«Mai più galline in batteria» di Gabriele Beccaria

«Mai più galline in batteria» 1 produttori protestano: «I prezzi delle uova triplicheranno» «Mai più galline in batteria» L'Europarlamento abolisce le gabbie ROMA. Il 28 gennaio 1999 resterà una data da celebrare per gli animalisti. Hanno liberato in Europa, in un colpo solo, 270 milioni di galline, finora costrette a produrre uova nelle microscopiche (e infernali, accusano loro) gabbie in batteria. L'Europarlamento ha votato a favore dello smantellamento progressivo ed entro un decennio dovranno tornare tutte a razzolare. «Abbiamo vinto una battaglia di civiltà. Per gli animali e per i consumatori», esulta Adolfo Sansolini, consigliere direttivo della Lav, la Lega antivivisezione che ha coordinato la campagna in Italia. «La prima cominciò in Gran Bretagna. Addirittura 30 anni fa». Ed è stato un ennesimo studio inglese che ha contribuito al giorno fausto degli animalisti e al giorno infausto dei produttori, che adesso, com'è inevitabile, promettono battaglia. Secondo lo sconvolgente dossier messo insieme dall'organizzazione «Compassion in world farming», le gabbie sono strumenti di scientifica tortura («più piccole di un foglio formato A4»), in cui una gallina sopravvive al massimo 12 mesi, senza potersi mai muovere, vittima dell'osteoporosi che ne spezza le zampe, dell'aggressività che la ferisce, dello stress che la fa impazzire. Alla fine del ciclo e delle circa 300 uova prodotte, la carne è di qualità così scadente da essere utilizzabile soltanto per cibi inscatolati o per cani e gatti. L'iniziale proposta della Commissione europea di raddoppiare la superficie delle gabbie si è dilatata nell'emendamento di 29 europarlamentari - italiani, inglesi e greci - a favore della loro abolizione. E ieri i colleghi hanno detto a grande maggioranza «sì». «Adesso, però, rimane un paradosso: mentre la maggioranza dei nostri parlamentari a Strasburgo si è schierata dalla parte degli animalisti, a Roma la pensano all'opposto», spiega Sansolini. Per questo, il 20 e il 21 marzo la Lav promuoverà in 200 piazze italiane un'altra mobilitazione: «Distribuiremo cartoline da spedire al governo, perché si decida ad adeguarsi alle direttive europee, e ai supermercati, perché commercializzino unicamente uova "naturali"». E gli allevatori protestano. «Il voto è certo positivo per gli ani- mali, ma solleva due gravi problemi, di igiene e di costi», sottolinea, preoccupato, Guido Sassi, presidente dell'Una, l'Unione nazionale allevatori. «E' provato che le uova deposte a terra si impregnano spesso della sporcizia e dei batteri di un'aia e, inoltre, il loro costo è doppio e anche triplo rispetto a-quelle di batteria, assolutamente sicure dal punto di vista sanitario». L'Una teme che la riconversione «al naturale» metterà in ginocchio i suoi iscritti (insieme con quelli del resto d'Europa), spalancando il mercato alla concorrenza selvaggia dei prodotti dell'Est. Così, dopo il latte e il riso, le galline sono destinate a diventare il prossimo fronte caldo dell'acciaccata agricoltura nostrana. «Chi sarà disposto a sborsare 540 lire e oltre per un uovo?». Gli animalisti ribattono che l'ultimo sondaggio, del maggio '98, rivela che il 57 per cento degli italiani lo è e aggiungono che in Svizzera (la prima a mettere al bando le batterie, otto armi fa) la transizione è stata un successo. Inoltre, giurano che i fondi comunitari per la politica agricola ridurranno, e di molto, gli oneri per gli allevatori, «che non avranno più animali cronicamente malati, ma sani, in grado di vivere molto più a lungo, in media due-quattro anni, e di produrre uova di migliore qualità». Ora la parola passa ai governi. E si annunciano colpi di scena a catena. Se i «nordisti» - Gran Bretagna, Germania, Olanda e Austria - sono schierati per il «no» alle gabbie, esiste un fronte del «sì», che conta, oltre all'Italia, i «sudisti», Spagna, Francia e Grecia. Nonostante l'euro, bastano un po' di galline per dividere l'Europa unita. Gabriele Beccaria

Persone citate: Adolfo Sansolini, Guido Sassi