Storie di città

Storie di città Storie di città Storie di CittàCON il nuovo anno si è un po' rallentata la pioggia di lettere che ci spiegano per filo e per segno che è entrata in vigore la legge che tutela la privacy e ci chiedono di rispedire, dopo averlo firmato, un foglio con il quale autorizziamo il trattamento dei nostri dati. Che cosa mai intendono quando scrivono trattamento dei dati? Che li manipolano? A me vengono in mente metafore legate al cibo e alla cucina; perciò immagino che li passino nel frullatore fino a ridurli a una crema morbida, aggiungano un nulla di noce moscata, li spalmino su dei crackers e li passino al forno. Servire caldi. L'altro fatto che mi impressiona è lo scoprire quanta gente sente il bisogno impellente di trattare i miei dati; non solo, com'è ovvio, la banca, l'unità sanitaria o l'amministratore del condominio, ma titolari di gallerie d'arte, bocciofile, associazioni di ex allievi, confraternite della trippa. Peraltro, alla faccia della riservatezza, se uno va in pensione e gli arriva sul conto in banca l'accredito della liquidazione, può star certo che due giorni dopo riceve la telefonata di una signorina che vuole fissargli un appuntamento con un cosiddetto esperto finanziario che vuole sottoporgli un piano di investimenti. La slessa cosa succede se uno denuncia all'anagrafe la nascita di un bambino; dopo pochi giorni arriverà all'indirizzo del neonato un pacco di farina lattea. Alla luce della legge sulla privacy mi chiedo se oggi sarebbe ancora lecito girare un programma televisivo basato sulle riprese effettuate di nascosto, tipo «Specchio segreto». Nell'autunno del 1976 ho fatto per tre volte il giro d'Italia, viaggiando su treni locali. Ero il produttore esecutivo di «Viaggio in II classe», di Nanni Loy, uno specchio segreto tutto girato sui treni. A questo scopo era stata allestita un'apposita vettura di seconda classe. Due scompartimenti erano stati chiusi ermeticamente e sulla porta recavano un cartello con la scritta: «Scompartimento chiuso per prove dinamiche». In ciascuno di questi due scompartimenti era alloggiata una troupe dotata di cinepresa da 16 millimetri. Da ogni installazione si poteva riprendere quello che accadeva in due scompartimenti, attraverso il solito specchio semiriflettente che permette di vedere non visti. Perciò, su tutto il vagone, gli scompartimenti «trappola», teatro delle riprese, erano quattro. Poiché quel particolare tipo di specchio assorbe metà della luce che l'attraversa, le lampadine che illuminavano il vagone erano state survoltate al punto che, quando il treno correva nella notte, a confronto gli altri vagoni, il nostro con sembrava un albero di Natale. Di questa anomalia nessuno si accorse o fece domande. Per mimetizzarci agli occhi dei viaggiatori ignari, tutti noi della troupe indossavamo la divisa da ferroviere, con una variante minima, per non incorrere nei rigori del codice penale: al posto del distintivo metallico con il monogramma FS, all'occhiello della giacca ne portavamo un altro, leggermente difforme: FZ. Qualche viaggiatore, osservatore più attento, notava la differenza e chiedeva: «Perché Effezeta?». La nostra risposta, pronta e sicura, era: «Ferrovie dello Zambia!». Una volta abbiamo pernottato a Bologna in un albergo posto di fronte alla stazione. La mattina dopo il nostro vagone sarebbe stato agganciato a un locale che ci avrebbe portato - impiegando quasi tutta la giornata - a Milano. Era in programma una provocazione con Nanni vestito da prete e con la sua assistente, e all'occasione attrice, Silvana Mangini, travestita da battona. Durante il viaggio lei scoppiava a piangere e chiedeva al prete seduto di fronte a lei se, nel caso si fosse pentita e ravveduta, ci sarebbe stata qualche speranza anche per lei di andare in Paradiso e il prete chiedeva il parere dei viaggiatori coinvolgendoli nel dibattito. Silvana aveva deciso, per comodità, di vestirsi e truccarsi già in albergo, dovendo poi solo attraversare all'alba il piazzale; per farsi coraggio, s'era fatta però promettere da me che l'avrei accompagnata, vestito da capotreno. La mattina dopo mi sono trovato di fronte, nella hall dell'albergo, a un puttanone tremendo, con dei vestiti e un trucco che nessuna battona seria avrebbe mai e poi mai accettato di indossare. Sembrava uscita da un film di Fellini. Avevo preso l'impegno, non potevo tirarmi indietro. Usciamo dall'albergo, Silvana mi prende sotto braccio e ci incamminiamo verso la stazione mentre io prego intensamente che il piazzale sia deserto. Ahimé! I bolognesi sono mattinieri e io mi sento addosso gli sguardi di tutti. Silvana pencola sui tacchi a spillo e non vuole decidersi di andare più svelta. Così io, a metà del tragitto, la mollo al suo destino e corro verso il treno. Ma lei, entrata oramai nella parte, si vendica della mia vigliaccheria e si mette a inveire a voce altissima contro di me: «Brutto maiale! Questa notte non ti vergognavi di me! Scappa, scappa! Tutti così i ferrovieri!». Ma si può? Con un capotreno di prima classe? Io sono scappato non per me, ma per salvaguardare l'onore della divisa che indossavo. (Il seguito alla prossima puntata). Bruno mbarotta

Persone citate: Fellini, Nanni Loy, Silvana Mangini

Luoghi citati: Bologna, Italia, Milano