti, Berlusconi, Bossi, D'alema, Franco Miroglio, Prodi