Sale la febbre delle fusioni

Sale la febbre delle fusioni MATRIMONI E MOTORI Sale la febbre delle fusioni E il mondo cambia a colpi di alleanze IL vento degli accordi soffia forte nell'industria dell'auto. L'anno scorso le nozze del secolo fra Daimler-Benz e Chrysler, adesso l'acquisto della Volvo da parte della Ford. Un annuncio che pone,fine a una corsa cominciata, tra voci e indiscrezioni rimbalzate dall'Europa agli Usa e viceversa, ai primi di gennaio al Salone di Detroit e che aveva visto in campo, con obiettivi strategici diversi, anche Fiat e General Motors. Ma non si tratta certo di una novità. Negli ultimi 15 anni, ad esempio, abbiamo visto il Gruppo Volkswagen-Audi assumere il controllo di Seat (1986), Skoda (1991), Rolls-Royce/Bentley, Bugatti e Lamborghini (1998), la Braw della Rovelli 994), la Hyundai della Kia (1998) e, naturalmente, la fusione tra Daimler e Chrysler. Nonché General Motors prendere il 50% del pacchetto azionario della Saab e Fiat tutto quello Maserati. In più, si sono susseguite le collaborazioni di carattere tecnico e industriale, tra Fiat e Psa (CitroènPeugeot), tra Psa e Renault, tra Volvo e Mitsubishi per citarne alcune. E nel campo dei bus quella tra Iveco e Renault. Ma il 1998 ha portato a un'accelerazione nella tendenza alla creazione di ampi poli produttivi e commer- ciali, anche se i problemi che scaturiscono dalle unioni non mancano. Dalla nota rottura fra la stessa Volvo e la Renault, antesignane in questo campo, alle difficoltà che sta incontrando la Bmw nel gestire la RoverLand Rover. Tuttavia si va avanti: una miccia innescata, in un certo senso, dall'accordo fra i tedeschi di Stoccarda e gli americani di Detroit. Quest'ultimo è un esempio, per ora, convincente: 260 mila miliardi di lire il fatturato del gruppo nel '98, 7 mila miliardi l'utile netto, 4,4 mi¬ lioni di veicoli venduti nel mondo (905.000 Mercedes e oltre 3 milioni di Chrysler, Dodge, Plymouth e Jeep), soprattutto un risparmio nelle spese calcolato in più di quattromila miliardi nell'arco dei prossimi 3-5 anni. Una nuova realtà in cui si sommano tecnologie, esperienze e storia. E all'orizzonte si intravedono altri accordi. Il più vicino alla meta pare quello fra la Nissan, che naviga da tempo in acque tempestose, e la DaimlerChrysler limitatamente al settore dei veicoli industriali della casa giapponese (per la Mercedes, forte anche in questo settore, si aprirebbe una porta sull'Asia), ma si parla di un interessamento all'affare anche da parte della Renault e della stessa General Motors. Le voci, con relative smentite, si susseguono, portando sulla scena ancora Volkswagen (che ha ceduto alla Bmw il controllo la Rolls-Royce a partire dal 2002), la stessa Bmw (a Ferdinand Pièch, ma non solo a lui, piacerebbe molto), la Mitsubishi. E per la prima volta il gruppo Psa si dichiara disponibile a sviluppare un'allenza. Un fatto emerge chiaramente, comunque. Che le concentrazioni non significano la morte dei marchi. Anzi. Il «brand», come dicono in Ford, deve rimanere vivo e forte, indipendente: Ford Usa (con Lincoln e Mercury), Ford Europa, Aston Martin, Jaguar e Mazda sono le perle della collana. Ma non è un segreto per nessuno. Lo stesso discorso fanno hi Fiat o in Volkswagen. Tuttavia avere più marchi significa, almeno in teoria, un miglioramento nelle economie di scala, ampliare la gamma di modelli, riducendo nello stesso tempo il numero delle piattaforme e dei componenti, e possedere più fabbriche dislocate in varie aree geografiche. Naturalmente, la ricetta può essere applicata anche da un costruttore unico, purché sia sufficientemente forte nei volumi produttivi, abbia una gamma valida e possa sviluppare una strategia globale. Per la Ford, che al contrario della Fiat non era interessata ai veicoli industriali, comparto da cui è uscita da tempo, la Volvo rappresenta un acquisto chiave nel settore auto. La ca¬ sa di Detroit non aveva negli Usa un marchio idoneo per rispondere all'assalto di Audi, Bmw, Lexus e Mercedes nel campo delle berline di lusso e, soprattutto, non lo possedeva in Europa, dove nella sua gamma non esistono veri modelli di prestigio. «Per noi - commentano alla Ford, il cui fatturato '98 è stato di 144,5 rmliardi di dollari - la Volvo e destinata a ricoprire il ruolo dell'Alidi per Volkswagen o della Lancia per Fiat». Risibile, invece, l'apporto in temimi produttivi: Ford l'anno scorso ha venduto 6 milioni 823 mila auto e «trucks» leggeri (4.370.000 in Nord America, 1.850.000 in Europa, 603 mila nel resto del mondo) contro 400 mila Volvo (di cui 250.000 in Europa e 100.000 negli Usa). Michele Fenu Nel '98 c'è stata una forte accelerazione delle alleanze Ma la corsa ai grandi patti non uccide i marchi storici La prossima preda potrebbe essere la giapponese Nissan che adesso è nel mirino del gruppo DaimlerChrysler ndn Jacques A. Nasser (Ford) e Leif Johansson (Volvo) Una stretta di mano da 11 mila miliardi di lire

Persone citate: Bugatti, Ferdinand Pièch, Jacques A. Nasser, Leif Johansson, Michele Fenu, Rolls