CHE SI GUARDA di Paolo FossatiMarco Belpoliti

CHE SI GUARDA CHE SI GUARDA Gli specchi di Paolo Fossati ATTEGGIAMENTO assunto dalla maggior parte delle persone di fronte al quadro di un artista contemporaneo è quello di cercare di «capire» cosa rappresenti; posto così, il problema è insolubile, dal momento che la vera questione che quest'arte pone, da almeno ottant'anni, non è tanto «comprendere», bensì «agire». Allo stesso modo, le opere disposte lungo le pareti di un museo d'arte moderna e contemporanea si offrono come un puro e semplice spettacolo, all'interno del quale noi possiamo trovar posto per «giocare». Riassumo malamente una delle tesi che muovono l'ultimo libro di Paolo Fossati, critico e storico d'arte da poco scomparso all'età di sessantanni, uno dei due o tre libri importanti sul contemporaneo pubblicati in Italia negli ultimi anni. Incomincio da qui perché, per quanto i libri di Fossati diano l'impressione al lettore di trovarsi subito in medias res, nessuno di essi è solo interno a ciò che scrive, ma presenta un continuo andare e venire dall'arte alla letteratura, alla filosofia, alla scienza, e soprattutto alla vita, senza che l'autore fornisca mai una sola di quelle coordinate storico-estetiche a cui ci hanno abituati i manuali scolastici, vale a dire gli strumenti su cui una persona di cultura media ha modellato gusti e idee. I libri di Fossati (e segnalo qui il precedente, Storie di figure e di immagini, Einaudi 1995, che di questo è il necessario antecedente) sono importanti proprio perché aiutano a vedere quello che gli altri si limitano solo ad accennare, facendoci capire che chi guarda un'opera ne è anche guardato, e che non c'è un dentro e un fuori nel quadro, ma l'uno continua nell'altro come in quella celebre incisione di Escher che Fossati cita all'inizio di Autoritratti, specchi e palestre: in Galleria di stampe (1956) un ragazzo osserva un quadro che raffigura una città di mare, la quale a sua volta contiene la galleria dove è esposto il quadro, e dunque lo stesso ragazzo che lo osserva, ricordandoci in tal modo che «nessuno spettacolo va in scena solo per essere contemplato, nessun museo raccoglie passivamente le sue mercanzie, né un libro le proprie immagini» (e questo è il secondo asserto di partenza del libro). L'ipotesi da cui Fossati muove i suoi passi in questa visita guidata nel museo della contemporaneità, è che «caduta la possibilità di una qualche obiettività della pittura, messa cioè in dubbio la possibilità della rappresentazione, non resti al pittore che la via del raffigurare un pittore che racconta il proprio lavoro di pittore»; o, per dirla con Rosalind Krauss, l'arte contemporanea è il tentativo di porre allo specchio «l'organizzazione dell'intelligenza del fare» che ha condotto gli artisti a produrre opere che si rimandano tra di loro, escludendo dal gioco degli sguardi il criterio estetico. Queste verità sull'arte non le raccontano Picasso, Duchamp o i dadaisti, ma pittori all'apparenza «figurativi» come De Chirico, Sironi, De Pisis, Casorati, Scipione, Fausto Pirandello. Il bello di questo libro, come dei precedenti, è che Fossati rivolta come un guanto le letture tradizionali dell'arte italiana di questo secolo ritornando, anche con pazienza filologica, sugli scritti degli artisti, sui rapporti tra un quadro e l'altro, sulla relazione tra arte e letteratura, sui titoli dei quadri stessi, sui problemi suscitati da figure e immagini che trasmigrano da un quadro ah'altro, e non solo nell'opera di un singolo artista, ma soprattutto da pittore a pittore; in questo modo davvero l'arte di questo secolo diventa un immenso atelier-museo dove si passa da ima stanza all'altra senza difficoltà, perché l'arte si fa non solo dipingendo, ma anche guardando l'arte degli altri, pensando, riflettendo e persino attendendo. Non è un caso, scrive l'autore, che Fontana abbia intitolato i suoi tagli Attese, e che quegli «scatti di bisturi ripropongano la medesima figura dei racconti dell'Argonauta di De Chirico, della Casa dell'amore di Carrà (...), della Semina di Sironi, delle Ragazze di Guttuso». Cosa è accaduto? Che il pittore, continua Fossati, ha fatto un passo indie- tro rispetto al quadro compiuto, e aspetta. Che cosa? Che il quadro funzioni come una seduzione nello spettatore, che raffiguri dentro di sé e provi a dar forma a «un'immagine sentita dentro, a un atteggiamento che ritiene essergli necessario». Per Fossati è proprio la pittura di Sironi, o, meglio, la «seduzione della pittura» insita nella sua opera, a dar inizio a queir «informe che si insedia sensibilmente, stabilmente nell'immaginazione di chi guarda i suoi quadri». Sironi come padre dell'irt/ormale? Sì, risponde l'autore, il padre di quello che si può chiamare l'ultimo naturalismo. L'importanza del lavoro di Fossati nasce dal fatto che ha guardato l'arte italiana del Novecento con occhi originali, come un artista che osserva un'opera propria o altrui, senza mai farsi soggiogare da complessi di inferiorità rispetto a critici o storici stranieri (si leggano le pagine in cui serve di barba e capelli il critico francese Jean Clear riguardo a Sironi), senza mai chiudersi dentro ima prospettiva puramente italocentrica. Il lettore che incontra le opere di Amerigo Bartoli, di Ferruccio Ferrazzi, di Virginio Guidi, narrate con curiosità, interesse e sapienza, non starà certo a chiedersi chi mai saranno questi quasi sconosciuti pittori del nostro Novecento, e neppure si chiederà mai che valore abbiano le loro opere, se siano belle o importanti. Fossati non stabilisce classifiche o graduatorie (che pure ha ben chiare in mente), non vuole istruire il proprio lettore sui valori eterni dell'arte. Vorrebbe invece che chi legge e guarda questo libro giocasse con le «figure» per scoprire quale suprema ripetizione è stata l'arte di questo secolo; ripetizione nel senso di «ripresa» o, se voghamo, anche di ripetizione nel senso freudiano di «coazione a ripetere». La paiola ripetizione ritorna più volte nel testo e a un certo punto, nel capitolo Autoritratti, il più bello del volume, Fossati mette il dito nella piaga del contemporaneo là dove, dopo aver liquidato in modo veloce ma convincente l'idea che l'autoritratto in arte implichi il tema del narcisismo (è la tesi di un recente volume di Alberto Boatto), avanza il sospetto - più di un sospetto - che il problema per l'artista contemporaneo sia invece quello del masochismo (la piacevolezza dell'esibirsi si accompagna, come dimostra l'arte delle ultime generazioni, sia nella pittura come nel teatro, a una frustrazione «del non poter fare a meno delle regole del gioco di mostrarsi in pittura» o sulla scena). Qui Fossati tocca un tema importantissimo citando Nietzsche: nell'arte per lavorare in modo positivo «bisogna saper fare dei sacrifici». E' solo bizzarria o peggio ancora foiba quella che aveva portato il filosofo tedesco nel suo soggiorno torinese a identificarsi con Alessandro Antonelh o il generale Robilant? La risposta è troppo bella e complessa per affidarla a questa recensione; ma chi avrà la pazienza e l'intelligenza di scoprirla nelle pagine di questo libro non perderà il suo tempo. Marco Belpoliti Il '900, un inunenso atelier-museo dove si passa da una stanza alValtra senza difficoltà, perché Forte non è solo dipingere, ma pensare e attendere AUTORITRATTI, SPECCHI E PALESTRE Paolo Fossati Bruno Mondadori pp. 205 L. 33.000 filili Festeggiamenti a Berlino, 1938

Luoghi citati: Berlino, Italia